A un certo punto del 2015, Yung Lean si è ritrovato in un ospedale psichiatrico. Comprensibilmente, lui non ha mai voluto spiegare esattamente cosa fosse successo, ma i fatti sono stati resi noti dalla polizia di Miami. Mentre si trovava in Florida per le registrazioni di Warlord, secondo quanto riporta The Fader, Yung Lean è sprofondato nella dipendenza da un mix di sostanze: xanax, cocaina e marijuana. E, ovviamente, lean. È stato un periodo difficile, di dipendenza quotidiana.
Dopodiché, ovviamente, come sempre accade, le cose hanno iniziato a farsi sempre più bizzarre. In un’intervista del 2016, Yung Lean ha detto a The FADER che aveva iniziato a travestirsi da infermiere. Per qualche motivo, poi, aveva sempre con sé un coltello. Ha scritto un libro sui topi ispirato allo zodiaco cinese. In un momento di massima euforia e di totale scollamento dalla realtà, ha detto al giornalista che aveva anche iniziato a distruggere il suo appartamento, sfasciando i mobili e rompendo i vetri. E così, alla fine, il suo amico Bladee ha chiamato l’ambulanza. Lean è stato portato in ospedale. Aveva a malapena 20 anni.
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Parlare di internet e di quanto ci stia uccidendo ormai è demodé, ed è anche diventato noioso, ok, ma a volte, come in questo caso, è molto importante. Yung Lean è arrivato anni prima dell’attuale ondata di Soundcloud rapper con i capelli colorati, ed è stato altrettanto controverso. Nel momento in cui si affaccia sulla scena, Yung Lean è un giovanissimo rapper svedese, un ragazzino, che si ispira alla cultura americana e la reinterpreta a modo suo. Il primo singolo “Ginseng Strip 2002” è inquietante al primo ascolto, ma ha segnato la storia del pop in un certo senso—come quando ascolti Jai Paul, o fka twigs, o Burial per la prima volta; è quel genere di musica che prende riferimenti storici diversi e li trasforma in un suono che sa di futuro. Dal punto di vista della produzione, il team di Lean con Yung Sherman e Yung Gud ha molto in comune con tanti artisti che sono nati da, e che non sarebbero sopravvissuti senza la cultura del blogging di metà anni Duemila. Per esempio l’intera scena cloud rap guidata da Clams Casino (che ha scritto l’archetipo del genere insieme a Lil B), che comprendeva anche il primo A$AP Rocky quando prendeva meno acidi (senti “Purple Swag” o “Peso”). Si tratta di suoni confusi, inebrianti e fluttuanti, quel genere di roba che ascolti quando sei fatto di potenti antidolorifici, lean e roba che ti ralleeeeeentaaaaaa.
Ma a differenza di molti altri, Yung Lean aveva qualcosa di particolarmente intrigante, come se in qualche modo il suo vero talento, ben oltre la novità del “ragazzino bianco dalla Scandinavia che rappa”, dovesse ancora emergere ma fosse lì, pronto a esplodere (e su questo torniamo tra poco). Una volta gli ho chiesto cosa gli piacesse della musica e quale messaggio volesse mandare: “Fanculo il messaggio. Odio quando la gente prova a spiegare la musica. La cosa migliore della musica è il fatto che è invisibile” – cioè, ci rendiamo conto? E questo succedeva nel 2014, all’inizio della carriera di Lean. È lui che ha riportato in voga il bucket hat. Il suo album di debutto Unknown Memory gli ha aperto le porte della fama, ma è stato anche l’inizio di un periodo complicato fatto di morte, dipendenze e lontananze.
Eppure nonostante tutto—la sparatoria che ha colpito il suo tour bus a Pittsburgh nel 2017, la morte del suo manager Barron Machat nel 2015—Lean è andato avanti. Oltre a pubblicare musica con la sua band punk, i Död Mark, ha pubblicato altri due album: Warlord nel 2016 e Stranger nel 2017. “Red Bottom Sky”, singolo estratto da Stranger, ha fatto riemergere un nuovo Yung Lean, ancora triste ma con quel piglio magnetico nella scrittura che l’aveva reso celebre agli inizi; nella penultima traccia, “Agony”, Yung Lean rivela il suo reale stato mentale in modo autentico e pulsante. È un pezzo dall’atmosfera quasi gotica. Canta su note dolci e basse, e dice: “Prendi una pillola e vai a dormire / Rincorro streghe per la strada / Sono l’ultima pagina del tuo libro / non riesco a scrivere una canzone, scrivo solo ritornelli”. Nonostante il suo lavoro precedente sembrasse ironico, ma non lo era, le emozioni oscure e alienanti di Stranger sono reali e ti colpiscono fortissimo.
Nel 2018, il concerto di Yung Lean alla Brixton Academy a Londra è andato sold out. Non so se lo sapete, ma quando suoni alla Brixton Academy vuol dire che sei arrivato, ce l’hai fatta. O almeno ce l’hai fatta agli occhi dell’esclusiva platea che è venuta allo show. Di spalla c’erano un bel po’ di artisti, tra cui Yves Tumor, uno degli artisti sperimentali più osannati del momento che ha pubblicato lo scorso anno Safe In The Hands Of Love, meravigliosamente distorto. In molti hanno parlato del concerto come di uno spettacolo pazzesco. Poi a gennaio è arrivato questo: un album solista intitolato Nectar, pubblicato con lo pseudonimo di Jonatan Leandoer127 (il suo nome di battesimo è Jonatan Leandoer Håstad) che suona un po’ alla Bob Dylan.
In realtà, suona come molte cose diverse. Ci sono sonorità alla Lou Reed, poesia beat, Beck e, in “Wooden Girl”, del pop dolce quanto assurdo. Sembra un album degli anni Sessanta, ma anche degli anni Novanta, se la narrazione psichedelica di “Off With Their Heads” potesse mantenere i suoi riferimenti a Orwell ma si liberasse delle parti che parlano di iPhone e social media. In un breve comunicato della label sull’album, Nectar viene descritto come l’album in cui Jonatan “vaga nel panorama sonoro del passato recente della musica contemporanea per ricostruire i propri ricordi frammentari e la propria conoscenza, liberandosi di strati di emozioni ed espressioni lungo il percorso”. E per quanto questa frase sia soltanto un ottimo comunicato stampa, un fondo di verità c’è. Nectar è lontano un secolo da qualsiasi altro album di Yung Lean, viene da un universo e un tempo completamente differenti. In questo disco, Yung assomiglia molto più a Jonatan, la persona vera e propria dietro il personaggio che è diventato famoso prima dei vent’anni.
Una fonte vicina a Lean e alla sua crew dice che l’album sarebbe stato registrato e scritto in una sola settimana. Lean ascoltava qualche accordo e poi ci improvvisava sopra i testi (c’è una traccia che infatti s’intitola “Tangerine Warrior (Freestyle)”) o si lanciava nel momento su pezzi come “Porcelain”, finendo su uno stile beat. Ad ascoltarli oggi, è come se lo spirito di Dylan, quel Dylan che scrisse “Bob Dylan’s 115th Dream” si fosse trasferito nel corpo e nella mente di Lean e del compositore danese Fredrik Valentin che ha scritto con lui le nove tracce di Nectar.
Ma questo non è un disco di Dylan, anzi. È un disco di Jonatan Leandoer Håstad. Suona vagamente come l’album della guarigione, da cosa non si sa, che sia la dipendenza da droghe, le situazioni della vita o la scoperta di sé. Quello che posso dire per certo è che sono stato recentemente in analisi e ho capito che il termine “recupero” non presuppone obbligatoriamente una dipendenza, può anche voler dire risollevarsi da qualsiasi situazione difficile tu abbia incontrato nella tua vita. E il processo può essere lungo; ci vuole accettazione. Quando Jonatan canta “Ho maledetto me stesso / ho fatto un incantesimo alla mia salute” nella traccia di apertura “Razor Love”, si sente una nota di risentimento freddo. Fortunatamente, non c’è solo negatività. Quando dice, non senza rassegnazione e consapevolezza: “Sono felice / sono felice di essere qui” in “Moth”, si sente anche questo. La stessa cosa vale per “Scelsi di fare questo lavoro così potevo fingere” in “Wooden Girl”, forse un riferimento agli album precedenti.
Forse Yung Lean era solo un esperimento, forse si trattava solo di un teenager che ha pubblicato della musica che esisterà per sempre online con o senza il suo consenso, o forse è stato reale. In qualunque caso, cercare di capire non ha importanza, la sua musica è qui, è invisibile e non se ne andrà mai. Ma c’è qualcosa in Nectar che suggerisce che Yung Lean stia cercando di liberarsi della sua vecchia immagine per realizzare il proprio vero potenziale. Pensate a come sarebbe stato vedere il vero Bowie che stava dietro i dischi che faceva a 15 anni. Paragonare i due artisti sarebbe assolutamente banale. Il punto è che oggi Jonatan è cresciuto. E io sono proprio curioso di scoprire quale sarà la sua prossima mossa.
La versione originale di questo articolo è uscita su Noisey UK.
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