Heldon/Richard Pinhas. Credits: Cuneiform Records
Circa cinquanta anni fa due persone hanno deciso di cambiare il corso della storia. Robert Moog e Don Buchla hanno sempre lavorato separatamente, e nonostante tutto hanno inventato due strumenti passati alla storia come sintetizzatori analogici. Neache a dirlo, oggi la musica è intrisa di suoni sintetici, e nonostante tutto molti ascoltatori rimangono attratti dall’effetto anomalo e unico che questi incredibli sintetizzatori analogici sono in grado di ricreare. Tutti, da Taylor Swift ai Tame Impala hanno fondato il loro impero su questi suoni e spesso i synth analogici si sono pure diffusi nell’ambito della musica heavy.
Artisti come Zombi, Sunn O))), Pinkish Black, Acid Witch, e The Haxan Cloak usano questi macchinari come elementi chiave delle loro produzioni, e pure puristi prog rockers affiliati maestri dei synth come gli italiani Goblin o il regista-barra-musicista John Carpenter hanno ricevuto riconoscimenti ufficiali in merito. Il suo Lost Themes, uscito quest’anno, è stato ampiamente elogiato dalla critica più autorevole come NPR e Rolling Stone, mentre i Goblin (affiliati al mondo dell’horror grazie a capolavori come Zombi e Suspiria) si sono riformati e stanno riportando in auge il sound sintetico e diffondendolo tramite tour e festival. D’altro canto, l’ascesa di generi più oscuri, dark e retrò come il synthwave (uno stile che in pochissimo tempo ha sfondato grazie alle atmosfere ampollose, lente e lunatiche dei primi film di azione degli anni Ottanta) è stata resa evidente dalle colonne sonore di film moderni come Drive e da ex frontman di band culto dell’hardcore come gli America NIghtmare, che da un momento all’altro si sono messi a capeggiare gruppi elettronici come i Cold Cave.
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Nonostante sia evidente che l’uso dei synth si stia diffondendo anche nel metal, e stia ottenendo consensi da label come Relapse Records (che nel 2015 ha fatto uscire almeno dieci album prodotti con synth), c’è comunque una diffusa ignoranza riguardo i loro pionieri. Quando si vanno a leggere le news su queste uscite, sembra che i fan e la critica si limitino a comparare queste produzioni a un ristretto numero di classici. Altrimenti si riferiscono ad altri compositori recenti. C’è un intero universo di musica fatta con i synth che va oltre le colonne sonore degli horror culto o i Tangerine Dream, e ogni volta che una testata importante recensisce dischi di musica elettronica utilizzando a dismisura le parole “John Carpenter”, mi sento morire dentro. È come comparare qualsiasi band rock ai Led Zeppelin. Sì, sappiamo che spaccano, ma ciò non vuol dire che tutti là fuori facciano roba simile.
Sono da tempo immemore fan e artefice di musica synth e heavy metal, quindi so bene che esistono tanti altri artisti del settore che meritano di essere ricordati. Ho accresciuto la mia conoscenza in materia andandomi a spulciare quanti più album possibili contenenti synth, leggendomi tutte le note nei retri dei dischi e persino fidandomi del solo artwork. Grazie a Youtube e alla vasta gamma di servizi di streaming di cui diponiamo, oggi anche gli album più sconosciuti sono facilmente rintracciabili. Quanto segue è ben lungi dall’essere una rassegna esaustiva, ma spero almeno serva ad ampliare l’immaginazione di chi non ha voglia di fermarsi ai soliti tre nomi in croce.
KLAUS SCHULZE
So benissimo che Schulze è il nome più scontato qua dentro, ma non me la sento proprio di escluderlo. È una specie di Black Sabbath degli anni Settanta; unico nel suo genere, prolifico, affine alle sonorità più oscure e responsabile della nascita—nel senso che molto spesso se ne è occupato proprio nelle vesti di produttore—di un intero genere musicale, imitatori compresi. Se la sua prima band, i Tangerine Dream è spesso citata come progenitrice del suddetto genere (se ne è andato dopo il primo album), Klaus era stilisticamente più consistente degli ex colleghi e durante il suo percorso musicale, cioè per tutti gli anni Settanta e inizio Ottanta, ha lasciato una firma ben più personale e riconoscibile. Ogni suo album contiene tracce di trenta minuti e passa, ognuna corrispondente a un delirio misterice, meditativie e spesso trascendentale diverso. Molte di queste ruotano attorno a sequenze di suoni lenti, cervellotici e matematici, che nel complesso vanno a costituire l’oceano di materia indefinita in cui ci si trova a fluttuare quando si prendono allucinogeni tutto il giorno. In pratica basta leggere i titoli che dà alle cose, come Timewind, Moondawn o “Mindphaser”, e sei già fatto.
HELDON
Richard Pinhas—la mente dietro gli Heldon—invece, potrebbe essere l’equivalente in musica del regista/profeta Alejandro Jodorowsky. Come costui ha fatto con i film e le stampe, questo Dottore in Filosofia francese, nei primi anni Settanta, ha pubblicato un catalogo di progetti musicali sci-fi-centrici dalle derive allucinogene e nel complesso spaventose, tutto chiaramente autoprodotto. Quando suonava sotto il nome di Heldon, Pinhas ha convertito un sacco di altri suoi contemporanei alla sua bizzarra cacofonia, compresi i membri della band pyscho-fusion dell’altro mondo per eccellenza, cioè i Magma, che hanno aggiunto elementi jazz alle chitarre di Pinhas. A fungere da collante, chiaramente, sono stati le impenetrabili, ripetitive e strabilianti linee di synth. Texture ambient opache e morbide si trasformano in marce funerarie meccanizzate, con un processo che è una tipica espressione della follia francese che gli appartiene. I collegamenti con altri pazzoidi suoi simili come i Melvins o Boris non sono difficili da individuare. Release come Heldon IV: Agneta Nilsson, e il penultimo Stand By sono la dimostrazione che Pinhas è del tutto capace di controllare il caos che imprime ogni sua composizione.
SUZANNE CIANI – SEVEN WAVES
Seven Waves ha un suono molto più leggero del resto dei dischi qui descritti. È anche una delle migliori ma più sottovalutate raccolte di musica per synth mai uscite. Prima di registrarlo nel 1982, Suzanne Ciani aveva lavorato per parecchi anni come ingegnere del suono. In particolare, si era fatta un nome come esperta nella programmazione di synth particolarmente ostici, producendo suoni per le pubblicità televisive di Fortune 500, dischi famosi e per alcuni dei primi videogiochi arcade. In Seven Waves mette al lavoro le sue supreme conoscenze e abilità in maniera quieta e affascinante, secondo uno stile che somiglia ben poco a quello degli altri maestri elettronici dell’epoca, scandito dalle maree di un oceano artificiale. Dopo di questo album, la carriera della Ciani virò verso territori new age zuccherosi più adatti a una SPA che allo spazio, ma Seven Waves resta il testamento di una grande musicista e grande tecnica, ed è un percorso che ha poi ripreso nelle recenti collaborazioni coi Neotantrik.
JAN HAMMER – THE FIRST SEVEN DAYS
Conosciuto dai più come l’uomo dietro al tema di Miami Vice (e alla sua militanza nei guru della fusion Mahavishnu Orchestra), il tastiersita prodigio ceco Jan Hammer fu anche autore di uno splendido album solista nel 1975 intitolato The First Seven Days. L’album si regge tutto sulla tecnica jazzistica e fortemente espressiva di Hammer, e, nonostante il tema biblico della creazione sia parecchio trito, la palette sonica usata nel costruire ogni traccia come un giorno è assai più ricca di quella pastellosa e illuminata al neon tipica delle sue colonne sonore. Tutti i pezzi del disco sono straordinari, ma la prima traccia “Darkness/Earth in Search Of A Sun” presenta tutti i migliori elementi del disco: un’esecuzione umana e intelligente e dei suoni molto ben modellati, che evocano con forza l’immagine di un pianeta appena sorto dal nulla primordiale.
ELOY
A casa loro, il gruppo tedesco Eloy, era considerato al pari di Pink Floyd, Genesis e altri colossi del prog rock degli anni Settanta. I loro primissimi album vedevano la presenza di organi elettronici—valgono assolutamente la pena—e un esempio è Power and the Passion, del 1975. La seconda fase li vede approdare verso elementi più sintetici e creativi, come appunto i synth, col risultato che hanno sfornato una lunghissima serie di dischi pensando SOLO a far viaggiare l’ascoltatore medio. Molte tracce affrontano proprio il tema della città del futuro, la solitudine degli spazi di esplorazione (vedi “Through a Somber Galaxy”), altre sono soltanto manifestazioni di gioia, perché fluttuare in libertà nello spazio-tempo è comunque un’esperienza felice.
RAMSES
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