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Mangiare o non mangiare le croste dei formaggi secondo un esperto di formaggi

Beppe Giovale è un grande esperto di formaggi, quindi gli ho chiesto se tutte le croste sono sempre edibili. E la risposta è un po' complessa.
Lavinia Martini
Rome, IT

Le croste naturali sono tendenzialmente edibili. Quelle ottenute da trattamenti con paraffina, cere o altri prodotti chimici, come i coloranti, assolutamente no.

Penso che sia capitato a tutti e a tutte, davanti a un tagliere di fare quella cosa lì: prendere un coltello, strisciarlo lungo i lati, e mandare giù una fetta di formaggio lasciando le croste a sudare sul tavolo. O arrangiarsi addirittura con i denti, se non c’era altro a disposizione. 

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Beppe Giovale conferma che sono tante le persone che non sanno dove mettere le mani quando si tratta di croste. E Beppe Giovale la sa lunga sui formaggi: la sua bottega nel cuore del Ghetto di Roma, Beppe e i suoi formaggi, è una delle migliori formaggerie in città. Ma soprattutto la sua famiglia, i Giovale, produce formaggi da 400 anni in Val di Susa. D’estate le mucche vengono spedite al pascolo nelle vallate che separano la Francia dal Piemonte ai piedi del Moncenisio, dove vengono realizzate più di 40 tipologie di formaggi, che sono senza falsa modestia, uno più pazzesco dell’altro. Tutti rigorosamente a latte crudo. 

Se vai in Francia è davvero raro che qualcuno butti una crosta

Nella Capitale le formaggerie non sono tante e anzi, non sono tante le formaggerie in Italia, rispetto a quanti formaggi si fanno nel nostro paese, quasi 400 varietà. Al negozio del Ghetto si viene non solo per mangiarli, ma anche per capirci qualcosa di più: qui il banco trabocca di cose talmente assurde che si rimane sbalorditi dalla varietà di forme (tipo il caprino a forma di torretta o di cuore), colori e dimensioni. 

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Beppe e i suoi formaggi a Roma. Foto dell'autrice

Se vi è venuto il dubbio che mangiare la crosta del vostro formaggio vi avrebbe fatto stare male, partiamo da qui: le croste sono un argomento molto più complesso di quanto sembri. Si potrebbe fare un discorso a parte per la crosta di ogni formaggio (noi ci abbiamo provato). Ma in generale vale la massima di Beppe: “Se la crosta è edibile o no, te lo dice il bottegaio. È lui che conosce il caseificio e sa se su quel prodotto è stato messo qualcosa. Spesso la crosta la togliamo per sicurezza, perché non sappiamo chi ha manipolato il formaggio. Ma se vai in Francia è davvero raro che qualcuno butti una crosta” con evidenti conseguenze di cibo che viene buttato (spesso ingiustamente) e spreco. 

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“Quando non si è certi dell’igiene della filiera produttiva e commerciale, è meglio scartare la crosta” scrivono Armando Gambera ed Enrico Surra nel loro manuale sul formaggio “Ma è buona norma assaggiare la crosta in tutti i casi in cui è possibile. La vista, il naso, e soprattutto l’esperienza, ci aiuteranno a distinguere una crosta sana da una difettosa”. Per una definizione accademica, facciamo riferimento allo stesso manuale secondo cui le croste sono lo strato superficiale del formaggio che si crea dopo “la salatura, la stufatura e la maturazione”. 

Non tutti i formaggi hanno la crosta

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Altra massima: non tutti i formaggi hanno la crosta. In alcuni prende il nome di pelle (come nel caso della mozzarella) perché è estremamente sottile. Si chiama invece buccia se è uno strato sottile ma elastico (come per il caciocavallo), crosta infine se è un involucro duro e spesso in modo variabile. Inoltre si parla di “crosta fiorita” per i formaggi a pasta molle con una leggera muffa bianca (come il camembert) oppure “crosta lavata” se i formaggi vengono lavati con acqua e sale. Affinché la crosta sia edibile è fondamentale che il luogo di conservazione sia igienizzato e controllato: potrebbero esserci piccoli insetti o escrementi di roditori ed è bene che stiano molto, molto alla larga dai nostri formaggi.  

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Le croste naturali sono tendenzialmente edibili. Quelle ottenute da trattamenti con paraffina, cere o altri prodotti chimici, come i coloranti, assolutamente no. Oltre a chiedere, bisogna aguzzare i sensi e controllare aspetto, odore e colore. E ispezionare le muffe che si creano in superficie per capire se sono nobili, quindi create dal formaggio e controllate dal produttore. Ma se non vi fidate e soprattutto, non sapete da dove viene quel cibo, è meglio lasciar stare. 

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Il miglior consiglio, come sempre, è quello di trovarsi il miglior formaggiaio in circolazione ed evitate di comprare formaggi a caso. “Vedo tante persone in negozio che mi dicono: mi dia quel formaggio senza muffa. E dopo chiedono un gorgonzola che le muffe ce l’ha dentro. Solo perché piace vedere le muffe ben disposte all’interno, come se quelle esterne facessero male alla salute”.

Mangiare o non mangiare la crosta dei formaggi: la degustazione

Beppe però spinge per un approccio più pratico e meno teorico, così imbastiamo un tavolo di degustazione dove proveremo formaggi Giovale con e senza crosta per capire la differenza. Al tavolo si palesa anche Agostino, il commercialista di Beppe, e una bottiglia di champagne. All’appello ci sono otto formaggi, più qualche altro fuori concorso, disposti su un tagliere: a un primo sguardo è evidente che la crosta, oltre ad essere la parte più visibile, è anche la più interessante. E poi “toglierla è una perdita di tempo” dice Beppe. 

In questo caso togliere la parte esterna sarebbe assurdo ed equivarrebbe a buttarne buona parte.

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Primo formaggio, non ci sono muffe visibili sulla "crosta"

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Secondo formaggio: piccole muffe visibili

Cominciano con due torrette. Sono entrambi caprini, uno con una stagionatura di 15 giorni, uno di un mese e mezzo. La crosta ha piccole muffe e venature, ma rimane per lo più bianca. Partiamo dallo stesso formaggio ma l’aspetto non è lo stesso: questo perché muffe e croste si sviluppano diversamente a seconda del tempo e del formaggio. In questo caso togliere la parte esterna sarebbe assurdo ed equivarrebbe a buttarne buona parte. 

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Terzo formaggio: sulla parete esterna un colore arancione dato dal betacarotene

Passiamo al terzo formaggio. La parete esterna è leggermente arancione, perché c’è della polvere di betacarotene. Si chiama Rebrusson e all’assaggio è assolutamente evidente (come lo sarà per tutti gli altri) che la crosta è necessaria. Oltre a cambiare la masticazione, il sapore finale viene reso più intenso, più complesso ma anche più armonico. 


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Quarto formaggio

Il quarto assaggio è un vaccino a pasta semi cotta tipico dell’arco alpino. “In questo caso la crosta la mettiamo sopra noi” spiega Beppe “Perché ogni giorno, poco a poco, aggiungiamo acqua, sale e siero di latte, dello stesso formaggio, per non sprecare nulla. In proporzione”. 

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Quinto formaggio assaggiato

Il quinto assaggio è una classica toma piemontese, a latte magro. Anche senza crosta risulta buonissima, ma con la crosta, che viene spazzolata due volte nell’arco della stagionatura, il sapore esplode. 

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Sesto formaggio con la crosta marrone

Fin qui direi tutto bene. Ma al sesto formaggio, con la crosta marrone e bucherellata, le mie certezze cominciano a vacillare. Questa crosta viene spazzolata, come nel caso del parmigiano, e riesce ad amplificare l’aroma di latte scaldato, quasi bruciato, che è una caratteristica dei formaggi a pasta cotta. 

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Stiamo per concludere con quelli del vassoio che mi paiono più estremi. Entrambi hanno croste spesse, particolarmente rugose, con qualche punto più scuro.

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Settimo formaggio, con una crosta che sembra molto spessa

Il primo è un formaggio di pecora al latte acido, “il mio preferito” dice Beppe. Qui la crosta si forma da sola, il formaggio viene solo rivoltato ma non viene né spazzolato né lavato. Sembra molto spessa, quasi duplice, perché grazie al fenomeno della proteolisi internamente si sviluppa una fermentazione sotto crosta che si vede ad occhio nudo.

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Ottavo formaggio

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E poi arriva l’ultimo. “Fino a questo momento abbiamo mangiato tutti formaggi a crosta edibile. Tu dirai: questo no invece? Ma noi lo mangiamo lo stesso” dice Beppe. Si tratta di un formaggio di pecora a pasta acida, che si ottiene da una massa di formaggio che viene lasciata a inacidire; quando è abbastanza gommosa, finisce nel latte tiepido e poi in forno. “Questa è una crosta che mangio, perché mi piace, ma teoricamente non sarebbe edibile perché c’è stato il fumo sopra, va presa a piccole dosi” e in effetti il gusto è leggermente affumicato, ma assolutamente piacevole. 

La durezza della crosta però non è sintomo di non edibilità. È il caso del Parmigiano

Ultimo excursus sui formaggi affinati, mentre spunta fuori un caprino avvolto nelle foglie di fico. “L’affinatura serve per dare un aroma ai formaggi, ma non credo sia solo per questo” spiega “Dalle mie parti c’erano dei formaggi tanto duri che non si riuscivano a grattugiare. Usando il mosto invece, riuscivi ad ammorbidire l’esterno”. La durezza della crosta però non è sintomo di non edibilità. È il caso del Parmigiano (anche Beppe ha un formaggio che lo ricorda, si chiama Giallina ed è uno dei suoi cavalli di battaglia). In quel caso la crosta si lava, si scalda o si grattugia un po’. Sia per pulirla che per renderla più morbida. 

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Fuori gara ma indimenticabile, un tronchetto di caprino con la parte esterna leggermente nera. Così è perché viene spalmato con il carbone vegetale, in modo da accelerare la maturazione e aggiungere sapore. Qui buttare la crosta, con le sue venature e le sfumature leggere di nero, sarebbe un crimine contro l’umanità. 

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