La street art secondo Millo

Questo post fa parte della nostra serie #Campaign4Change.

La street art è una faccenda davvero complicata: la linea che separa l’opera d’arte dal vandalismo visivo è sottilissima e anche nelle condizioni migliori è sempre difficile riuscire a immaginare come una determinata opera verrà percepita.

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Non è però un problema di Francesco Camillo Giorgino, in arte Millo, che esprime il suo estro dipingendo su gigantesche murate cittadine. Le sue opere si appoggiano delicatamente al contesto urbano che le circonda e ne diventano parte attiva, riuscendo a dare vita a palazzi altrimenti inerti, senza però spezzare l’armonia della città.

Ha partecipato a festival di street art in mezza Europa, ha dipinto un intero quartiere di Torino e i suoi lavori sono esposti a Londra, Parigi, Rio de Janeiro, in Lussemburgo e in giro per l’Italia. Potevamo non contattarlo per farci due chiacchiere a farci disegnare non una, ma ben tre opere in esclusiva?

VICE: Puoi spiegarmi, prima di tutto, cosa fai?
Millo: Passo molto tempo della mia vita a dipingere su muri, il resto invece lo impiego per le funzioni primarie.

Perché la street art? Cosa hai trovato in questa pratica per renderla il tuo mezzo di comunicazione artistico?
Avere la possibilità di dipingere su grandi superfici mi fa stare in un certo senso in pace con me stesso, è una sorta di isolamento totale dal mondo. Il giorno che mi hanno proposto il primo muro mi sono davvero chiesto se ne fossi capace, poi, arrivato al dunque, tutto è andato nel verso giusto e non ho quasi più smesso.

L’arte urbana mi permette di essere immediato, per assurdo sembra che la gente si accorga di quanto siano brutti e grandi alcuni palazzi solo quando ci metti a fianco un murales, per questo mi piace pensarmi come un riflettore. Preferisco infatti le proposte volte alla riqualificazione urbana, poter lavorare in così breve tempo e riuscire a modificare la percezione di uno spazio attraverso il mio lavoro, è una cosa di cui sono profondamente orgoglioso.

Qual è l’iter per creare un tuo lavoro? Quali sono i vari passaggi?
Solitamente quando inizio un nuovo lavoro ho già visualizzato come verrà nella mia testa, ma realizzo solo un piccolo schizzo su carta che nella maggior parte dei casi non porto nemmeno sul cestello.

Una volta in bolla con il muro, con una pertica lunga quattro-cinque metri a cui ho già attaccato un pennellino in punta, realizzo una bozza con un grigio molto chiaro di alcune parti del corpo del personaggio, poi mollo l’asta e inizio a dipingere a mano libera quello che ho in mente. Da quel momento siamo io, il muro e il pennello.

Mi puoi elencare cinque opere (di qualunque tipo: cinema, musica, quadri, libri…) che ti hanno particolarmente influenzato e perché?
Purtroppo mi lascio influenzare facilmente. Mi sono accorto che in quello che realizzo tutto ciò che mi circonda ha la sua influenza… Dalla signora con il carrello che attraversa la strada, all’automobilista che sbraita, passando per i bambini che giocano al notiziario della radio…

Se dovessi scegliere cinque opere a cui sono legato e che hanno avuto un peso specifico diverso, nella mia vita direi: Daydream Nation dei Sonic Youth perché è un trattato su come portare all’estremo un concetto; Burned Children of America è una raccolta di racconti che uscì per minimum fax 10-15 anni fa, ricordo che rispecchiava molto il mio modo surreale di vedere le cose; Akira perché la prima volta che lo vidi avevo 15 anni e mi aprì completamente la testa. Poi Il cielo sopra Berlino che è poesia pura e poi, rimanendo sempre nella stessa città, anche un pezzo di architettura: la Nuova galleria nazionale di Mies Van Der Rohe perché la prima volta che l’ho vista dal vivo ho pianto.

Puoi raccontarmi dei tuoi lavori a Torino? È la mia città natale e mi ha sempre incuriosito il come potesse miscelare la sua natura industriale con la capacità di diventare un vero e proprio incubatore di realtà culturali e artistiche interessantissime.
Lo scorso anno sono risultato il vincitore del concorso BART – Arte in barriera, volto alla riqualificazione urbana del quartiere Barriera di Milano. Il progetto prevedeva la realizzazione di 13 facciate murarie. La realizzazione ha impegnato due mesi, e buona parte li ho trascorsi sospeso sul mio cestello con il pennello e il mio fido barattolo di vernice.

Il progetto presentato per il concorso si intitolava HABITAT e come dice la parola stessa aveva a che fare con il posto che noi occupiamo nel mondo.
Nei miei disegni sullo sfondo c’è una città-mondo che non ambisce a essere una città specifica ma piuttosto una città-tipo in cui ognuno di noi riesce a ritrovarsi. Tra i suoi palazzi, le sue strade i suoi incroci e suoi ponti, i miei personaggi fuori scala muovono i loro passi.

C’è chi in loro vede dei bambini, chi dei giganti, chi degli alieni… Forse è proprio questo il bello, ognuno trova in loro ciò che preferisce, per me loro sono il tramite attraverso cui veicolo il mio messaggio.

Qual è la tua Campaign4Change?
“Avere il coraggio di rischiare.”

Questa è la #Campaign4Change di Millo. Qual è la tua? Condividila qui.

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