Presi singolarmente sono due armi letali, ma, come ha dimostrato il loro debut EP Spiker, metti Perc e Truss insieme in studio con un carico di strumenti al tritolo e stai a osservare la devastazione che ne verrà fuori.
Come avete lavorato? C’è stata una sorta di jam session, avete improvvisato o avevate già uno schema in mente?
Perc: Be’, abbiamo sempre lavorato allo studio di Tom in centro a Londra. Attaccavamo le macchine e iniziavamo a improvvisare fino a trovare un paio di loop che ci prendessero. Di solito dopo un paio di ore di improvvisazione tiriamo su una traccia, la registriamo e poi iniziamo il lavoro di editing.
Truss: Registriamo un po’ alla brutta, quindi quel che succede, succede. Quelli che all’inizio ci sembrano errori, spesso finiscono per diventare parte della struttura della traccia. Si ha la mania, per colpa di certi software, di andare a editare tutto e poi rieditarlo, sovraeditarlo direi. Succede tantissimo nella musica da club, si ha l’ambizione di ottenere un sound rotondo. Su Two Hundred, questa maniera spontanea di lavorare ci ha portato a uscire da quell’assetto mentale per cui tutto dev’essere perfetto.
Questa è una concezione bellissima, in un’intervista avete parlato di “permettere a una traccia di deperire,” mi spieghereste meglio questo concetto?
Truss: Credo si tratti di dare attenzione agli elementi aleatori. Lasciamo che sia il processo compositivo a dettare la via e a formare il contenuto, quindi si tratta di catturare un’energia, una vibrazione, chiudendo le tracce così al volo.
La vostra collaborazione ha influito sui vostri lavori da solisti?
Perc: Be’, il modo in cui opera Tom e il mio sono due mondi separati. Io sono più da laptop, più analitico, ma quando lavoro con lui provo a catturare momenti, fare istantanee.
Truss: Negli ultimi due anni ho provato a produrre materiale un po’ meno consapevole: lasciavo che l’istinto fluisse e non ci pensavo troppo su. In ogni caso, nei miei lavori ho tentato di trovare un compromesso tra quell’approccio e qualcosa di un po’ più razionale. Alcune tracce le lascio lì e torno a lavorarci un paio di settimane più tardi, in modo da operare cambiamenti ragionati.
Sembra che ci siano un sacco di collaborazioni attive ad oggi, non tutte però riescono a combinare due stili come è successo nel vostro caso. Secondo me in Two Hundred c’è una grande coerenza, vi bilanciate. Questo succede specialmente nella title track, che concilia la passione di Tom per l’acid house e la direzione politica che tu, Ali, hai impostato in The Power And The Glory.
Perc: Sì, sono d’accordo che prenda molto dai nostri lavori più recenti, soprattutto il sample vocale e il fatto che sia la più acida tra le tracce dell’EP. Il sample è preso da un video di questo taxista, abbastanza noto su YouTube perché tocca un sacco di argomenti diversi: il governo, il welfare, la crisi. Penso che “Two Hundred” sia la prima traccia di protesta sull’aumento dei prezzi nella storia della dance music, haha.

Cosa trovi interessante nell’acid house? A me piace capire come i producer techno di oggi si adoperino per infilare riferimenti alla rave culture nelle proprie tracce, senza risultare nostalgici.
Truss: C’è qualcosa in quel suono della 303 che mi attrae mortalmente, così come sono innamorato della cassa distorta. Certi suoni mi arrivano in maniera diretta.
Perc: Per me è semplicemente bello costruire le mie tracce con hardware anziché trovare quei suoni in qualche plug-in software. Sto solo attento a non mescolare troppe cose. In “Forever Your Girl” mettere i tipici riff rave su un tempo spezzato mi avrebbe portato a comporre una traccia che suonava già vecchiotta, ma mescolare stilettate di quel tipo con casse techno dei giorni nostri mi ha evitato di cadere in un pastiche nostalgico. È questione di equilibrio, non bisogna farsi prendere troppo la mano.
Pensate che la techno inglese dovrebbe essere più solidale, anziché puntare ad assimilarsi con quella tedesca?
Perc: Certo, esiste un suono techno britannico che si sta facendo strada (anche se forse sta ancora nel sottobosco) ed è molto diverso da quello mitteleuropeo. Non è una decisione semplice quella di sganciarsi dai sound continentali, ma qui diciamo che c’è la tendenza a fare set più brevi e più intensi, e non c’è bisogno di dire che questa modalità influisce sulla composizione delle singole tracce. A Berlino è abbastanza normale fare dj set di 10 ore. Io adoro quel tipo di set, ma ancora di più adoro la tecnica UK applicata a quelle tempistiche, tipo quando Tom suona lì, i suoi set diventano qualcosa di imprevedibile, spaziano da un genere all’altro senza una via apparente. Però forse in un certo senso i set così lunghi sono limitanti, perché sei quasi obbligato a darti una compattezza.
Truss: Con il nostro modo di lavorare “spontaneo” mi piace pensare che nella musica che generiamo si percepisca una scintilla vitale, la si senta vibrare come un organismo, che è una sensazione che, oggi, non molta techno ti dà.
Perc: Credo che entrambi siamo abbastanza consapevoli di che tipo di techno c’è in giro in questo momento, e speriamo che Two Hundred sia qualcosa che un po’ si distingue da questa montagna di roba.
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