Música

La trap sperimentale di JPEGMAFIA

Baltimore, in Maryland, è una città progressista. Ha votato per Clinton nelle elezioni del 2016 e ha un sindaco che ha scelto, sull’onda delle proteste e degli scontri per la manifestazione neofascista di Charlottesville, di rimuovere diverse statue raffiguranti generali sudisti come Robert E. Lee e Stonewall Jackson. Ma è anche un luogo problematico: lo racconta benissimo Jelani Cobb sul New Yorker. Nonostante sia una città a prevalenza afro-americana, anche a livello istituzionale, anche Baltimore è una città in cui le comunità nere sono marginalizzate, impoverite e soggetto di violenze da parte delle istituzioni e della polizia.

Nel 1910, Baltimore fu la prima città a introdurre una legge che regolasse la segregazione razziale su base urbanistica. Quartieri bianchi e neri vennero separati, così da evitare che le proprietà nelle comunità a prevalenza afro-americana perdessero valore. Il risultato, sul lungo termine, è una città povera in cui mancano opportunità lavorative. Povertà e criminalità sono la norma per la popolazione urbana. I bianchi e le principali aziende, fonti di lavoro e stabilità, occupano invece le periferie i sobborghi della città, andando ad aumentare il senso di stasi che appesantisce la comunità nera locale. Cobb è però attento a specificare che additare tutto questo al razzismo significa semplificare eccessivamente la questione: il problema di Baltimore, condiviso con molte altre città impoverite dall’evolversi dell’economia e dagli spostamenti migratori interni agli Stati Uniti, è istituzionale.

Videos by VICE

Nonostante viva e operi a Los Angeles, è da questo contesto che viene JPEGMAFIA aka Peggy, il cui nuovo album Veteran è uno dei prodotti hip-hop più innovativi che ho sentito negli ultimi anni. A Peggy Baltimore fa schifo, e per estensione gli Stati Uniti gli fanno schifo, così come il razzismo, i privilegi, il capitalismo, il rap che gode del capitalismo, le polemichette, la gentrificazione e la destra. Scaricabile gratuitamente su Bandcamp, Veteran è fatto di canzoni che incanalano il suo odio in composizioni così disordinate e complesse da risultare fluide: ascoltarle è accorgersi delle componenti che costituiscono la materia, e osservare al contempo la materia stessa. Ascoltare “Thug Tears” per rendersene conto, un brano in cui la voce di Peggy è come un cucchiaio di miele mangiato direttamente dall’alveare: dolce e viscoso ma pieno di pungiglioni di api morte. Percussioni sincopate e ticchettanti producono un senso di caos ordinato in un beat che sembra non avere la minima idea della strada che dovrebbe prendere per raggiungere il suo ideale punto d’arrivo, ma ci arriva comunque.

Quelli di JPEG sono beat autoprodotti che stoccacciano e sprimacciano il grumo sonoro della trap fino a renderlo quasi irriconoscibile: sample vocali lancinanti, cambi ritmici improvvisi, interventi da sound art vanno a squarciare gli stilemi della scuola di Atlanta, creando una sorta di ibrido tra l’irruenza casinara dei Death Grips e il gelo melodico di Lil Uzi Vert. Peccato che a lui facciano schifo entrambe le idee di rap: come cantava in “Drake Era”, traccia d’apertura del suo Black Ben Carson (2015):

Peggy, Peggy, sono il nuovo giovane Mayweather / Sto solo provando a far uscire l’hip-hop dall’era di Drake […] ‘Sti negri dicono di essere carichi [“Charged Up”, ndt] / Io gli faccio finire la batteria / Ti apro il culo in due e non sei ancora nemmeno la metà di me.

E ancora:

Voi negri indie vorreste solo essere uomini neri / Sono vero da una vita / Voi siete come MC Ride / Due bianchi del cazzo chiamano il tuo album “nigga” e tu glielo lasci fare, stronzo / Andatevene dal mio cazzo di genere.

Nei primo caso, JPEG si scaglia contro chi “rappa anche se non gli piace”, chi canticchia e mette insieme due parole senza alcun motivo se non il mero fare musica per diventare famoso; nel secondo, accusa MC Ride—l’unico membro di colore dei Death Grips—di accettare la prepotenza dei suoi due compagni di band bianchi, che hanno scelto assieme a lui di usare la parola “Niggas” nel titolo del loro Niggas on the Moon.

La chiave di lettura della poetica di JPEGMAFIA è la provocazione, ma mentre i suoi contemporanei la concepiscono principalmente come una conseguenza dell’autocelebrazione (“Ti voglio provocare, e quindi ti dico quanto spacco e tu fai schifo”), lui la usa come canale comunicativo per la sua identità complessa. Non è un caso che Veteran venga stampato fisicamente da Deathbomb Arc, etichetta di Los Angeles che negli ultimi vent’anni è stata voce di innumerevoli progetti musicali ibridi basati bene o male su un concetto di intransigenza creativa, sia testuale che sonora: dai Black Pus di Brian Chippendale dei Lightning Bolt all’hip-hop sperimentale dei clipping., dall’umiliante lo-fi del prolifico cantautore R. Stevie Moore alle primissime cose proprio di quei Death Grips scarnificati e analizzati nell’assurdità del loro successo all’interno della bolla indie americana.

Prendiamo come introduzione a Veteran “Real Nega”, la sua seconda traccia. Il beat si basa su un sample di “Goin’ Down” di Old Dirty Bastard: il gracidio della sua voce cresce fino a diventare un lamento lancinante, su cui JPEG appoggia delle percussioni tribali e un flow spigoloso:

I cracker [dispregiativo per “i bianchi”] cantano tipo ‘sto ritornello / Il fucile gli fa cambiare timbro / Il fucile paga l’affitto di ‘sto negro / Il fucile scrive le hit per ‘sto negro / Ho sentito che vuole fare il rapper? / Il fucile cambia la nicchia di ‘sto negro / I negri vogliono sempre fare soldi finché non incontrano 50 Cent / Fanculo i subtweet, faccio fare Sub-“pop!” alla testa di ‘sti negri, tipo PEZ / L’alt-right vuole la guerra? Bé, ok allora / ‘Sti negri mi stanno tra le palle, bè, è normale / ‘Sti bianchi si incazzano per quello che dico / Siete tutti coraggiosi su internet, restate nei commenti / Metto un calzino in bocca a ‘sto negro tipo Mankind / Fanculo la bandiera, stiamo morendo / Bianchi del cazzo!

Nel giro di una strofa, JPEG ha buttato fuori un po’ di sana furia nei confronti dei bianchi, ha citato una storica etichetta indipendente, un wrestler che ha basato la sua carriera sul palese disinteresse nei confronti della propria incolumità, ha dissato 50 Cent e la bandiera degli Stati Uniti. Il che potrebbe anche suonare gratuito, se non fosse espressione di una coscienza politica tagliente e illuminante: mentre—per usare l’esempio più famoso possibile—Kendrick Lamar predica una resistenza organizzata al razzismo imperante negli Stati Uniti contemporanei, JPEGMAFIA sembra voler uscire in strada e mettersi a gridare, orgoglioso, tutto ciò che gli sta sul cazzo.

L’approccio di JPEG è palese già dai titoli che sceglie: “I Cannot Fucking Wait Until Morrissey Dies”, per esempio, non solo fa drizzare le antenne a chiunque abbia mai ascoltato “There Is a Light That Never Goes Out”, ma si qualifica come ferrea presa di posizione contro le opinioni retrograde e sessiste che ha fatto venire fuori negli ultimi mesi. E, soprattutto, non è una provocazione gratuita ma un glorioso attacco ai simboli del potere bianco a livello musicale e mediatico: comincia facendo i nomi di Tom Araya degli Slayer (non proprio un compagno), di Varg Vikernes aka Burzum (figura storica del black metal nonché noto neonazista armaiolo), e proprio di Moz, e li definisce “un branco di timide fighe bianche”. E poi:

“Fanculo Johnny Rotten / Voglio Lil B / Fanculo voi negri che parlate / Questa è una carneficina / Salto addosso a un bianco / Dalle casse esce Lil Peep”.

Contrapporre Lil B, un rapper rivoluzionario che ha sempre rifiutato di piegarsi alle regole del mercato continuando a buttare fuori mixtape innovativi a ritmi assassini, a un prodotto confezionato dall’industria musicale e venduto come voce di una rivoluzione, cioè Johnny Rotten, dice molto degli ideali che JPEG vuole comunicare. E poi, ancora: “4chan sul cazzo perché sono edgy / Metti a sedere il tuo culo pallido, beviti una Pepsi“. È che è figlio di internet e dei suoi luoghi di aggregazione meno standardizzati, JPEGMAFIA, e non si fa problemi a puntare il dito contro le bolle di biancore oltranzista che spuntano sulla pelle ustionata di 4chan, di Reddit, o di forum sui videogiochi: “My Thoughts On Neogaf Dying” parla, per esempio, della chiusura di un forum sul gaming il cui fondatore è stato accusato di molestie. Il testo? Un costante ripetersi di “I don’t care”, “Non me ne frega niente”.

È che è figlio della internet culture, JPEGMAFIA, e quindi difficile da spiegare a chi non c’è dentro fino al collo. Peggy parla accoratamente di argomenti e polemiche che in Italia arrivano solo a determinate bolle d’interesse e lo fa usando termini intraducibili (“edgy“, “cuck“, “libtard“) in quanto prodotto di una sottocultura dalle forti connotazioni linguistiche e socioculturali. Sono parole e discussioni che vengono riprese e comprese nel nostro paese solo da un pubblico fortemente determinato e relativamente piccolo, una serie di bolle che si autogenerano per un senso di ironia condivisa, e si trovano a dover semplificare e banalizzare enormemente ciò che li appassiona per comunicarli a chi sta all’esterno. Usare un linguaggio e un campionario di riferimenti simile in un contesto a metà tra trap e beatmaking sperimentale, con la qualità aggiunta di un messaggio politico approfondito e multistrato, qualifica JPEGMAFIA come un rapper incredibilmente contemporaneo.

Fotografia via Bandcamp.

Il concetto che contiene con maggiore intensità la potenza di JPEGMAFIA è però quello di morte del rock. La conversazione sul passaggio di consegne dell’avanguardia musicale occidentale dal rock all’hip-hop è ormai onnipresente: chiedere a Post Malone, Future, Danny Brown, Joey Bada$$, Lil Peep e a tutti quelli che hanno cominciato ad appropriarsi del termine “rockstar” per definire ideologicamente quello che fanno. Questo processo, ai piani alti della visibilità, si svolge però solo a livello di linguaggio e stile di vita: la musica resta, nella maggior parte dei casi, normale hip-hop. In un album come Veteran, il rock non è solo simbolo di un passato su cui costruire un nuovo impero ideologico: è un cadavere marcio che nessuno ha ancora avuto il coraggio di seppellire, simbolo di un pallore culturale, sociale e politico di cui auspicarsi la distruzione.

“Per strada si dice che tu sia un libtard / Ho sentito dire che gli stupri te lo fanno venire duro / Per strada si dice che tu sia una rockstar / Ho sentito che hai picchiato una troia con una chitarra”, canta Freaky—collaboratore di lunga data di JPEGMAFIA—su “Libtard Anthem”. “Libtard” è un insulto usato principalmente dai repubblicani e dall’alt-right per definire chi crede in politiche progressiste, sebbene la corretta definizione sia nebulosa. Freaky, e per estensione JPEGMAFIA, sembra usarlo come simbolo di tutto ciò che è bianco e tradizionalista, e magari solo fintamente progressista, e lo applica a chi chiude un occhio sulla questione stupri, a chi indossa Supreme spinto da una paradossale corsa collettiva verso un’esclusività farlocca, a chi pensa che sia ok per un bianco—Bill Maher, nel contesto del pezzo—usare il termine “nigga”. Ma soprattutto lo associa al rock, considerato un simbolo di stasi culturale, etica e sociale.

“È da un po’ che sono sulla strada, ho appena messo fine al rock and roll”, canta JPEGMAFIA in “Rock N Roll Is Dead”, e poi “Non fottiamo con l’alt-right / Non siete mai stati una minaccia”. Prosegue invitandoli a venire a Baltimore per ricevere in cambio un proiettile in testa e un pene nelle loro mogli, come se fosse la cosa più normale del mondo. L’equazione è semplice: rock = falso progressismo, idee retrograde, cancro da estirpare. E la soluzione sonora è la decostruzione del rap, la produzione di beat che prendono più da circoli afferenti all’elettronica sperimentale, alle power electronics, al noise e alla sound art. Gli scoppiettii cavernosi con cui si apre il beat sarebbero adatti per accompagnare la visita di una galleria d’arte contemporanea, ma JPEGMAFIA li usa per metterci sotto delle percussioni azzardate e glitchate, appoggiarci sopra il sample vocale di uno YouTuber che parla di quanto ami le sue armi—e poi per decretare la sua visione artistica, la morte di tutto ciò che non è genuino e progressista, splendido in quanto complesso.

Elia è su Instagram: @lvslei.

Segui Noisey su Instagram e Facebook.