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L’ad blocker che metterà fine alla guerra dell’Ad-Blocking

Un team di ricercatori dell’Università di Princeton e di Stanford ha portato l’ad-blocking a nuovi livelli, nel tentativo di porre fine alla guerra contro di esso. L’ad blocker creato è leggero ed è riuscito a superare le barriere di 50 siti web su un totale di 50 su cui è stato testato, oltre a riuscire a bloccare gli annunci di Facebook — precedentemente impossibili da bloccare.

Il software, ideato da Arvind Narayanan, Dillon Reisman, Jonathan Mayer e Grant Storey, è una novità per due motivi: innanzitutto, pensa alla lotta tra gli annunci e gli ad blocker come a un problema di sicurezza che può essere combattuto in modo molto simile al modo in cui i programmi antivirus tentano di bloccare i malware, utilizzando tecniche prese in prestito dai rootkit e la possibilità di personalizzare i browser per bloccare gli annunci senza essere rilevati. In secondo luogo, il team ha rilevato come le leggi vigenti concedano un vantaggio fondamentale ai consumatori, aprendo la porta ad una soluzione ad blocking a lungo termine.

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Le regolamentazioni della Federal Trade Commission richiedono che le pubblicità siano chiaramente individuabili da parte di un essere umano e questo aspetto costituisce una condizione di vantaggio per i consumatori e, ora, per gli ad blocker. Il team ha sfruttato diverse tecniche di computer vision, definite “perceptual ad blocking,” per rilevare gli annunci allo stesso modo in cui farebbe un essere umano. Dato che gli inserzionisti devono rispettare queste norme, per gli autori, la “partita finale” sarà vinta dai consumatori e dagli ad blocker.

“A differenza del comportamento dei malware, il comportamento sia dei publisher/advertiser che degli strumenti di ad-blocking viene regolato da norme e continuerà ad esserlo anche in futuro,” scrivono nel paper che illustra il nuovo strumento. “Un clima legale favorevole e l’esistenza di browser che accettano le estensioni di ad blocking sono due fattori chiave vantaggiosi per gli utenti”.

Il team ha descritto la lotta contro l’ad-blocking nelle sue varie fasi.

Ovviamente, la questione dell’ad-blocking presenta dei risvolti etici, soprattutto per un giornalista il cui salario è in gran parte pagato dalla pubblicità. L’aumento dei malware, il tracking invasivo e la sorveglianza, gli script pesanti che possono ridurre le prestazioni dei browser sono tutti elementi che rimandano alla necessità di bloccare gli annunci (uno studio recente ha scoperto che la pubblicità e gli script rallentano le pagine web di una media del 44 per cento). D’altra parte, le pubblicità consentono alle aziende come VICE di esistere e la diffusione dell’ad-blocking ha già comportato importanti fluttuazioni nei guadagni degli editori online.

Mentre gli autori di questo studio non prendono una posizione etica sulla questione dell’ad-blocking, sono convinti che le relazioni tra inserzionisti/editori/lettori debbano cambiare in maniera sostanziale.

“Al momento, il problema fondamentale con le pubblicità online è lo squilibrio degli incentivi, non solo tra gli utenti e gli inserzionisti, ma anche tra gli editori e gli inserzionisti,” ci ha spiegato Narayanan via mail. “Abbiamo scoperto che gli editori sono sorpresi dall’aumento dilagante del tracking online e dai problemi di sicurezza riguardanti gli annunci, ma che non hanno molto controllo sulla tecnologia degli ad. Modificare questo squilibrio di potere è importante se desideriamo una soluzione a lungo termine.”

Al momento, è disponibile una versione di prova del software per Chrome che rileva semplicemente gli annunci, senza bloccarli: “Per evitare di prendere posizioni etiche riguardo gli ad-block, abbiamo deliberatamente evitato di rendere il nostro strumento di prova completamente funzionale e lo abbiamo configurato per rilevare gli annunci senza bloccarli effettivamente,” ha spiegato Narayanan.

Questi elementi — richiesti dalla legge — sono il motivo per cui il perceptual ad blocking funziona.

Con due fazioni contrapposte fortemente motivate — una comunità di sviluppatori di ad-blocker open source da un lato e publisher che devono difendere i loro interessi dall’altro — negli ultimi anni, la guerra dell’ad blocking si è complicata. Gli ad-blocker più popolari come Adblock Plus e uBlock Origin rilevano il codice utilizzato dagli annunci standard; così, gli URL e i codici di markup utilizzati maggiormente per le pubblicità vengono condivisi su enormi elenchi open source spesso gestiti dagli utenti.

Ciò significa che gli inserzionisti e gli editori possono semplicemente modificare il codice che utilizzano i loro annunci per sconfiggere gli ad-blocker. Questo tipo di ad blocker spesso sono facilmente individuabili dagli anti ad blocker distribuiti sui siti di più di 50 publisher molto popolari. Inoltre, gli ad blocker tradizionali non riescono a bloccare gli annunci nativi che sembrano contenuti classici, per questo non rilevano e bloccano i post sponsorizzati su Facebook.

Il perceptual ad-blocking, d’altra parte, ignora quei codici e quelle liste. Al contrario, utilizza il riconoscimento ottico dei caratteri, le tecniche di design e gli spazi in cui vengono comunemente inseriti gli annunci in una pagina per rilevare parole come “sponsored” o “close ad” che devono essere incluse in ogni annuncio, grazie a ciò, diventa possibile rilevare e bloccare gli annunci pubblicitari di Facebook.

Gli ad block tradizionali cercano il codice utilizzato comunemente negli annunci e gli impediscono il caricamento.

“Finché gli standard di divulgazione restano inequivocabili e rispettati, un perceptual ad blocker riuscirà ad identificare il cento per cento degli annunci disciplinati da tale standard,” scrivono i ricercatori. Poiché i nuovi standard di divulgazione devono generalmente passare attraverso un’approvazione legale, è molto meno probabile che cambino le regole piuttosto che i codici utilizzati per la pubblicazione degli annunci pubblicitari.

Per sconfiggere gli anti ad blocker, i ricercatori hanno affermato di aver preso in prestito delle tecniche dai rootkit, spesso utilizzati per i malware, ma che possono essere adattate per “nascondere la propria esistenza e le proprie attività” ai rilevatori di ad blocking. Ciò è dovuto al fatto che le estensioni del browser sono privilegiate rispetto alle pubblicità e ai rilevatori di ad blocker. Inoltre, lo strumento sfrutta un’altra tecnica ancora più impressionante — solo proposta ma non ancora messa in pratica — per nascondere le attività degli ad blocker. Questa “crea due copie della pagina, una visibile dall’utente (a cui verrà applicato l’ad-blocking) e una che interagisce con il codice del publisher, per assicurare che le informazioni si propaghino tra queste copie in una direzione ma non nell’altra. “

Quello che abbiamo, dunque, è una ricerca che rimanda a una potenziale fine della guerra all’ad-block. E ora, a voi la prossima mossa, cari editori.

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