C’era una volta una Milano in cui la musica, secondo un articolo di VICE, era poca e brutta. Era circa quattro anni fa, o poco più. Era comunque un periodo in cui c’erano almeno due o tre concerti da andare a vedere ogni settimana, e la maggior parte dei gruppi interessanti in tour in Europa passavano più o meno sempre dall’Italia. L’articolo faceva però un discorso più ampio, e si concentrava su come mancassero le proposte dal basso, su come le realtà DIY fossero in larga parte ancora del tutto legate a modalità tipo “al venerdì serata reggae al centro sociale” e, finite le esperienze di cose come le Hundebiss Night, in città non ci fosse chi si sbatteva a portare cose al di fuori da certi canoni e circuiti. Alcune esperienze isolate come quella dello Spazio O’ o di Ca’ Blasé ci sono sempre state, ma non si può dire che da quel punto di vista Milano stesse vivendo esattamente un momento esaltante.
Sono passati quattro anni ma ne sembrano passati almeno il triplo. Nel frattempo Milano da quel punto di vista è rinata, dentro e fuori gli spazi occupati sono venute fuori un sacco di realtà che superando la pigrizia culturale diffusa hanno incominciato a portare, spesso con successo, proposte interessanti in modalità più o meno nuove, all’insegna della qualità e della diversità che quell’articolo invocava.
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Facciamo alcuni nomi, sicuri di dimenticare qualcosa: SVN e Buka, Plunge, Standards, il tavolo suono di Macao (con la forte presenza attiva proprio dell’autore di quell’articolo), Piattaforma Fantastica, Masada, collettivi punk come la Occult Punk Gang, Sotto la Sacrestia… nuovi spazi e la resurrezione di alcuni vecchi, da un buco occupato come la Cueva/Casa Gorizia perfino al Centro Culturale San Fedele, che ha attivato una collaborazione con due delle organizzazioni che abbiamo già nominato (prima SVN e poi Plunge). Tutta gente che si è messa insieme da un giorno all’altro per sbattersi a portare qualcosa di diverso in città.
Un trionfo di tutto questo lo abbiamo visto in questo mese di giugno: la prima edizione di Zuma, la quarta di Saturnalia, la quarta di Terraforma e la terza delle Cinque Giornate DIY hanno sancito definitivamente che ora a Milano c’è tantissima musica, e molto bella.
Zuma ha visto unirsi (in quella che è stata chiamata “alleanza galattica”) una serie di realtà che vanno da negozi di dischi (Reverend e Volume) a gruppi che già organizzavano concerti (al Piano Terra o Sotto la Sacrestia, o al Cox18, con La Società Psychedelica e TROK), una serigrafia (Legno), locali (tutto il bar era gestito dallo staff del Dal Verme di Roma), etichette (Black Sweat), uno studio di registrazione (il Guscio)… Hanno preso in affitto una cascina alle porte di Milano e messo su una tre giorni con possibilità di campeggio e concerti a tutte le ore improntata sulla psichedelia, sono riusciti a portare un nome storico come gli Embryo e la reunion dei Futuro Antico, un concerto bellissimo di Gaetano Liguori con i Jooklo Duo, grupponi italiani contemporanei come Rainbow Island e Squadra Omega, esordienti bravissimi come gli halfalib e ospiti stranieri come King Ayisoba e le Mandolin Sisters. Hanno visto arrivare più del doppio della gente che si aspettavano (senza che sia mai nato alcun problema di nessun tipo) e adesso il dilemma è se replicare o se è andata talmente bene da non ripeterlo mai più.
Questa edizione di Saturnalia è stata una cosa quasi incredibile per impegno, dimensioni, qualità della line-up, capacità di gestione e quant’altro, una cosa quasi mai vista in uno spazio occupato. Oltre ai bellissimi set di Evan Parker (!) con Walter Prati, dei Camusi, al dabke del siriano Rizan Said, al progetto del poker Tricoli/Nocera/KNN/Sec_, Croatian Amor, i live fantastici di Merchants e Donato Epiro, l’incredibile Bernardino Femminielli, gli Young Echo, Forever Now, i geniali Macumbas, le spinte di Violence e di Killbourne (solo per citarne alcuni), è incredibile come la quantità di gente accorsa non abbia creato nemmeno code alle casse, in un clima di condivisione e libertà semplicemente impensabile in qualsiasi altro contesto.
Terraforma, se già era una meraviglia, quest’anno ha alzato l’asticella per quanto riguarda il programma: Suzanne Ciani, Laraaji, GAS, Arpanet, Andrew Weatherall, Ron Morelli, Objekt e Mala sono nomi che siamo abituati a leggere sulle riviste (le migliori), e vederli tutti insieme in un festival in mezzo a un bosco è qualcosa di assolutamente unico, che non a caso ha richiamato gente da tutto il mondo in un’atmosfera che Weatherall ha paragonato a quella della Ibiza di trent’anni fa. Lasciatemi spezzare una lancia anche per l’incredibile live del progetto KAFR (i Senyawa insieme a Rabih Beaini), probabilmente il migliore che abbia visto in tutto l’anno, una cosa vicina alla mia idea platonica di musica.
Le 5 giornate di Milano si confermano una certezza, un momento di comunione (e di benefit per i compagni arrestati) in cui tutta una serie di collettivi (quest’anno erano Into the Week, Queens of Chaos, Malami, 666 Cult e Milano DIY, ma negli anni scorsi hanno partecipato anche Knife Shows, Occult Punk Gang e altri) che solitamente collaborano o sono semplicemente amici si ritrovano a fare qualcosa tutti insieme, sotto l’insegna Milano DIY Hardcore Punk, in quegli spazi che vivono da anni (T28, Villa Vegan, Torchiera, Boccaccio e una TAZ – acronimo che sta per zona temporaneamente autonoma – in Ripa dei Malfattori. Quest’anno niente via Gola, che ha regalato momenti memorabili nelle edizioni passate): incontri, dibattiti e concerti, gruppi non solo punk e hc da tutta Italia, un po’ di Europa e pure Portland.
Sono festival molto diversi tra di loro, c’è un abisso tra le 5 Giornate e Terraforma, che è sicuramente l’evento più “istituzionale” tra quelli citati (per quanto anch’esso organizzato da un’associazione, Threes): ha un budget infinitamente più alto, degli sponsor, ecc. Ma un’analisi su quello che accade in musica oggi a Milano che escludesse uno dei due mi sembrerebbe per forza di cose incompleta. Queste realtà hanno tutte anche molte cose in comune: intanto il pubblico è spesso lo stesso, e non è raro vedere gli organizzatori di questo o di quel festival partecipare alle serate organizzate dagli altri. E soprattutto sono tutti festival che mettono davanti a ogni cosa la musica, che fanno scelte basate soltanto sulla qualità e l’amore, lontane da logiche prettamente commerciali o da evento mondano, e anche da quei carrozzoni con line up messe assieme tirando i dadi, puntando sulla nostalgia e su bollitissime superstar americane che sono diventati i festival “importanti”.
Il paragone non può neanche esistere, si tratta di giganti contro i moscerini, d’accordo, però lasciateci almeno la certezza che se qualcosa di nuovo e di significativo sta accadendo a Milano in questi anni, qualcosa di davvero importante e con una valenza culturale (o in un paio di casi controculturale), qualcosa che verrà ricordata anche tra decenni, sicuramente è da queste realtà che sta passando. Avanti così.
Foto di copertina: Terraforma, di Ludovico Watson.
Federico è su Twitter: @justthatsome.