Tutte le fotografie sono di Ottavio Fantin.
Arrivo di fronte allo studio della RRR Mob una sera di novembre. Fa un freddo porco ma fortunatamente la situazione è resa vivibile dal profumo clamoroso che esce dal ristorante indiano della porta accanto. Laïoung viene ad aprirmi la porta━il campanello è rotto━e mi fa entrare mentre si ferma un attimo a prendere del riso. Ad accompagnarmi c’è Rex, il cane ufficiale della Mob, che passerà buona parte della serata a fare gli occhi dolci a chiunque abbia in mano una vaschetta di plastica piena di cibo. Attraverso un cortile e sono dentro: stringo la mano a Isi Noice, Hichy Bangz e Momoney, e assieme mi fanno fare un piccolo tour del posto. Assieme a loro c’è Maruego: hanno appena finito di registrare un pezzo assieme e stanno scattando qualche fotografia. L’appartamento non è diverso da quello in cui avete potuto vivere voi quando vi siete trasferiti in una grande città: muri bianchi, piastrelle a terra, un po’ di sano casino ovunque. Solo, una stanza è riservata agli shooting; un’altra ha dentro un divano, un PC fisso con Cubase aperto e uno stanzino per registrare. Sul muro c’è una stampa di 2 Chainz, che un loro amico ha ordinato da Amazon credendo di stare comprando il catenazzo al suo collo. È lì che ci sediamo e iniziamo a parlare.
La Mob è un caso particolare nella nostra scena: è un collettivo di ragazzi meticci, di seconda generazione, africano-italiani, dall’etica profondamente DIY. Di loro si è iniziato a parlare seriamente quando Laïoung, l’ultimo membro a unirsi al collettivo, ha sfondato le porte della fama con “Giovane giovane”, collaborazione killer con Izi e Tedua che gli ha permesso di introdursi a un pubblico ampio sia come MC che come beatmaker: “Lo sai che sono nato nomade”, canta, definendo la sua cultura “uno tsunami che t’inonda”. Così facendo, mette un segnaposto di internazionalità sulla sua figura, evocando un passato personale che incuriosisce inevitabilmente chiunque lo ascolti: “All’estero c’ho connessioni / Toronto mi chiama Giuseppe Vendetta.” Ma quali? Giuseppe Vendetta? E perché?
Il filo rosso da cui tutto inizia è però Isi Noice, nato a Casablanca e arrivato in Italia nel 2001 quando aveva dieci anni. “La mia famiglia ha una storia un po’ complicata,” dice, senza voler entrare nei dettagli; “siamo venuti qua e siamo andati a Torino.” L’hip-hop, che aveva già scoperto in Marocco con il video di “Gimme Some Mo” di Busta Rhymes, diventò subito per lui un’autodifesa: “La mia lingua madre è l’arabo, il francese la mia seconda lingua, ma quando sono arrivato ho iniziato a scrivere in Italiano. Ho scritto le mie prime rime non per raccontarmi ma per cercare di trovare un punto di debolezza negli altri. Da ragazzino mi vergognavo della nostra situazione economica, di come stavamo vivendo in famiglia. Te la fanno pesare a scuola, arrivano tutti firmati e tu invece sei con i tuoi in comunità.”
Prima dell’affermazione di YouTube come canale di connessione con il pubblico, l’unico modo per iniziare a fare davvero rap era confrontarsi con il mondo delle battle. E così fa Isi, il suo primo scontro a sedici anni, una domenica pomeriggio. “Era una roba per ridere, non un 2TheBeat o un Tecniche Perfette. C’era pieno di stranieri, tutti che rappavano in lingue diverse,” mi spiega. Lì inizia a stringere le prime collaborazioni e mettere le fondamenta per i suoi primi progetti. Per tirare su qualche soldo, inizia a fare il vocalist nelle discoteche. In questi primi scontri di freestyle conosce Momoney: “L’ho beccato in una battle condotta da Rayden. Succedeva nel 2008, e quando ho visto ‘sta cosa qua ho detto ‘Cazzo sì, un altro come me.’ Quindi sono andato a parlarci ed è venuto fuori che seguiva il progetto che avevo. E ci siamo presi bene assieme.”
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Momo è nato a Torino da padre senegalese e madre italiana. “Sono cresciuto a Nichelino,” mi racconta, “e ho sempre avuto la passione per la musica. Ho sempre suonato tamburi e qualsiasi cosa passasse per casa, ma ero l’unico che volesse farlo nella mia famiglia. I miei sono operai. Mi hanno sempre dato il sound giusto, sono cresciuto col suono black degli anni novanta.” Il suo primo vero contatto con la musica è un basso, che gli viene regalato a quattrodici anni: Momo inizia ad ascoltare funk, jazz, blues. Frequenta anche una scuola di musica, ma senza applicarsi: “Ero molto immaturo all’epoca, non avevo capito il valore della musica.” I diciotto anni sono l’occasione per iniziare a frequentare Torino e le serate rap, da cui la conoscenza di Isi. “Ci siamo presi subito, mi ha invitato immediatamente a fare un pezzo ed era la prima volta che registravo qualcosa di mio. La cosa è partita subito, abbiamo aperto un garage a Torino ma nessuno sapeva né registrare né fare un cazzo. Il primo pezzo che ho registrato l’ho buttato via dopo tre ore.”
Sempre in questo periodo Isi e Momo conoscono Hichy Bangz, anche lui marocchino migrato in Italia. Nato a Béni Mellal, nel 1994, Hichy si trasferisce quasi subito dalla zia in Spagna nonostante il padre fosse in Italia. “Lei è sposata con un architetto, quindi portandomi lì mi ha fatto studiare, ma mio padre voleva tornassi da lui. Finita la quinta elementare sono andato in Italia, ma la situazione era molto diversa. Mio padre beveva, si perdeva nell’alcool. Quindi verso i quindici anni ho deciso di andarmene, e ho scelto Torino.” Hichy fa però la proverbiale cazzata di gioventù: viene arrestato e finisce in una comunità, fatto che vede comunque come una benedizione: “Stare lì mi ha permesso di continuare a studiare, non ho mai voluto perdermi in cazzate da strada. Il processo aveva stabilito che sarei dovuto stare via da Torino, quindi mi mandarono in una cascina sperduta vicino a Cuneo. Tornavo da scuola e dovevo raccogliere le fragole e i pomodori, portare a spasso i porci, ti giuro!”
Il caso riporta comunque Hichy a Torino, dato che la sua comunità viene chiusa per mancanza di fondi. E in quella in cui viene trasferito stava anche una ragazza che aveva all’epoca un rapporto con Isi. “Io avevo iniziato a rappare in freestyle come gesto di forza, ascoltavo roba di Ensi assieme a un amico albanese in comunità e così ho iniziato a scrivere. Isi è stata la prima persona che ho conosciuto che lo faceva veramente, stando con lui non mi sono mai perso in una brutta strada, l’ho sempre visto come un fratello maggiore. Avessi continuato a frequentare i giri in cui stavo sarebbe finita diversamente.”
A dare un senso di chiarezza e una vera visione a Isi, Momo e Hichy, e soprattutto a fondare realmente la RRR Mob, è Giuseppe Bockarie Consoli, aka Laïoung━a tutti gli effetti uno dei personaggi più enigmatici e dal passato più contorto della scena attuale.
Isi racconta: “Un mio amico mi manda un pezzo, “Free Bars”. Vedo sto ragazzo che parte in inglese, spacca tutto e a un certo punto inizia a rappare in italiano. Che cazzo sta succedendo? Era Laïoung. Aveva poche views, ma dicevo, ‘sto negro spacca. Vado a cercare e lo aggiungo su Facebook.” I due iniziano a stringere contatti, e nel 2014 finalmente arriva l’occasione per conoscersi con una visita di Laïo a Torino. “In quel momento ho visto che il suo modo di lavorare era proprio quello che volevamo ottenere da tanto tempo. In quei momenti non avevamo modo di lavorare con gente professionista, e anche quello che veniva ritenuto nuovo aveva come un’aura di vecchio. Quando Laïo è venuto ci ha aperto un mondo.”
La storia personale di Laïoung è decisamente complessa, e anche parlandoci un bel po’ non sono riuscito a farmela raccontare nei dettagli━il che, a tutto dire, non fa che aumentare il fascino del suo personaggio-nomade. Giuseppe è nato a Bruxelles nel 1992: “I miei si sono incontrati lì perché mio padre, che è di Brindisi, stava facendo l’ERASMUS, mentre mia madre era figlia dell’ambasciatrice della Sierra Leone, che viveva in Inghilterra e si era spostata a Bruxelles.” Dopo quattro anni il padre perde il lavoro, e la sua famiglia torna in Italia. Fino ai dodici anni, Laïo sta con i nonni. Poi torna in Belgio con il padre, con cui però non condivide la quotidianità: “Non mi ha mai fatto mancare niente ma non c’era mai. Diceva, ‘Torno dopodomani, tieni cinquanta euro, comprati da mangiare.’ Io tornavo a casa, giocavo alla Gamecube, facevo i compiti e alle nove ero a letto. Ma è stata la musica a tenermi fuori dalla strada e a non farmi iniziare a drogare.”
A fargli scoprire la produzione è il fratello, primo figlio di sua madre, che all’epoca viveva a Londra. “Mi ha fatto vedere il suo portatile, che aveva FL Studio sopra. Io faccio, ‘Ma puoi fare musica con un computer!’ E quello mi ha cambiato la vita. Mi ha cambiato la vita.” Lo ripete due volte e, dal tono che usa, mi sembra davvero convinto della cosa. “Da quel giorno, ogni giorno penso soltanto a comporre. A fare musica. Uso ancora FL Studio, mentre uso Cubase per fare mix e master. E così sono cresciuto, da lì ho sempre viaggiato grazie alla musica. Non ho mai lavorato in un Mc Donald’s, grazie a Dio, mai lavorato per un bastardo che voleva darmi delle briciole. Però ho capito che per mangiare dovevo stare attivo, e quindi facevo basi, mix, cose, davo un valore a quello.”
Questo orgoglio nell’etica del lavoro è importantissimo per Laïoung, che torna spessissimo sul concetto nei suoi testi━d’altro canto, è proprio questa serietà nei confronti della musica-come-lavoro ad aver permesso alla Mob di arrivare fino a qua. “Quando ci siamo incontrati con Laïoung ci stavamo per separare. Lui è stata l’unione, è sceso come la mano di Dio, racconta Hichy. “Eravamo in una situazione di merda a livello mentale ed economico. Lui è stata una grande salvezza, ci ha portato roba nuova, ci ha insegnato tanto a livello musicale e artistico.” I ragazzi iniziano a muoversi verso Milano in cerca di contatti e, dopo poco, arriva il primo pezzo ufficiale della Mob: “Flus”. “La base di quel pezzo Laïo l’ha fatta in macchina, nel tragitto da Milano a Torino,” racconta Momoney.
“Flus” è il pulsante rosso che ha fatto partire il macchinario che è oggi la Mob: “Quando ho visto il video è stato un segno,” dice Isi. Erano anni che facevo musica e non ero mai convinto al 100%. Magari quel pezzo non è niente in confronto a quello che stiamo facendo adesso, e abbiamo imparato tantissimo da allora, ma il sentimento che ho provato allora è stato clamoroso.” “Flus”, che significa “soldi”, tira fuori tutte le qualità dei quattro ragazzi della Mob: i ritornelli assassini di Momo, il tono vitalmente sguaiato di Laïoung, gli ipnotizzanti saliscendi di Isi, la crudezza di di Hichy. “Flus” è anche l’origine di “Giovane giovane”: è proprio per complimentarsi con loro del pezzo che Krag Lee, amico di Tedua, contatta Hichy e Momo. Assieme, escono poco dopo con “Walou“; nel giro di qualche mese si creerà la connessione che li avvicinerà al resto della scena.
Isi, Hichy e Momoney spostando quindi il loro baricentro da Milano a Torino e continuano a produrre: nel giro di qualche mese arrivano una rilavorazione di “My Way” di Fetty Wap a cura di Isi e Momo e “NMC” e “M.B.B.H.” di Hichy, che contribuisce anche a “Zatla” di Isi. Ma lo fanno in assenza di Laïoung, che continua a rispondere alla voce che ha dentro, e ricomincia a vagare━va in Francia, a Parigi, dove un’etichetta aveva dimostrato interesse nei suoi confronti e aveva pagato uno studio per farlo registrare con tutti i crismi.
La sortita francese si interrompe però prima del dovuto, a settembre 2015, quando Laïo stringe un rapporto con una ragazza canadese conosciuta su Instagram. Lei gli propone di andare a trovarla, suggerendo che la cosa potrebbe far bene anche alla sua musica. “Mi fece questa proposta e io dissi, ‘Ma come faccio, per il momento non ho niente,” spiega; “E lei si è offerta di pagarmi il biglietto di andata. Allora ho detto, ‘Va bene, però io sono un negro! Io prendo e parto, non me ne frega niente, anche senza biglietto!”
Il suo arrivo oltreoceano è tumultuoso a dir poco: “Sono arrivato in Canada, spiega in un’enumerazione clamorosa, “Un negro con una giacca da cowboy, rasta rossi, piercing nel naso, passaporto italiano, senza biglietto di ritorno, senza soldi, senza indirizzo, numero telefonico o cognome della persona che avrei dovuto incontrare.” Dopo quattro ore di fermo, un’agente di origini peruviane lo prende in simpatia e convince i colleghi a farlo passare. Laïoung si trasferisce quindi dalla ragazza, che vive a Scarborough━uno dei quartieri-cardine della Toronto rap contemporanea, che è giustappunto uno dei punti di riferimento sonori delle produzioni di Laïo. Dopo due settimane di convivenza tra i due iniziano a venire fuori incomprensioni e Giuseppe decide di andare a New York City, dove aveva “agganci per registrare”, per non pesare economicamente sulla ragazza.
“Ho preso l’autobus per arrivare fino alle cascate del Niagara, alla frontiera americana, e mi hanno rifiutato,” spiega Laïo; “Ho trovato lo stesso autista che mi aveva portato all’andata e grazie a dio non mi ha chiesto i quaranta dollari del biglietto, perché non li avevo neanche. Sono tornato a Toronto dalla tipa, ero proprio distrutto. Ma Dio mi aveva chiuso una porta e mi aveva aperto un cancello.”
Il cancello in questione è un contest di beatmaking con produttori dal curriculum non indifferente in giuria: !llmind (Drake, J. Cole, Ludacris), Burd & Keyz (Tory Lanez, Jazz Cartier, A$AP Ferg), Eastbound (Travis Scott, Young Thug). “Sono andato lì con la mia cassa Marshall e ho cominciato a sparare le mie basi, i miei pezzi, di tutto. Traumatizzavo ogni persona che usciva dal locale,” racconta Laïoung. A notarlo è Andrew Liburd, il “Burd” dei Burd & Keyz, che gli propone di andare in studio a registrare qualcosa assieme. Arrivati si trovano di fronte Kwajo Cinqo, metà di uno storico duo hip-hop canadese degli anni Novanta, i Ghetto Concept. “Io non sapevo chi fosse, si lamentava con Burd chiedendogli chi cazzo ero io e perché eravamo lì nel pieno della notte, lui mi ha supportato e alla fine ci ha fatti entrare. Ci siamo messi a lavorare e a una certa la ragazza, che era lì con me, ha fatto sentire la mia roba dal cellulare. Kwajo l’ha sentita e si è preso da Dio, aveva preso proprio una botta, era contentissimo.”
Laïoung resta quindi otto giorni in studio, registrando pezzi su pezzi e mettendo le basi per quello che sarà il suo primo vero tape, Ave Cesare. Il rapporto con la ragazza canadese che lo aveva portato fin lì si rompe per gelosia e il ritorno in Italia diventa un prospetto reale, ma Kwajo e il suo team gli offrono di fermarsi assieme a loro: “Mi hanno fatto stare lì in studio a dormire. Potevano mandarmi affanculo, e invece hanno veramente avuto cuore”, dice Giuseppe. “Sono stato lì, poi anche a casa di Kwajo, nel centro di Toronto, su Bay Street. Avevo la CN Tower davanti a me, al sedicesimo piano, lì ho fatto il video di ‘Veri per sempre’”━un gioiellino di R&B contemporaneo, dolcemente altalenante nell’interpretazione vocale e con una base che grida OVO da tutti i pori.
“Alla fine sono rimasto in Canada quasi un anno,” racconta Laïoung. “Sono andato a Vancouver perché avevo dei progetti con gente di lì e ci sono rimasto. Prima di partire, mia mamma mi aveva dato questo anello dell’università di Vancouver di mia nonna, che andò lì negli anni Cinquanta a studiare. Al telefono mi urlava, come una strega, che sarei andato lì. Io le dicevo di no, che Toronto era da un’altra parte, e lei, ‘Non me ne frega niente, tu arriverai lì, in qualsiasi modo!’ E lì sono arrivato. Poi sono tornato in Italia tre mesi fa, passando prima in Guadalupe perché dovevo girare un video con Young Thug che aveva organizzato la mia etichetta francese, ma poi la cosa è saltata. Ed eccoci qua.”
Marocco, Canada, Italia: tre punti cardine su cui costruire un suono. Le due facce sonore dell’arabo, l’asprezza della sintassi e la melodia dell’espressione; l’R&B contemporaneo alla OVO/XO mutuato da Drake e da The Weeknd; e la declinazione italiana della trap di Atlanta, colta nel suo momento di maggiore esposizione mediatica e ispirazione creativa.
Ora la Mob è al lavoro sul suo primo album collettivo, che uscirà nei primi mesi del 2017. “Abbiamo un punto di vista imperiale sulla nostra musica, spiega Laïoung, “e nel modo in cui cerchiamo di descrivere ogni pezzo. Abbiamo tutto un viaggio sempre sul mood classico, innovato da musica trap.” I riferimenti sono da cercare in Giamaica, dice: “Lì c’è una forza sovrannaturale nella musica, nel vibe. E io faccio tutto partendo dal vibe. Tendo a fare dei mix abbastanza aggressivi. Mi piace fare in modo che il mio basso ti entri nell’anima, che la mia melodia ti emozioni, che la mia batteria si senta come uno scoppio.” Secondo punto nevralgico è il South Side americano: “Onestamente è da quando ho tredici anni che ascolto OJ Da Juiceman, Busta Rhymes, Ludacris, Gucci Mane, T.I. e i Bone- Thugs-N-Harmony.”
Punto fondamentale della proposta della Mob è, a tutti gli effetti, il plurilinguismo. Cantare in inglese, francese, arabo e italiano permette di abbandonare leggermente il senso delle parole per aprirsi al mondo, o più semplicemente━come detto prima━al vibe. È un’espediente per rendere il rap non più solo narrazione personale dell’MC di turno ma anche pura espressione sonora e linguistica. “Mischiare lingue ci dà una marcia in più,” dice Isi, “Ti permette di introdurre una sonorità diversa. Stiamo iniziando anche noi a fare come i francesi, ad anagrammare le parole col verlain, ma non basta scimmiottare gli stranieri.” Laioung prosegue: “Non sapere bene le lingue in questo momento può essere fatale, critico, perché ci stiamo finalmente connettendo con l’altra parte. Siamo sincronizzati con l’estero per la prima volta nella storia.”
“C’era bisogno di un movimento afro-italiano, o come vogliamo chiamarlo, per portare la cultura di oggi nella nostra musica,” dice Laïoung. “Se si lancia l’onda si può fare, e ce lo hanno dimostrato i giovani di oggi che fanno questo genere musicale━che non è cultura perché giocano sulle referenze attuali senza averle magari vissute appieno, ma stile, ma va bene così. Non ci importano stili e categorie, l’importante è fare musica e basta.” Isi conferma: “Ci sono un sacco di stranieri in Italia, da sempre, e quindi qua ci sono i loro figli. Alla fine era inevitabile, qualcosa come la Mob prima o poi sarebbe successo comunque.”
Senza che io gli chieda niente a proposito, i ragazzi tirano fuori la questione dell’uscita della Dark Polo Gang nei confronti di Bello Figo Gu━segno di una latente superficialità, all’interno di parte della scena, riguardo alla trattazione di tematiche sensibili come l’inclusione. “Ho ricevuto un messaggio che mi ha veramente toccato,” dice Laïoung: “Era un bambino africano che ha visto il video della DPG in cui hanno detto quelle cose. Era tristissimo perché era un loro fan, però era contento perché c’ero io che rappresentavo lui e tutti quelli come lui. Diceva che sapeva che io non mi sarei mai comportato così. Mi ha toccato, mi ha dato il senso di quello che facciamo.”
Se, come nel resto del mondo, anche in Italia il rap è ormai diventato a tutti gli effetti parte del tessuto musicale nazionale, allora penso sia necessario fare tutto il possibile per uscire dai confini per creare una scena a tutti gli effetti aperta, multiculturale e vibrante. E figure come quelle dei ragazzi della Mob sono fondamentali perché questo accada. Le influenze arabe e africane nel rap italiano sono sempre esistite: dieci anni fa c’era Lama Islam, due anni fa è arrivato Maruego, semplificando; ma, loro successo a parte, non si è tuttora creato un sistema mediatico e di pubblico capace di raccontare e percepire criticamente la necessità di una musica realmente multiculturale━e non solo una trasposizione italiana di tendenze straniere. Le regole del gioco non cambieranno solo grazie alla Mob, ma la Mob è sicuramente figlia di una contemporaneità sempre più variegata e difficile da inquadrare in compartimenti stagni. E prima abbracceremo la diversità prima cresceremo, come ascoltatori e come artisti.
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