Come Iron & Wine ha trasformato il folk americano

Il 16 novembre 2016 ero seduto in piccionaia all’Adelphi Theatre sullo Strand di Londra, un teatro super posh di quelli che solitamente hanno in cartellone robe tipo il musical di School of Rock. Quella sera invece ci suonava, in acustico, Sam Beam—cioè Iron & Wine, quel tizio texano che ha rivoltato il folk americano come un calzino quindici anni fa con un disco frusciante e odoroso che raccontava in maniera anti-retrograda gli Stati Uniti sotto alla Mason-Dixon Line. Sam è un cantautore unico, nella misura in cui è riuscito a creare un suoimmaginario e vocabolario chiaramente riconoscibile, costellato di metafore e similitudini, in cui compaiono spesso animali, personaggi religiosi e amori fatalisti in cui l’eternità non è un “e poi vissero felici e contenti” ma un “ricordiamoci che moriremo, ma lo faremo assieme”.

Nonostante abbia una discografia di Cristo, forse il grande pubblico conosce Iron & Wine più per pochi singoli pezzi: per esempio la sua cover di “Such Great Heights” dei Postal Service—che comunque contribuì, ai tempi, a dare un’idea di indie rock come termine-ombrello che potesse contenere in ugual misura dei tizi con voci d’angelo e acustiche arrugginite come producer minimalisti col cuoricino spezzato—o i suoi pezzi finiti in serie TV e film di successo. “Flightless Bird, American Mouth”, canzone più lucida di quel disco flippato e sabbioso che fu The Shepherd’s Dog, è stata inserita nella colonna sonora di Twilight, mentre anni prima “The Sea and the Rhythm” era apparsa in The O.C.

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