Tecnología

​Ho chiesto a Massimo Banzi se Arduino è solo un fenomeno di marketing

Avevo tredici anni quando, in preda ad un capriccio dettato dalla mia voglia di prendermi 220 volt di scossa, mi feci comprare uno scintillante Arduino Duemilanove assieme a decine di cosette utili alla pratica—resistenze, fili elettrici, qualche bottone, un paio di potenziometri e un motorino. Di elettronica, sia adesso che allora, non ne so assolutamente niente; probabilmente il mio livello di conoscenze in materia rimarrà tale per tutto il resto della mia vita, ma guai a toccare il mio Arduino.

Siamo nel 2014 e dover spiegare a voi giovani cosa sia Arduino mi pare piuttosto grottesco, ma nel caso non vi foste accorti che la Guerra Fredda è finita e non siate ancora usciti dai bunker antiatomici noi siamo qui per questo. Arduino è un microcontrollore, ovvero un circuito elettronico munito di chip e di un ambiente di sviluppo integrato (IDE) così intuitivo da sfruttare che pure il sottoscritto, un tempo, lo utilizzava per creare comodissimi circuiti capace di accendere in alternanza ben tre diversi LED.​

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​ Amo dire a me stesso che questa faccenda di Arduino è in realtà solamente un feticcio che, come una voragine, risucchia qualunque persona anche solo lontanamente appassionata di tecnologia in un tunnel senza fine fatto di valori ohm, acquisti sconclusionati di fili di vario tipo e inesorabili tutorial che portano a tutto meno che al prototipo voluto funzionante. Purtroppo, anzi per fortuna, la verità è ben altra: Arduino, la creatura di Massimo Banzi, è un capolavoro di marketing, usabilità ed efficienza pratica. 

Un Arduino Duemilanove collegato ad uno shield di supporto, chissà a cosa serviranno. Immagine: Giltesa.

Facendo progressi con un’attitudine fortemente iperbolica, Arduino nasce nel 2005 e a oggi conta centinaia di rivenditori in tutto il mondo. Con una politica di business pressoché perfetta, il microcontrollore di Banzi si è imposto come vero e proprio baluardo del crescente movimento DIY nel mondo, garantendo un costante supporto ed una varietà di prodotti diversi per tutti i tipi di necessità.

In una qualche maniera, il progetto di Banzi ha assunto un’identità di prodotto molto simile a quella di un qualunque prodotto Apple. Con un target dichiarato estremamente fumoso che spazia dall’hobbista della domenica al professore universitario che vuole adottare nuovi metodi didattici, una campagna di propaganda ben mirata ha fatto in modo che Arduino diventasse il punto di partenza, per eccellenza, per chiunque volesse darsi da fare con la tecnologia 2.0 fatta di droni, robot, stampanti 3D e prototipi inter-connessi.

Quando nel 2012 Eben Upton si è fatto vivo sul mercato di settore con il suo Raspberry Pi, benché i due modelli fossero, sostanzialmente, molto diversi, il paragone è stato immediato ed ha portato Arduino a fortificare la sua posizione nell’immaginario collettivo: Raspberry Pi è una figata, ma forse è meglio cominciare da un Arduino.

L’ambiente di sviluppo unificato per tutti i modelli e gli shield di Arduino si sta comportando, quasi meschinamente, nella migliore delle maniere possibili: esattamente come nel caso di Apple, una scena di sviluppo tecnicamente chiusa limita sicuramente il prosperare di innovazioni radicali che potrebbero rivelarsi cruciali e storiche, ma al tempo stesso rassicura l’utente, accompagnato in una suite  confortevole fatta di tutorial ufficiali e supporto capillarmente diffuso.

Cosa succederebbe se arduino venisse colpito dallo stesso stigma di cui oggi soffre qualunque prodotto apple?

Non è importante che questi fatti rispecchino o meno la realtà, l’importante è che la pensi così la clientela importante, ovvero quella fatta di hobbisti disimpegnati che hanno comprato Ardiono per costruire delle scarpe auto-allaccianti e che poi hanno lasciato la scheda a prendere polvere dopo aver fatto illuminare un paio di LED.

Che sia successo consciamente o inconsciamente, la strategia di Banzi funziona. Il suo prodotto è un capitolo storico del grande libro del DIY e l’impulso che Arduino ha lanciato è e sarà fondamentale almeno per un altro paio di decenni, sdoganando la commerciabilità di prodotti prima pensati per una nicchia ristretta. Resta un problema: se Arduino venisse colpito dallo stesso stigma di cui oggi soffre qualunque prodotto Apple?

La questione mi sembrava piuttosto interessante, così sono andato proprio da Massimo Banzi e gli ho chiesto cosa ne pensasse, “Arduino si basa sui valori della comunità e dell’open source, il nostro obiettivo è in definitiva quello di dare alle persone la possibilità di essere creativi con la tecnologia. Lavoriamo quindi su valori molto diversi rispetto alla mistica dei prodotti, del brand, di Steve Jobs con cui è ammantata la realtà di Apple.” dice Massimo, “Per Arduino, è la comunità a diffondere i nostri valori e di conseguenza il nostro nome.”

Nella stesura di questo articolo, inoltre, ho trovato difficoltà a trovare dei dati commerciali aggiornati riguardanti Arduino, “Il business sta crescendo. Ma l’aspetto meramente commerciale non è ciò che ci guida e quindi non siamo interessati a rilasciare numeri e dati e a basate la nostra comunicazione su questi aspetti.” Non mi potevo aspettare risposte troppo diverse, d’altronde.

Massimo Banzi durante il suo talk al TED. Immagine: TED.

Un altro dubbio attorno ad Arduino riguarda la qualità dei prototipi sviluppati con esso, spesso infatti la maggior parte dei miliardi di progetti sviluppati sono degli “sfizi da togliersi”, tutti dispositivi che vanno a risolvere dei problemi che, senza l’ausilio di Arduino, mi richiederebbero molta poca fatica per essere sistemati “manualmente”. Inoltre si tratta quasi sempre o di progetti completamente incredibili (ma con poca applicazione “pratica”) o di utility casalinghe che richiedono, comunque, una conoscenza iniziale degli strumenti non da poco.

“Il mondo dei progetti che le persone fanno con Arduino è davvero molto variegato, molto più di quanto si veda online o sui giornali. Per esempio gli studi sul DNA o altre applicazioni che hanno veramente un impatto scientifico e culturale spesso sono meno visibili di altri perché non fanno cliccare. Bisogna quindi stare attenti a valutare questo aspetto: spesso e volentieri è solo un problema di comunicazione e di interesse da parte della stampa.” premette Banzi prima di affrontare la parte spinosa del discorso.

“Arduino, d’altra parte, ‘soffre’ la stessa condizione dei contenuti web in generale: il 90 per cento è ‘fuffa’ e il 10 sono articoli di qualità con punti di vista argomentati e interessanti.

La soglia di accesso molto bassa con cui si accede al web (e ad Arduino) implica questa dinamica, è una sana conseguenza della democratizzazione della tecnologia. Io da parte mia preferisco nettamente che la situazione sia così, con una grande ricchezza di contenuti di vari livelli piuttosto che una comunicazione e una progettualità basati e gestiti dal decisionismo di pochi e in cui le persone sono solo consumatori passivi.” conclude.

Arduino ‘soffre’ la stessa condizione dei contenuti web: il 90 per cento è ‘fuffa’ e il 10 sono articoli di qualità..

Un’altra faccenda piuttosto spinosa, per un’azienda, è avere a che fare con prodotti che hanno un’identità molto simile ai propri. Per Arduino il diretto competitor è Raspberry Pi, che però non è così simile alla scheda di Banzi come si potrebbe pensare: “Raspberry Pi è la scheda madre di un piccolo computer Linux la cui caratteristica principale è il suo essere economico. Arduino invece si propone di essere una piattaforma completa supportata da una comunità. Alla minore prestanza tecnica supplisce una produttività potenzialmente molto più elevata.”

Abbiamo poi parlato di marketing, partendo dalla questione fidelizzazione; si può parlare di lovemark quando si parla di Arduino? “Mi fa ridere questa definizione!” L’amore, si sa, è buffo, “noi di Arduino, abbiamo sempre lavorato su comunità, abbiamo incoraggiato le persone a condividere i loro progetti e siamo sempre fedeli ai nostri ideali come l’open source. Forse è questa coerenza a farci amare, insieme all’immagine riconoscibile in cui le persone si rispecchiano. Arduino è stato il primo progetto ad adottare un’immagine coordinata d’impatto e studiata nel dettaglio grazie al lavoro condotto da Giorgio Olivero dello studio Todo di Torino.”

Infine mi è toccato chiedere dell’UAAR alla CEI. Come si spiega il successo e l’efficacia di Arduino, un prodotto dalla doppia identità: da una parte ben radicata nell’open-source, dall’altra vero e proprio fenomeno di marketing? “Non mi piace per nulla la definizione “fenomeno di marketing”: sembra nascondere una menzogna, un’ipocrisia o obiettivi meramente commerciali. Arduino non fa pubblicità, non fa marketing. Riceviamo spesso richieste di invio schede alle redazioni a cui noi rispondiamo no. Il nostro è è un lavoro dal basso, fatto con la comunità.” mi dice Massimo, prima di puntualizzare che un’azienda di alto livello non è necessariamente separata in maniera netta dal mondo dell’open.

“L’open source fa già parte del mondo tecnologia di aziende di alto livello, ma spesso questo non viene segnalato. Penso per esempio a Apple.” Immagino che i talenti non manchino. Nel mondo dei videogiochi esistono le game jam, sessioni collettive dove gli sviluppatori creano videogiochi in 48/72 ore; c’è qualcosa di simile nel mondo dei maker? “Sì, Arduino è molto presente in realtà come gli  ​hackaton. Ora ci sono anche i makeathon.”

Insomma, Massimo Banzi, in qualità di buono, anzi ottimo, CEO ha chiarito molti dei miei dubbi, non resta che domandargli cosa aspettarsi da Arduino in futuro, “Siamo molto impegnati nel mondo dell’educational e siamo fattivamente al lavoro per semplificare l’uso dell’internet delle cose. Ci stiamo lavorando dal 2007. Un esempio emblematico sarà l’appartamento che apriremo a Torino, curato da Bruce Sterling e coordinato da Lorenzo Romagnoli. Si chiamerà Casa Jasmina.”

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