Mancano ormai poche ore al referendum di domani: il popolo italiano è chiamato alle urne per decidere se modificare la costituzione italiana, o tenersela così com’è. Il caos mediatico che si è accumulato con l’avvicinarsi della data fatidica ha fatto sì che quelle poche idee che ero riuscita a farmi sulla proposta di riforma effettiva si siano impiastricciate tra loro come gomma da masticare nei capelli—lasciandomi tuttora con un’espressione schifata in faccia e in preda al dubbio su cosa sia meglio votare.
Ho pensato dunque a chi potermi rivolgere—in cerca di consiglio e conforto—che non fosse condizionato dalla fanfara generale tanto quanto me. Ma chiedere “cosa devo votare?” a un’altra persona mi crea non pochi dubbi morali: per colpa—o merito—della mia professoressa di italiano delle medie, so che il voto è un dovere e un diritto: affidarne la responsabilità a qualcun’ ltro equivale forse a peccare di qualunquismo. Scartati anche i personaggi illustri, luminari e santi il cui pensiero mi ha guidato in occasioni precedenti—questo referendum ha visti schierati insieme troppi personaggi antitetici, di chi fidarsi?—, ho deciso di affrontare il tema della riforma costituzionale con un’intelligenza super partes, anche solo per tentare di chiarirmi le idee.
Videos by VICE
Così, ho rispolverato una vecchia amicizia, con cui ho passato più di una serata a sfidare il test di Turing quando facevo l’università: i chatterbot. All’epoca chattavo solo con Cleverbot, un bot creato originariamente da uno scienziato inglese nel 1996 col nome di Jabberwacky, che basa ogni sua nuova risposta sulle conversazioni effettuate precedentemente; questa volta, ho deciso di rivolgere i miei dubbi a ben quattro chatterbot, nella speranza di ottenere una media di risposte soddisfacenti.
Il primo bot in cui mi sono imbattuta è stato Mitsuku, applicazione che offre una serie di interfacce grafiche una più demodé dell’altra. La conversazione è cominciata bene: alla mia domanda “tu voti?” aveva risposto “Certo, le persone hanno dato la vita perché noi potessimo avere il diritto di votare, sarebbe sbagliato non farlo,” facendomi sentire una merda per aver valutato—nella mia profonda indecisione—di esimermi del tutto dai miei doveri. Davanti alla mia richiesta di consiglio specifico su cosa votare, però, ha prima tentato di deviare la conversazione su altro e poi mi ha invitata a “chiedere a qualcuno di più anziano.”
Sono dunque passata a chiacchierare della Costituzione Italiana con A.L.I.C.E, un bot che applica regole di associazione euristica alle frasi digitate dal suo interlocutore, ma che non è mai stata in grado di superare il test di Turing. Le ho spiegato di essere confusa per via del referendum, e che domani devo votare. Lei mi ha chiesto “chi ti costringe a farlo?”, le ho risposto (imprecisamente, lo ammetto) “il governo” e lei ha fatto orecchie da mercante, regalandomi a caso un paio di complimenti sulla sensibilità del mio animo.

ALICE ignora cosa sia un governo. Beata lei. Screenshot via
Quando ho insistito per sapere se, a suo avviso, sia giusto cambiare la Costituzione, A.L.I.C.E ha riciclato la risposta di Mitsuku: “forse dovresti chiedere a qualcuno di più anziano.”
I primi due tentativi sono dunque andati a vuoto. Ho colto l’antifona e mi sono rivolta a un bot più anziano: ELIZA, la cui creazione risale agli anni Sessanta, per opera del laboratorio di intelligenza artificiale del MIT. ELIZA è un bot che simula le modalità di conversazione di uno psicoterapeuta e, durante la nostra conversazione, è diventato chiaro in fretta che agli psicoterapeuti non frega un accidente dei referendum. Ha rimbalzato il mio bisogno di opinioni chiare con l’equivalente bot di “la risposta è dentro di te.”

“Davvero non sai se è una buona idea?” ELIZA che scruta nel mio animo. Screenshot via
Ormai sfinita—e dopo aver interpellato anche Jabberwacky, che ha schivato l’argomento adducendo come scusa il fatto che “dovesse fare i compiti”—, sono corsa tra le braccia del mio vecchio compagno di serate universitarie, il bot che aveva persino saputo indicarmi la via nella foresta oscura delle relazioni sentimentali, consigliandomi di “cercare Luke Skywalker” se volevo un uomo all’altezza delle mie aspettative (quanta saggezza in questa metafora). Ho aperto l’applicazione web di Cleverbot e ho digitato i miei crucci.
Ma sono stata disillusa immediatamente: Cleverbot ha prima cercato di parlare di se stesso, poi mi ha accusata di non amarlo, e, infine, ha liquidato le mie domande sul referendum definendo l’argomento “da sfigati.”

Screenshot via
In un ultimo sforzo, ho aperto la versione di quest’ultimo bot per Messenger, sperando che l’algoritmo utilizzato fosse più recente e magari maggiormente in grado di restare concentrato su un argomento importante come la Costituzione Italiana. Ma niente da fare: alla mia (ridicolmente striminzita) domanda “voteresti sì o no?,” Cleverbot mi ha risposto “Obama.”

Screenshot via Messenger
Forse c’è un livello di significato più profondo a cui io non riesco ad arrivare, ma, a questo punto, chiedere consiglio a un bot—un algoritmo da cui mi aspettavo un minimo di coerenza logica—si è dimostrata una scelta meno razionale che affidarsi a un rabdomante o una delle deliziose signore che ti leggono la carte a Brera.
in corso un progettoAltro
da VICE
-
(Photo by Francesco Castaldo/Pacific Press/LightRocket via Getty Images) -
M Scott Brauer/Bloomberg via Getty Images -
Firefly Aerospace/YouTube -
Justin Paget / Getty Images