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Chi l'ha detto che il blackface è accettabile in Italia?

A quanto pare il mondo della moda milanese non si pone il problema, se si organizza un party a tema "Disco Africa" e gli invitati si travestono con catene, body paint tribali e la faccia pitturata di nero.

Se abitate a Milano è possibile siate a conoscenza dell’Hallowood; in caso non fosse così, vi spiego io di cosa si tratta: è una festa di Halloween privata organizzata per le persone importanti, ricche e glamorous (e i loro fortunati amici). Come tutto ciò che è esclusivo, Hallowood è l’evento per cui molti stagisti e studenti delle scuole di moda sognano di rimediare un invito nella speranza di sedurre i loro idoli o assicurarsi un posticino nella scala sociale. Nella mia esperienza non ci sono eventi al contempo utili e potenzialmente disastrosi per la reputazione al pari di questo.

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Gli invitati investono tempo e denaro nei costumi, in modo che siano sempre in linea col tema della festa. Anche per quelli più abili nel travestimento, entrare senza invito è praticamente impossibile—in effetti conosco una sola persona che ce l’ha fatta. Ovviamente coloro che vi prendono parte si sentono speciali, e sorseggiando cocktail si interrogano sui pensieri delle povere anime che il giorno dopo vedranno le foto della serata dalla propria stanza. Quest’anno ho avuto modo di essere io stessa parte di quei pensieri, dato che appena ho ricevuto l’invito ho capito che non avrei partecipato.

Speravo che qualcuno provasse a fargli cambiare idea sul tema "Disco Africa", ma avvicinandosi la scadenza fissata per l’RSVP la realtà è andata persino oltre le mie aspettative.

E allora? Un locale pieno di bianchi mascherati da versioni esagerate di quella che è la loro idea di "africano". Un gruppetto di europei con la faccia dipinta di nero e il corpo carico di catene. Eh? Hai capito? Sono uno schiavo! Un nugolo di fashion editor con body paint tribali copiati da un servizio di Vogue a sua volta ispirato a National Geographic. E quindi? Dov’è il problema?

Nessuno sembra saperlo. Ho avuto centinaia di conversazioni con europei che dichiarano di “non credere nel razzismo” perché “in [inserire Paese europeo] il razzismo non esiste,” non rientrando la schiavitù nella sua storia recente. Possono dire “negro” perché non sono bianchi americani, quindi è diverso. Possono parlare come “gangsta” perché gli piace Tupac. Proprio così, possono essere razzisti perché intorno a loro non ci sono che bianchi e nessuno ha nulla da obiettare. Solo una volta che arrivano a Londra, Parigi, New York o altri posti, le battute un tempo ben accette suscitano reazioni negative, se non il silenzio. Ed è solo quando gli amici iniziano a evitarli per la loro pessima fama nelle conversazioni e negli eventi sociali che iniziano a riflettere sul loro comportamento.

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Sono europea ma ho passato gran parte della mia vita in America e le differenze sono abissali. Se i vostri insegnanti fossero stati neri, il dottore cinese e il vostro capo messicano non sareste così ingenui da uscirvene con battute offensive sul loro conto. E perché dovreste, poi? Ma se crescete in un paese in cui gli unici bengalesi che incontrate vendono rose perché nessuno li assumerebbe per svolgere altri compiti, in cui la maggior parte degli africani vende braccialetti per la stessa ragione, in cui i bambini rom vengono giudicati sporchi e le loro madri con attributi ancor più denigratori, dove una strada, Corso di Porta Ticinese, è accompagnata dal rebus con l'immagine di un “cinese”, non c’è da sorprendersi se nessuno ci pensa due volte prima di scherzare su quelle persone.

“Ma vestirsi come loro non è razzista! Se odiassi i neri, perché vorrei somigliare loro?”

Perché travestirsi da persona di un’altra "razza" perpetua l’idea che si tratti di un travestimento, che quelle stesse persone siano un insieme di tratti più che un individuo complesso. L’atto stesso di mascherarsi da un “tipo” di persona comporta degli stereotipi che sono fonte di razzismo. Non ci sono scuse.

So bene che cose del genere capitano anche altrove, ma quando ciò accade la gente scrive articoli e si indigna. È così che dovrebbe funzionare.

Il mio intento non è di spingervi a odiare o criticare quanti hanno partecipato alla festa e si sono mascherati. Per loro era normale, ed è questo il problema, ma non costituisce una scusa. Gli europei, inclusa la sottoscritta, devono smettere di comportarsi come se il resto del mondo non esistesse. Il fatto che a scuola, sul lavoro, nel locali e nel vostro palazzo tutti siano tutti bianchi non significa che siate sollevati dalla responsabilità di prendere in considerazione quelli che non lo sono. Il fatto di pensare che non state facendo del male a nessuno non significa che non ne abbiate fatto. La vostra città, il vostro paese o la festa di Halloween potrebbero non essere vari, ma internet lo è, e ci arriverà.

Tutte le foto sono prese da Instagram, attraverso la ricerca delle tag #hallowood13 e #discoafrica.

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