Essere la moglie di un trafficante di droga messicano

Da quando il presidente messicano Felipe Calderon ha dichiarato la guerra alla droga più di dieci anni fa, circa 200mila persone sono state uccise e altre 28mila sono scomparse. L’attuale presidente Enrique Peña Nieto ha portato avanti la guerra; in tutto, tra i vari ministeri e forze di sicurezza, sono stati investiti nel progetto più di 80 miliardi di euro dal 2006. In quello stesso anno, secondo l’INEGI (l’agenzia governativa che si occupa di censimenti) circa il 70 percento della popolazione messicana ha ammesso di non sentirsi al sicuro.

Secondo la National Survey on Drug, Alcohol, and Tobacco Use (in spagnolo ENCODAT) condotta tra il 2016 e il 2017, il consumo di droga in Messico è cresciuto del 47 percento nei sette anni precedenti, e 8,4 milioni di persone tra i 12 e i 65 anni hanno ammesso di aver consumato sostanze illegali almeno una volta nella vita. Al tempo, le droghe di più frequente utilizzo in Messico erano la marijuana (il cui consumo è passato dal 6 percento del 2011 all’8,6 percento del 2016), la cocaina (dal 3,3 al 3,5 percento) e gli allucinogeni, il cui consumo è rimasto stabile allo 0,7 percento.

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Camila* ha 35 anni e vive fuori da Città del Messico con suo marito Emilio*, un trafficante di droga. Entrambi i nomi sono pseudonimi creati per tutelare le loro identità.

In un certo senso il loro stile di vita non ha niente di strano, qui: solo nel gennaio 2017 a Città del Messico c’erano circa 20mila punti di vendita di sostanze illegali, secondo il Segretario alla Pubblica Sicurezza della città. Ma Camila è rimasta accanto a Emilio in circostanze—ed è stata protagonista in prima persona di altre—che farebbero venire la pelle d’oca anche ai veterani della scena. Questa è la sua storia.

Ho conosciuto mio marito tramite i miei fratelli, che lavoravano con lui nel traffico di droga. Abbiamo cominciato a uscire nel 2006, ma senza impegno. Mi piaceva perché eravamo alla pari, e a entrambi piaceva divertirsi. Ci piace divertirci e vivere con leggerezza.

Emilio, quando l’ho incontrato, era in una spirale discendente, stava vendendo le sue proprietà per pagarsi la dipendenza da crystal meth. Quando l’ho scoperto non volevo lasciarlo da solo a gestire questa cosa; al contrario, ho sentito un bisogno ancora più forte di stargli vicino. Gli facevo le iniezioni e ho cercato di farlo andare in clinica, ma lui non smetteva.

Un giorno è diventato troppo e ho deciso di non vederlo più. Per sei mesi non ho sentito parlare di lui. Quando l’ho visto a un ballo aveva smesso di farsi, ma non aveva soldi. Ci siamo rimessi insieme—era il 2008. Ci siamo sposati e siamo andati a vivere insieme, lui ha cominciato a lavorare a Mazatlán, un resort costiero nello stato di Sinaloa.

Se sei nel mondo dello spaccio, ovviamente rischi grosso. Quando Emilio e io ci siamo sposati, c’erano due gang che si contendevano il controllo della regione: Los Zetas, il cartello criminale più sofisticato del paese, che operava in alleanza con il cartello di Beltrán-Leyva contro il cartello di Sinaloa (quello di El Chapo, per intenderci). Mio fratello era in uno di questi cartelli e ha convinto Emilio e unirsi a lui. Gli ha affidato una piazza di spaccio in una cittadina di Sinaloa, dove doveva tenere i conti delle vendite.

A causa delle vendette e delle violenze tra cartelli, dovevamo cambiare casa ogni tre mesi. Nessuno dei nostri familiari era autorizzato a venirci a trovare, e quando uscivamo di casa dovevamo accertarci di non essere seguiti.

Vivevamo barricati in casa, nessuno doveva sapere dove vivevamo né altro. Inoltre, a un certo punto il cartello avversario aveva delle mie foto e mi pedinava. Me ne sono accorta e l’ho detto a mio marito, che mi ha detto dove andare. Mi sono nascosta lì e lui intanto si è consultato con altre persone per scoprire chi mi stava seguendo. Dato che Emilio non usciva di casa per paura di un agguato, volevano usare me per trovarlo. Per ragioni di sicurezza, io dovevo sempre accertarmi di non essere seguita.

Nel gennaio 2010 ero incinta, ma facevo da corriere perché mio marito non poteva uscire di casa. Poi le cose sono migliorate, anche se comunque dovevamo cambiare casa a intervalli regolari. Poi sono peggiorate di nuovo e tutti gli uomini che lavoravano per mio marito sono stati uccisi. Due giorni prima che nascesse mia figlia, hanno rapito la sua guardia del corpo. L’alba del giorno in cui è nata, abbiamo trovato la guardia del corpo impiccata a un ponte.

Emilio doveva trasferirsi a Nayarit e poi a Città del Messico. Una settimana dopo il parto, ho preso un taxi per portare la merce e il denaro ai suoi nuovi colleghi, con mia figlia in braccio, terrorizzata. Ero sola in casa con un figlio più grande e una appena nata. Un anno dopo, nel gennaio 2011, ho raggiunto Emilio a Città del Messico.

Non pensavo tanto ai pericoli, allora. Ora se ci ripenso mi dico, “Con che coraggio l’ho fatto? Ero completamente in balia di tutti.”

Quando ci siamo trasferiti a Città del Messico, Emilio ha cercato di non ripetere gli stessi errori. Ha messo in piedi un’attività legale con cui riciclare il denaro che guadagnava: ha aperto due sale giochi. Ma a nel luglio 2011 è stato rapito, e per pagare il riscatto abbiamo speso tutti i soldi che avevamo.

Dopo che è stato rilasciato abbiamo cominciato a dormire in una sala giochi perché avevamo paura di tornare al nostro appartamento. Abbiamo vissuto così circa quattro anni, più o meno fino alla nascita della nostra seconda figlia nel 2013—in quell’anno Emilio ha cominciato a spacciare a Città del Messico.

I lussi di essere la moglie di un trafficante di droga sono che non fai in tempo a volere qualcosa. Emilio provvede per tutto. Mi ha dato 100mila pesos per il mio compleanno (circa 5mila euro), ma il regalo più bello che mi ha fatto è la mia casa. Se dico che voglio una cosa, lui me la fa avere.

Forse se ripensi agli anni più duri della tua vita non potevi permetterti di uscire il fine settimana perché avevi speso tutti i soldi in affitto. Io non potevo portare le mie figlie in spiaggia perché non avevo soldi, mentre ora vado qui, vado là… se voglio una cosa, la compro. Non mi preoccupo e non devo stare attenta alle spese.

A mio marito dico, “Cosa preferisci, che qualcun’altra indossi queste scarpe per prima, o che sia io la prima?” Lui non mi mette mai limiti. Se dico, “Voglio questo,” lui mi dice di sì. Ma cerco anche di non approfittarmene o di danneggiare con le mie spese la famiglia, che è la cosa a cui tengo di più.

Oltre a occuparmi della nostra famiglia, aiuto Emilio nel suo lavoro di amministratore. Non è molto organizzato. Io tengo l’inventario, tengo traccia di quello che la gente gli deve, etc.

Sono l’unica che gestisce i suoi soldi; anche suo fratello è nel giro, ma anche lui dà i suoi soldi a me perché li gestisca. Devo fare bene i conti di tutti i nuovi carichi che arrivano ogni giorno ed essere pronta a trattare con i debitori. Do anche un occhio al portafoglio dei nostri clienti perché non riescano a rubarci soldi.

Se mancano dieci grammi, dobbiamo tornare al deposito e scoprire dove sta l’errore. La settimana scorsa abbiamo finito alle tre del mattino, ci abbiamo messo tutto il giorno. Un caos. Mio marito non tocca niente dei conti, dice che al mondo niente è gratis e che anch’io devo fare la mia parte.

La gente si approfitta di noi. Vogliono grattare da tutto quello che guadagniamo, e ci parlano alle spalle. Non abbiamo mai il piacere di sentir parlare bene di noi.

Gli uomini che lavorano per Emilio mi odiavano, in passato, perché se vedevo qualcosa che non quadrava non stavo zitta. È compito mio dire a mio marito quando la gente sgarra, perché se non li fermi pensano di poter continuare a fregarti. Una volta mio marito ha perso 400 grammi di cocaina, che ci costano 100mila pesos. Un giorno c’erano e il giorno dopo no. E chi li ha presi? Chi lo sa.

Un’altra volta ho cominciato a fare i conti—80 meno dieci sono 70 grammi, e lì ce ne erano solo 50. “È sbagliato,” ho detto a mio marito. E mi sono resa conto che tutta la documentazione di quell’uomo era piena di sotterfugi e giochetti.

Emilio ha quasi avuto un colpo. È stressante doverti sempre guardare le spalle per non farti fregare.

Sia Emilio che io abbiamo avuto dei problemi con le nostre famiglie. Sono dei ficcanaso, e se cercano guai è meglio che io stia lontano da loro. Comunque prego per loro ogni giorno, solo che preferisco non sapere niente di loro.

E poi ci sono le altre donne e tutto il gossip che si portano dietro. Una volta, un tizio mi ha chiamato da un numero privato e mi ha detto che Emilio era in un albergo con un’altra donna. L’ho chiamato al cellulare, non ha risposto. Alla fine ha risposto e mi sono resa conto che era in moto, quindi chissà che cazzo stava succedendo. Non amo essere messa in imbarazzo, e voglio divertirmi anche io. In generale, lui si è sempre comportato bene con me, quindi io gli ho detto, “Qualunque cosa tu faccia, non mi metterai in imbarazzo. Scoprirò quello che devo scoprire e basta.”

Tutti hanno paura. Hanno paura di uscire con me perché hanno paura che io porti guai, motivo per cui non parlo più con nessuno. Se faccio due chiacchiere con un vicino, comincia subito a chiedermi cosa facciamo e ficcare il naso nei soldi che spendiamo. Se glielo lasci fare, la gente cerca sempre di trarre le sue conclusioni. Meglio dire buongiorno e buonasera e chiuderla lì. Diciamo che vendiamo vestiti, punto.

Ho delle amiche, sì—le mogli degli amici di Emilio—ma non mi fido di nessuna. Ho più paura della loro invidia che di qualunque altra cosa.

Alle mie figlie dico che loro padre vende scarpe e abiti. A quanto pare una volta a scuola mia figlia ha detto che suo padre vende rami secchi. Aveva visto la nostra merce, ma le dico sempre “Non devi dire quello che vedi a casa, perché possono succedere cose molto brutte e tuo papà può finire in prigione.”

In futuro, mi piacerebbe mettere in piedi un negozio di vestiti. Emilio vuole trasferirsi nel nord del paese con mio padre; vuole ritirarsi dal mondo dello spaccio. Il suo piano è comprare appartamenti da affittare, o aprire un ristorante di pesce, anche una catena. Ma a meno che le cose si rimettano male come nel 2008, dubito che cominci davvero a pensare alla pensione. Io preferirei—sempre, sempre—che si ritirasse e mollasse tutto, piuttosto che rischiare che gli succeda qualcosa. La mia famiglia è per me la cosa più importante al mondo. Se lui, i miei figli o io siamo in pericolo, niente—né i soldi né gli averi—conta più.