All’inizio c’è solo oscurità. Lo schermo si illumina di blu, poi di una violenta cascata di numeri esadecimali bianchi e parole corrotte, “UnusedStk” e “AllocMem.” Nero, blu, poi bianco, una bilancia attraversata da una spada; entrambe le immagini affondano, glitchano in un mare di grafiche bitmappate dell’era di Windows 1.0 —grigio chiaro e giallo su uno sfondo azzurro chiaro. Una scritta blu proclama, “Dio è disponibile!”
Questo è TempleOS V2.17, spiega la schermata iniziale, un “Public Domain Operating System” prodotto da Trivial Solutions, Las Vegas, Nevada. Accoglie l’utente con un mare di scritte a intermittenza a colori 16-bit; in base alle vostre esperienze passate potrebbe ricordarvi DESQview, il Commodore 64, o una serie di prime interfacce grafiche basate su DOS. Nello stile, se non nelle specifiche, evoca un’era particolare, un tempo in cui l’allora nuovo concetto di “personal computing” significava necessariamente programmare, ingegnarsi e decostruire.
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