Come 'La Casta' ha cambiato per sempre l'Italia
Manifestazione dei Forconi a Roma, dicembre 2013. Foto di Federico Tribbioli.

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Come 'La Casta' ha cambiato per sempre l'Italia

A dieci anni dall'uscita del libro di Stella e Rizzo, abbiamo ripercorso l'origine e l'evoluzione del più acerrimo nemico della Gente.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Ogni grande eroe ha il suo acerrimo nemico, quello senza il quale la sua battaglia non avrebbe senso. Per Batman è Joker, per Capitan American è Teschio Rosso, per la sinistra italiana è Massimo D'Alema, e per il popolo italiano è—senz'ombra di dubbio—la Casta.

Nella sua accezione più comune, la Casta è tutto quello che c'è di marcio e sbagliato nel paese: gli sprechi della politica, i vitalizi, i "pennivendoli di regime," le cooperative rosse, i tassisti, gli ambulanti, i medici, i sindacati, i radical-chic, e così via. Potremmo davvero continuare all'infinito, anche perché qualsiasi gruppo che sia percepito—a torto o ragione—come "garantito" o "privilegiato" rientra nella categoria di Casta. Anche, per dire, i produttori di vino (sì, è stato fatto un libro persino sulla casta del vino).

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Considerata la sua pervasività è quasi automatico pensare che questo termine sia sempre esistito. In realtà, però, non è proprio così. Il moderno concetto italiano di "Casta" esiste da dieci anni esatti, e in questo lasso di tempo è stato lavorato e rielaborato da decine e decine di "autori" diversi tra loro, finendo così per assumere le fattezze di un monstrum onnicomprensivo.

L'origine è nota: il saggio La Casta. Uscito nel maggio 2007 e scritto dalle firme di punta del Corriere della Sera Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, il libro raccoglie e amplia una serie di articoli d'inchiesta che i due avevano dedicato a quella "caricatura obesa e ingorda" altrimenti nota come "politica italiana."

I vari capitoli affrontavano i costi e gli insulsi privilegi dei parlamentari e degli amministratori locali: dalle mense di lusso a prezzi ridicoli alle auto blu, passando per le pensioni d'oro, le esenzioni Irpef e i rimborsi elettorali. Insomma, tutte cose in grado di far scoppiare le vene dall'indignazione.

Il successo de La Casta è stato istantaneo e travolgente, per diversi motivi. Il primo è l'efficacissimo titolo, ispirato a una frase di Walter Veltroni—anche se il primo politico del Dopoguerra ad aver usato il termine "casta" è stato Don Sturzo negli anni Cinquanta. La circostanza curiosa è che il titolo di lavorazione era un'altro: Bramini. In un articolo di qualche giorno fa, l'allora editor della saggistica di Rizzoli si è chiesto se—con quella definizione—si "parlerebbe oggi in Italia dei 'bramini' della politica anziché dei privilegi della 'casta'." Rispondo io: con ogni probabilità, no.

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Il secondo è il tempismo. All'epoca—tra un governo Prodi dilaniato da scazzi interni, e la fossilizzazione generalizzata della Seconda Repubblica—il risentimento verso la politica non si era ancora coagulato attorno a un simbolo forte e condiviso. Con lo scoppiare della crisi finanziaria, poi, quel simbolo ha travalicato le intenzioni degli autori e si è ingrossato in modo del tutto incontrollabile.

Il terzo, infine, è una circostanza ben precisa: il fatto che la campagna contro la classe politica sia partita proprio dal giornale del "salotto buono" della borghesia italiana. Massimo Muchetti, ex vicedirettore del Corriere della Sera e deputato del PD, ha ricordato in un'intervista del 2013 che "quelle inchieste si accompagnavano a una campagna politica che, mettendo in luce le debolezze reali del governo Prodi, puntava sui tecnici che avrebbero dovuto avere alla loro testa Luca Montezemolo."

Non a caso, sin dai primi momenti dall'uscita de La Casta, l'allora presidente di Confindustria—non esattamente un capopopolo proletario, diciamo—si scaglia ripetutamente contro la classe politica nel corso di assemblee pubbliche e interviste. Ma il suo progetto di scendere in campo sfuma relativamente in fretta, rivelando così, dice sempre Muchetti, la pochezza di questa operazione politica. "Alla fine," sostiene poi l'ex vicedirettore del Corriere, "complice una politica cieca, la guerra alla casta senza la capacità di proporre alternative reali ha generato il Movimento 5 Stelle."

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Nello stesso anno, infatti, Beppe Grillo lancia il primo V-Day e inizia a utilizzare la Casta—cosa che continua a fare ancora adesso sul blog—come una clava da dare in testa alle classi dirigenti.

La cosa interessante è che, per motivi di calcolo e sopravvivenza, anche queste ultime adottano a loro volta una postura anti-Casta. Nell'ottobre del 2011, mentre il governo Berlusconi è sul punto di crollare, Diego Della Valle compra pagine e pagine sui quotidiani per pubblicare l'appello "POLITICI ORA BASTA," in cui si leggono cose di questo tipo: "Lo spettacolo indecente ed irresponsabile che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani. […] Rendetevi conto che tanti Italiani non hanno più nessuna stima e nessuna fiducia in molti di Voi."

La critica alla Casta, insomma, unisce veramente tutti—e per tutti intendo le stesse forze politiche, specialmente d'opposizione. Se fuori dal Parlamento era appunto il Movimento 5 Stelle a farlo, dentro il Palazzo è soprattutto l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro (che per un periodo è a stretto contatto con Grillo e Casaleggio).

Il deputato dell'IDV più attivo nel denunciare le malefatte dei colleghi è sicuramente Francesco Barbato. È lui che, sempre nel 2011, riprende con una telecamera nascosta la "confessione" di Antonio Razzi: "Te lo dico chiaro: il 14 dicembre [ data in cui si votata la fiducia al governo Berlusconi] ho fatto i cazzi miei… 10 giorni mi mancavano per la pensione, e per 10 giorni mi inculavano… io c'ho 63 anni, dove vado a lavorare io? Cazzo me ne frega, tanto qui sono tutti malviventi, se non fai da solo ti si inculano loro."

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A testimonianza di quanto possa essere scivoloso questo terreno, tuttavia, la crociata anti-Casta si ritorce contro l'Italia dei Valori. Una puntata di Report dell'ottobre 2012 documenta l'opacità nella gestione dei rimborsi elettorali e degli immobili del partito, sancendo di fatto la fine di quell'esperienza politica—che comunque era già in enorme difficoltà a causa della concorrenza del M5S.

Parallelamente, intanto, sui media e su Internet prende piede una mobilitazione ancora più aggressiva ed esasperata che va a creare una "Casta" su stereoidi—la cosiddetta "Kasta." Nell'estate del 2011 spuntano fuori una pagina Facebook e un blog chiamati I segreti della casta di Montecitorio, che in poco tempo rastrellano un numero considerevole di like.

In queste pagine, un sedicente precario che avrebbe lavorato 15 anni alla Camera promette—dietro l'alias di SpiderTruman—rivelazioni esplosive sulle ruberie dei politici. Per alimentare l'alone da giustiziere misterioso, su YouTube compaiono dei videomessaggi che sono un incrocio tra V per Vendetta e una clip della CentoXCento.

La stampa riprende acriticamente la "notizia," arrivando persino a descrivere SpiderTruman come un "Julian Assange anti-casta." Peccato che I segreti della casta non abbia nulla a che fare con WikiLeaks: tutto quello che fa è riprendere—ovviamente senza citare—brani de La Casta o articoli pubblicati sui quotidiani, riadattandoli in un contenitore che si trasforma immediatamente in un immenso sfogatoio di rancore e risentimento.

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Alla fine—grazie al lavoro di Valigia Blu e di alcuni bloggergiornalisti—viene fuori che SpiderTruman non esiste realmente. Si scopre che il blog è stato tirato su dall'ex deputato di Rifondazione Comunista Francesco Caruso, il quale è costretto ad ammettere di aver scritto i post; e poi che le "rivelazioni" de I segreti della Casta sono state sfruttate da figure legate all'IDV e al Popolo Viola per condurre una spregiudicata operazione di marketing politico. Nonostante ciò, la "mobilitazione" colpisce nel segno: "che sia una bufala o meno poco importa," aveva commentato un utente, "sta montando un'onda che coinvolge tutta la civiltà occidentale."

Di lì a poco, infatti, sul fronte anti-Casta avviene la saldatura tra il mainstream e un demi-monde gentista ancora agli albori. A renderla possibile è un monologo di Enrico Brignano sulle Iene, andato in onda il 2 novembre 2011 e da allora replicato infinite volte su YouTube e su Facebook con la qualifica di VIDEO CENSURATO IN TUTTA ITALIA. Nell'arco di dieci minuti, il comico fa un discorso da televangelista populista che culmina con questa frase: "Mentre gli italiani finiranno per accattare gli avanzi nel cassonetto dell'umido, i nostri onorevoli nei prossimi tre anni prenderanno lo stesso identico scandaloso stipendio che hanno preso finora! Signori onorevoli: ma non vi fate un po' schifo da soli?"

Lo zenit della contestazione "dal basso" alla "Kasta" avviene due anni dopo quel monologo, con la "rivoluzione" del movimento #9dicembre. E sebbene sia fallita miseramente, è proprio con quella sgangherata protesta che il termine compie un salto evolutivo che permane ancor oggi.

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Per rendere conto del livello di assurdità e parossismo a cui si è spinta la lotta anti-Casta è sufficiente ricordare cos'è successo durante la campagna per il referendum costituzionale—ossia quando due massime espressioni della Casta si sono scagliate, be', proprio contro la Casta.

In un'intervista al Quotidiano nazionale, Silvio Berlusconi ha detto "Renzi è il tipico esemplare di quella 'Casta' di politici di professione che lui dice di voler combattere." Renzi, dal canto suo, ha affermato che con la riforma avrebbe "rottamato la Casta," e che chi era intenzionato a votare No stava difendendo la Casta: "Se di fronte alla domanda 'vuoi ridurre parlamentari e costi della politica' gli italiani votano No, chi brinda sono i sostenitori della Casta, non gli innovatori."

Insomma: al di là dell'effettiva denuncia delle scandalose ruberie della politica—che sono il punto di partenza di Stella e Rizzo—in dieci anni la "Casta" è diventata ben altro, e la sua forza risiede proprio nella cornice interpretativa in cui si è ormai incastonata.

"C'è sempre un 'io' e un 'loro', c'è sempre un confine che divide una generica 'società' e qualche 'Casta' di rapaci parassiti," scrive Giuliano Santoro in Un Grillo qualunque. "Il risultato è che la 'società' indifferenziata non debba mai mettersi in discussione, che basti denunciare la corruzione (che riguarda sempre l'altro) per sentirsi in pace con la coscienza."

Impostato in questa maniera, il discorso sulla Casta potenzialmente può reggere all'infinito—anche a fronte dell'effettiva rinuncia ai privilegi più odiosi. Secondo quanto rilevato da un recente sondaggio, infatti, il 54 percento degli italiani ritiene che dall'uscita del libro a oggi non sia cambiato nulla; mentre il 21 pensa che la situazione sia peggiorata. Il 38 percento, inoltre, crede che nessun partito sia credibile nella battaglia contro i privilegi politici—il M5S, per dire, si ferma solo al 22 percento.

È proprio quest'ultimo dato il più significativo. In un post di qualche anno fa, Luca De Biase scriveva che "la casta è stato un frame di enorme successo: ma non ha più molto da dire di costruttivo, mentre rischia di avere ancora molto da dire di distruttivo. Spero che da chi è arrivata la parola che ha costruito il frame o da altri arrivi una nuova parola che serva da incentivo a fare seriamente politica."

Ecco: a dieci anni esatti dall'uscita de La Casta, non solo quella parola non ha esaurito la sua carica; al contrario, si è inserita così tanto in profondità nella coscienza collettiva da aver condizionato per sempre la politica e la società italiane.

Oggi, infatti, chiunque può rimanere travolto dalla sua forza distruttiva—incluso chi, come il M5S, l'ha sempre brandita come un'arma, illudendosi che a far parte della Casta rimarranno sempre e solo gli altri.

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