Música

Com’è stare in una band quando hai problemi mentali

Foto Di Matt Connolly

Ciao, mi chiamo Andy e negli ultimi anni ho fatto musica col nome di Caïna. I miei problemi mentali includono disturbi maniaco-depressivi, molti altri legati all’ansia e alla sfera autistica.

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Sono almeno vent’anni che ascolto metal—praticamente due terzi della mia vita—e ho avuto problemi mentali per altrettanti anni. Un po’ per questo e un po’ perché da piccolo ero uno stronzetto, non avevo molti amici, e trovavo evasione nelle cassette metal e immergendomi nei libretti dei testi, che scatenarono la mia immaginazione elevando a miei eroi i musicisti che li scrivevano. Mi appassionava la forza del metal, la sua potenza, l’assenza di compromessi. Man mano che crescevo, però, in me montava progressivamente un dubbio: le canzoni metal contenevano storie tragiche e deliri di psicotici rinchiusi in manicomio, ma nulla in cui potessi davvero ritrovarmi. Quindi magari facevo male ad amare questa musica così potente e spaventosa, dal momento che io ero un secchione pavido e sfigato, magari non era fatta per gente come me. Non migliorò mai, anzi: quando nel 2002 scoprii il black metal, mi si aprì un mondo: c’era addirittura un sotto-sotto-genere dedicato alla depressione! Be’, a dire il vero neanche quello mi diceva davvero granché, mi chiedevo dove fossero le canzoni sul non riuscire ad alzarsi dal letto per due giorni, a rigirarsi la lanugine ombelicale tra le dita. Perché nessuno scriveva concept album sul cancellare tutti gli impegni per starsene seduti al sicuro nelle doccia, completamente vestiti, per sei ore di fila?

La risposta è, ovviamente, perché farebbero cacare tutti. Ad ogni modo, ho trovato la maniera di attraversare questo periodo turbolento e costruirmi una carriera nel mondo del metal. Ultimamente sono anche stato al centro di strane polemiche derivate dal fatto che ho avuto il coraggio di essere un musicista black metal che nella vita reale non è un pupazzo, per cui questo potrebbe sembrare un articolo un po’ pretestuoso. Perché lo scrivo, allora? Perché tra un mese compio trent’anni e, ogni volta che mi guardo allo specchio, dietro le cicatrici precoci di un sacco di vecchie risse, rivedo il me stesso adolescente, con cui mi sento profondamente in debito. Non credo di parlare per tutti quelli che sono in condizioni simile alle mie, sto solo descrivendo le mie esperienze personali per le prossime generazioni di bimbi metallari solitari e disturbati. Ecco com’è stare in una band ed essere matti.

1. NON VUOI FARE NIENTE

Un elemento fondamentale di una carriera di successo è la capacità di fare tutte le cose che devi fare al momento opportuno. D’altro canto, un elemento fondamentale della depressione è l’incapacità di fare niente di quello che devi fare al momento opportuno. Spero di non essere troppo sottile ma a me pare esserci un chiaro conflitto di interessi in corso: potrebbe sembrare che vedere il mondo intero come una massa informe di grigiori deprimenti sia una condizione perfetta in cui stare per iniziare a comporre delle tracce di malessere oscuro e violento ma, sfortunatamente, essere un metallaro non ti vaccina automaticamente contro l’entropia mostruosa che questo si porta dietro. Anche prendere in mano uno spazzolino da denti sembra una roba impossibile, figuriamoci prendere in mano una chitarra, o rispondere alle mail, o ricordarsi che hai un concerto in arrivo, bookato in un momento di stupido ottimismo. Il che ci porta al prossimo punto:

2. VUOI FARE QUALSIASI COSA

Anche se un termine più tecnico e aggiornato come “disturbo bipolare” ha oramai catturato l’attenzionedei più, io pereferisco ancora chiamarla “sindrome maniaco-depressiva”, perché ogni volta che la fitta nebbia della depressione si dirada, viene sostituita da un senso euforico di vitalità ed eccitazione. Hai bisogno di stare attivo, a qualsiasi costo. Un concerto in Portogallo lunedì prossimo? Certo! Uno a Londra il lunedì successivo? Figata! Entrare in studio il giorno dopo? Non vedo l’ora! Vi srete fatti un’idea, insomma. Si finisce per programmare talmente tanta roba che diventa tutto un domino, che finisce inevitabilmente per collassare su se stesso, spesso in maniera catastrofica, per poi ricominciare da capo.

3. “POSSO ANDARE IN TERAPIA ANCHE SE SONO SATANISTA?”

Questa domanda mi è stata effettivamente fatta durante un’intervista che ho rilasciato per una fanzine. Anche se durante tutta la mia carriera sono stato accusato di screditarli o metterli in ridicolo, ho un grande rispetto per i significanti tradizionali del metal e della cultura che lo circonda. Sfortunatamente, per gente come me possono essere un problema. Il metal è indubbiamente sinonimo di potenza, dignità ed estremismo—tutte cose che per esistere devono tenersi lontane dai compromessi. Ma quando una persona è affetta da disturbi mentali, si sente molto spesso derubata di tutta la potenza e di tutta la dignità, da parte della sua stessa mente e della sua stessa carne. Quando ho iniziato a capire questa cosa, da adolescente, ho iniziato a sentire anche un palpabile senso di vergogna. Come si fa a sentirsi parte di una cultura così intensa, estrema e individualista quando sei così dipendente dagli altri? Quando per sopravvivere devi confessare a un medico quante ore dormi la notte, quante volte al giorno ti masturb e quante volte a settimana pensi ad impiccarti? Poi però mi sono reso conto che non c’è davvero un cazzo di glorioso a non avere bisogno degli altri, anzi, spesso è più sano scoprire la propria forza e la propria dignità facendosi aiutare. Dopotutto, pensateci, la maggior parte delle metal band sono formate da più di una persona: tutti hanno bisogno degli altri, in un modo o l’altro, ed è giusto che sia così.

4. TI CHIEDI SEMPRE PERCHÉ FAI UN LAVORO CHE TI TERRORIZZA

Ho avuto un grosso esaurimento nervoso nel febbraio del 2013, da cui devo ancora riprendermi del tutto, ma l’unico modo in cui sono parzialmente riuscito a superarlo è stato cercare di spaventarmi continuamente a morte. ho invitato altra gente a unirsi alla mia band, che era stata un progetto solista per circa nove anni. Ho reiniziato a fare concerti live, cosa che non facevo dal 2009, in giro per tutto il paese e spesso in completa solitudine. Insomma: mentre prima evitavo accuratamente di mettermi alla prova, di entrare in conflitto con le avversità e di stare in contatto con altri esseri umani—al punto da chiudermi in casa per settimane senza telefono e con una piccola scorta di cibo—ho poi scoperto che scagliarmi contro certe barriere mi faceva stare meglio. Faccio cose che mi terrorizzano perché cacarsi addosso è spesso una cosa salubre. Se no lo fai vuol dire che non sta cambiando niente, e quando stai toccando il fondo ti rendi conto che quel senso di vuoto è molto peggio che avere le budella infiammate dal terrore perché ti si è rotta una corda sul palco.

5. QUANDO È CHE UN FRATELLO METALLARO SMETTE DI ESSERE UN FRATELLO METALLARO?

Mi sono attirato un sacco di insulti nella scena metal perché in molte interviste ho espresso delle idee libertarie e di sinistra. Il mio disturbo acuto da stress mi rende particolarmente esposto ai fraintendimenti, e spesso anche profondamente ingenuo… o profondamente paranoico! L’aggressività e la negatività mi fanno scattare, perché trovo sempre molto difficile prevedere come reagirà la gente, il che mi fa cogliere sempre completamente impreparato. Sono dovuto scendere a patti col fatto che molte delle cose in cui credo non sono ben viste tra i metallari, ma che c’è di metal nell’andare sempre d’accordo con tutti? E che c’è di divertente?

La conflittualità fa parte della vita e del metal (e non solo come tematica): tutti quanti, me incluso, ce ne spariamo un po’ di tanto in tanto. Non si può andare sempre tutti d’amore e d’accordo, perché molti di noi sono dei misantropi scazzati che preferiscono ascoltare musica caciarona che guardare gli altri negli occhi.

In realtà penso sia una gran figata, ma sono matto, per cui non faccio testo.