
Foto per gentile concessione di Alex Sparrowhawk.
Nel 2008, qualche settimana dopo un rapporto non protetto, Alex Sparrowhawk ha iniziato a sentirsi poco bene. Prima è arrivata la tosse, poi i test per l’HIV. E se il primo è risultato negativo, col secondo non è stato così. Oggi Alex è una delle 103mila persone che in tutto il Regno Unito, stando alle stime, convivono con l’HIV.
Un paio di anni dopo la diagnosi ha lasciato il suo impiego nel settore assicurativo per passare al Terrence Higgins Trust, dove lavora nella sezione My HIV , dedicata al supporto online. “È bello impegnarsi per fare la differenza anziché limitarsi a lavorare per pagare le bollette,” mi ha detto quando l’ho contattato per fargli qualche domanda.
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VICE: La mia prima domanda è questa: com’è convivere oggi con l’HIV?
Alex Sparrowhawk: So che detto così fa strano, ma probabilmente non c’è mai stato momento migliore per ritrovarsi in questa condizione. I medicinali sono in continuo miglioramento. Non ho dovuto smettere di lavorare, e sono stato molto fortunato a trovare una buona rete di appoggio.
Il vero problema è dato dai pregiudizi. Prendi anche solo i commenti sotto gli articoli online sull’HIV: sono terribili. O pensa al caso Charlie Sheen, quando è venuta fuori la cosa ne parlavano tutti, e io mi dicevo, “Oh, questi non hanno la minima idea di cosa significhi.”
Qual è stata la tua prima reazione quando l’hai scoperto?
Quando dopo il test ho ricevuto il messaggio in cui mi veniva chiesto di tornare in clinica ho capito subito che c’era qualcosa che non andava. Non ti fanno tornare se è tutto sotto controllo. Ho contattato un mio ex, sieropositivo, e gli ho chiesto di accompagnarmi. Quando me l’hanno detto sono stato sopraffatto dalle domande: “Mi ammalerò?” “Potrò ancora lavorare?” “Riuscirò ad avere altre relazioni?” Il medico e il mio amico hanno cercato di rassicurarmi, ma non è stato semplice. Anche se avevo un presentimento quando sono tornato in clinica, ero davvero sotto shock.
Ora sei fidanzato?
Tre mesi dopo la diagnosi ho iniziato una relazione durata per i sei anni e mezzo successivi. Ci siamo lasciati quest’estate, ma il virus non c’entra. È assurdo perché all’inizio pensavo che non avrei più trovato nessuno—e poi ho ricominciato a frequentare il mio ex.
Come dici alle persone che frequenti che sei sieropositivo?
Dato che si trattava del mio ex non ho mai dovuto sostenere molte di queste conversazioni. Ma mi chiedo sempre come introdurre l’argomento. Non che abbia difficoltà a parlarne, ma non è una cosa che puoi dire così, dal nulla.
Da quando mi sono lasciato non ho comunque considerato le app perché la situazione non mi sembra delle migliori. E se poi trovassi solo zoticoni? Qualche amico sieropositivo mi ha fatto vedere i messaggi che riceve su Grindr, cose tipo, “Qui non c’è spazio per quelli come te, tu stai qui solo per spargere il virus!” Insomma, non so se voglio farmi carico di una cosa del genere.
Hai mai paura del contagio, di contagiare altre persone, un po’ come potrebbero averne quelli che non sono informati?
Sono tranquillo—so di non essere “infetto”, e non ho mai la sensazione di mettere a rischio vite altrui. È fantastico che la scienza abbia fatto tali passi avanti, evitando la trasmissione semplicemente coi farmaci antiretrovirali.

Prendi tanti farmaci?
Prendo una compressa al giorno. È una cosa che devo fare sì ogni giorno, ma ormai ci ho fatto l’abitudine ed è entrata a far parte della mia routine, come lavarmi i denti. Molti mi hanno detto che hanno difficoltà, perché tu puoi anche vivere la tua vita senza pensare all’HIV, ma i medicinali sono un continuo promemoria del fatto che sei sieropositivo. Per me tutto sta nel non farne una grossa questione: prendo la pastiglia ogni sera, a cena, insieme a un bicchiere d’acqua.
Sul lavoro ti sei mai sentito discriminato?
Penso di aver avuto fortuna. Il mio vecchio lavoro non mi ha mai dato problemi, e be’, ora lavoro in un’associazione benefica per l’HIV. Nel 2012 l’ho comunicato pubblicamente, sui social e ai miei colleghi, perché volevo fare attivismo. Nessuno mi ha mai dato problemi, solo sostegno. Ho spiegato che convivevo con l’HIV già da tre anni, e che quello non mi aveva comunque cambiato. Ora ho abbastanza fiducia in me stesso da sapere che in caso di problemi non avrei difficoltà ad affrontarlo e a trovare l’assistenza giusta.
La tua condizione ha cambiato in qualche modo l’idea che ti eri fatto del futuro?
Devi andare avanti con ciò che hai, con l’HIV ho fatto così. Penso di essere diventato più forte, e oggi faccio cose che non penso mi sarei convinto a fare senza l’HIV. Forse essere sieropositivo mi ha spinto a mettermi in gioco più spesso, perché non voglio sprecare la mia vita. Pur sapendo che non sarei morto, volevo avere la certezza di vivere bene.
Sei convinto che la scienza troverà una cura definitiva?
Non penso mi serva una cura “definitiva”. Prendo ogni giorno la mia pastiglia, e mi basta quella per evitare di trasmettere il virus. Non mi serve altro. Ma ovviamente questa cosa cambia da persona a persona, e forse col passare degli anni sarò più esposto a certe condizioni e magari non sarò dello stesso parere. Ma bisogna essere realistici, e le cure di quel tipo non sono esattamente dietro l’angolo.
C’è qualcosa che vorresti poter dire a chi non conosce l’HIV?
Chi prende i farmaci non può trasmettere il virus. Uno come me può avere una vita normale, sana e piena di tutto quello che fanno anche gli altri. Ma per arrivare a questa tranquillità devi esporti, devi parlarne—anche solo nella tua cerchia di amici e conoscenti.
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