Il 17 maggio è la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. In quest’occasione, e mentre in Italia si registra una carenza di farmaci a base di testosterone come Testoviron e Sustanon (assunti da persone impegnate in un percorso di transizione), proponiamo questo articolo di VICE US.
L’ultima volta che ho preso il testosterone è stato più o meno un anno fa. Avevo una dose di 20 mg ogni due settimane—una quantità ben inferiore a quella assegnata normalmente a chi voglia intraprendere un percorso di transizione completa da donna a uomo, che va dai 50 mg ai 100 mg a settimana. Sono una persona non-binaria, e non mi interessa presentarmi al mondo come “uomo” secondo gli antiquati criteri fisici che sosterrebbero questa ipotesi. Quando prendevo quella piccola quantità di testosterone, i cambiamenti fisici che ne conseguivano erano discreti. Nel corso dei mesi, il grasso corporeo si era ridistribuito, le spalle si erano allargate e il viso si era indurito. Il cambiamento più forte era che mi sentivo molto più a mio agio nel mio corpo.
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Definisco il mio piano terapeutico “microdosing ormonale.” Non so come lo chiamino gli altri, perché ci sono relativamente poche testimonianze pubbliche di altre persone non-binarie che hanno usato così gli ormoni—ne ho trovate solo su Instagram, su piccoli blog e a volte in qualche thread Reddit nella sezione r/NonBinary. La mancanza di informazioni in materia è una delle molte ragioni per cui ho faticato a trovare esattamente ciò di cui avevo bisogno.
Molto prima di avere le parole per dire “non-binario”—figuriamoci microdosing—cercavo istintivamente di capire cosa mi si addicesse di più. La mia prima esperienza con la non-conformità di genere è avvenuta in spiaggia, quando avevo quattro anni o giù di lì. Mio padre mi aveva dato il permesso di scegliere da me il costume da bagno, e avevo optato per un paio di pantaloncini rosso acceso. Non avevo idea che un indumento potesse essere considerato anomalo, almeno finché mia madre non mi ha impedito di indossare i pantaloncini. Sosteneva mi facessero sembrare un “niño,” o un bambino, e non voleva che le signore lanciassero occhiatacce al bambino con gli orecchini. Fino ad allora, non sapevo del mio genere o di cosa significasse per le altre persone.
Da allora, la mia consapevolezza di essere un misto tra ragazzo e ragazza ha continuato a crescere. Alle medie ho inventato un secondo nome maschile—quello originale era Marie, ma dicevo che era Michael—e quando mi presentavo agli altri studenti, facevo sempre in modo di includerlo. Di solito i miei compagni di classe erano confusi, e la cosa mi creava una certa soddisfazione interiore. Quando il professore di spagnolo ci assegnò dei soprannomi, ne chiesi uno senza “a” o “o” alla fine.
Dopo anni di simili ritocchi alla mia presentazione e autorappresentazione, al primo anno delle superiori dissi a mia madre che ero transessuale. Era la seconda volta che facevo coming out—la prima era stata quando le avevo detto che ero gay, dopo che aveva sorpreso me e la mia prima ragazza a scambiarci effusioni in camera mia. Sentivo la stessa fitta d’ansia che avevo provato quella prima volta. Cercai di spiegare come, quando immaginavo una versione ideale di me, era maschile e bella. Ciò che avevo visto della transessualità fino a quel momento era ancora basato sull’essere o un ragazzo o una ragazza, e accettarlo mi sembrava l’unico modo per diventare comprensibile alle persone intorno a me, anche se sentivo inconsciamente che nessuno dei due era giusto.
Ho fatto terapia con mia madre per esplorare il mio desiderio di essere un ragazzo. L’idea di una transizione medica completa mi terrorizzava. Guardare immagini di uomini trans era confortante ma anche l’opposto—mi sentivo in una nebbia di incertezza. Ho trascorso le mie sessioni di terapia descrivendo questa nebbia, sempre apparentemente impassibile, per dimostrare che le domande che mi volevano confinare a “maschio” e “femmina” non mi turbavano.
“Vorresti essere un marito un giorno, invece che una moglie?” mi aveva chiesto il mio terapeuta.
“Vorrei solo che ci fossero altre parole per quel ruolo.” Era questa l’unica risposta che avevo.
Non ne ho trovata uno più adatta fino a quattro anni dopo, a 21 anni. Ho trascorso i primi tre mesi del 2014 leggendo febbrilmente il blog di una persona di nome Micah che si definiva “non binaria.” Era la prima volta che sentivo quel termine. Sul blog, l’autore raccontava dettagliatamente la sua transizione, che includeva del microdosing ormonale.
Ecco quello che avrei fatto.
Prima di prendere appuntamento dal dottore per capire come intraprendere la terapia col testosterone, non sapevo bene cosa aspettarmi. Ma credevo di sapere cosa avrei voluto essere. Poi però, mentre finalmente gli parlavo, mi ha sorpreso la velocità con cui la lingua ha dato voce alla parola “uomo” e sputato fuori bugie sul volerne diventare uno.
Alla fine dell’appuntamento, un’altra sorpresa: avrei potuto andare al piano di sotto, prendere il testosterone e imparare a iniettarmelo quello stesso giorno. Mi aspettavo che questo mi avrebbe dato gioia, ma me ne ha tolta: mi era stato assegnato un dosaggio in base alle mie bugie. Ho detto che avrei avuto bisogno di un amico per farmi le iniezioni e ho lasciato la clinica senza testosterone, in preda ai dubbi e allo sconforto.
La mia esperienza non è così rara come pensavo in quel momento. Uno studio del 2014 del LGBT Health Education Center ha rilevato che oltre il 40 percento dei professionisti sanitari esaminati non sa bene come discutere e trattare i problemi di identità di genere. Tuttavia, non è sempre così. Ho parlato con Zil Goldstein della Callen-Lorde, una clinica di New York che offre assistenza a persone LGBTQIA+. Goldstein mi ha detto: “[La prescrizione di basse dosi di testosterone] è stata discussa per molto più tempo di quanto si pensi. Questo è il modo in cui vedo l’assistenza transgender per le persone che hanno identità di genere non binaria e binaria: la persona che riceve le cure è il capitano della nave. Io sono il timone. Ecco come ci prendiamo cura di tutti.”
Anche se le cliniche che si concentrano sull’identità di genere come la Callen-Lorde sono sicuramente specializzate in questo trattamento per persone non binarie, Goldstein ha ragione: prescrivere dosaggi più bassi di testosterone non è cosa inaudita in campo medico, in generale. Secondo la guida per gli standard di cura della World Professional Association for Transgender Health:
Alcune persone cercano la massima femminilizzazione/mascolinizzazione, mentre altre trovano sollievo con una presentazione androgina che deriva dalla minimizzazione ormonale delle caratteristiche sessuali secondarie esistenti… La terapia ormonale deve essere individuata in base agli obiettivi del paziente, al rapporto rischio/beneficio dei farmaci, alla presenza di altre condizioni mediche e alla considerazione di problemi sociali ed economici.
La maggior parte delle rappresentazioni della transessualità, tuttavia, si basa sulla logica binaria. Per le persone non-binarie, questo può finire con il rafforzare il fatto che le narrazioni comuni sull’essere transessuale, in contesti altrimenti cis, si fondino sulla collocazione di un individuo all’interno del percorso di transizione medica “completa.” Il microdosing rifiuta questa nozione perché è un processo senza una “fine” vera e propria.
Il mio disagio e la mia paura di dire a un dottore di come mi sentissi veramente si sono ridotte quando, tornando sul blog di Micah, ho deciso che volevo riprovarci, questa volta con più sincerità. Ho spiegato al mio medico di base che ero una persona non-binaria e volevo che le modifiche fossero lente—anche lentissime, se ne avessi avuto la possibilità. Abbiamo parlato apertamente e la cosa mi ha lasciato una sensazione di calore.
In un mondo in cui le persone non-binarie si sentissero non solo rispecchiate, ma avessero accesso a storie di altri che hanno trovato il loro modo di affrontare la transizione, non penso che il microdosing sarebbe così raro. Le immagini che popolano il mio feed Instagram quando lo scorro a notte fonda in cerca di conferme mi danno speranza. Le persone che compaiono in quelle foto—persone come me e con maggiore visibilità rispetto a me, come Alok, Aaron Philip, Shamir, Chella Man— stanno aprendo a nuove strade. Hanno dei corpi in cui rivedo il mio: non bianchi, morbidi nei contorni, con un po’ di peli che spuntano sulla faccia, carini, belli e altro ancora. Mi mostrano che essere non-binari non ha una forma precisa. Succede senza un modo prescritto di essere, libero da aspettative. Uso il testosterone per avere accesso a questa libertà, avanzando lentamente verso uno spazio dolce e tollerante in cui si può essere delicati, duri, audace e sobri. In cui posso essere me.
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