Federico Babina è un designer multitasking

Ho sentito parlare per la prima volta di Federico Babina grazie a un articolo di The Creators Project USA. Presa da un interesse non solo patriottico nei confronti di quest’italiano trapiantato a Barcellona, che ama definirsi un “multitasking designer” e che associa con disinvoltura i media artistici più diversi, ho deciso di fargli qualche domanda sul suo modo di intendere l’architettura e sulla sua idea di arte.

Per quanto le illustrazioni di Federico Babina tendano ad avere uno stile riconoscibile e in una certa misura uniforme, gli oggetti raffigurati hanno sempre un che di sorprendente e originale: le nazioni diventano edifici, i grandi nomi della musica diventano complessi monumentali, i ritratti degli architetti si frammentano in pixel o in elementi architettonici delle loro stesse creazioni e le capitali europee diventano collage dei loro monumenti più rappresentativi.

                                    

Trovare notizie sulla tua biografia è quasi impossibile… Nasci architetto e fai l’illustratore per passione? O viceversa?
Sono nato con le illustrazioni delle favole, cresciuto con i tratti dei fumetti e maturato con il disegno d’architettura. L’illustrazione fa parte del mio mondo immaginato ed immaginario. E poi un architetto deve per forza essere anche un buon illustratore, il disegno è il primo mezzo in cui l’idea prende forma. 

Ho apprezzato molto la tua serie ARTISTECT, perché in effetti le analogie stilistiche tra architetti e pittori ci stavano tutte. Credi che se questi artisti avessero collaborato davvero sarebbero migliorati ulteriormente? O hai più semplicemente immaginato una casa di Wright dipinta da Kandinskij?  
Ho cercato di trovare possibili e impossibili incontri tra artisti e architetti. Alcune coppie hanno avuto rapporti reali. L’idea era quella di studiare attentamente il linguaggio espressivo di un artista e di leggere tra le righe l’architettura nascosta in esso, le connessioni probabili e improbabili tra le forme di espressione e linguaggi estetici.  
L’intenzione che c’è dietro è estroversa ed esibizionista: celebrare un punto d’incontro e di scontro tra il rigore dell’architetto e il gesto dell’artista. Le 25 immagini della serie provano a raccontare l’architettura e la pittura tramite la mescolanza e la sovrapposizione degli stili. In queste immagini l’architettura assume forme metafisiche, cubiste, dadaiste, astratte e surrealiste. Mondi in continua relazione che si sovrappongono in questo giocoso esercizio per offrire un punto di vista alternativo e trasversale.  

 

Mi sembra che al centro della tua poetica da illustratore ci siano le linee più che i volumi. Nelle illustrazioni di ARCHI_PORTRAIT, ad esempio, realizzi ritratti di architetti con le loro stesse opere, ma il tutto resta sempre su un piano bidimensonale. Trattandosi di architettura non è un po’ un paradosso?
Non è una regola. La semplicità del disegno bidimensionale mi permette sicuramente una maggiore capacità comunicativa. Mi piace la ricchezza del linguaggio e la diversità delle sue forme e non voglio confinarmi in un determinato stile.  William Morris diceva: “il mio concetto di architettura è nell’unione e nella collaborazione delle arti, in modo che ogni cosa sia subordinata alle altre e con esse in armonia.”

Quali sono i motivi che ti spingono a ridurre la musica a edificio, l’architettura a grafica bidimensionale, Andy Warhol a pixel? Cerchi “l’opera d’arte totale” o qualcosa del genere?  
Cerco di scovare l’architettura nei “luoghi sensibili”, mi piace molto farlo. Per quanto riguarda il mio concetto di arte, per me non è altro che una capacità di vedere e dare forma a sentimenti idee ed emozioni; alcune volte può essere frutto di una strategia razionale ed altre di un gesto istintivo, a volte la cerchiamo senza trovarla mentre altre ci visita di sorpresa.  

Sul web sei praticamente dappertutto. Quali sono i tuoi obiettivi artistici e di fama?  
Non ho obiettivi di fama.  Il mio unico sogno è quello di non perdere la capacità di sognare. Non mi piace proiettarmi nel futuro: è abbastanza difficile riconoscermi  nel presente e ricordarmi nel passato, il futuro lo lascio stare. 

 Per saperne di più sulle opere di Federico visitate il suo sito!

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