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Tutti i segreti di Napoli Segreta

Da qualche anno a questa parte, Napoli sembra non avere più segreti. Tutti ne parlano come di un mondo (a parte) che conoscono a menadito, salvo confondere una città con l’allucinazione collettiva prodotta dalle luci del set di Gomorra, il bomberino di Liberato e il TripAdvisor di De Magistris. Inutile dire che, come ogni luogo in cui da secoli si addensano umani, imbarcazioni, merci e laterizi, Napoli di segreti è piena. Se ci limitiamo soltanto alla musica, è ormai quasi rituale tornare dalle nostre incursioni in città con qualche perla sbucata da un’ostrica camuffata da cozza, o incastrata nel catrame del mainstream e scovata dall’occhio e dall’orecchio sopraffino degli archeologi del sound partenopeo.

Tutto ciò accade soprattutto da quando siamo entrati gioiosamente in contatto con quella rete di musicisti, DJ, intellettuali (e forse ora è il caso di dire trendsetter) che prende i nomi di Famiglia Discocristiana, DNApoli, Nu Guinea, Early Sound Recordings e Napoli Segreta. A tre anni di distanza dalla scoperta del misterioso canale Soundcloud di Don Palinuro, tre anni passati a cercare informazioni su tracce che riuscivamo solo a cantare per giorni e giorni, spesi a collocare nel tempo e nello spazio musica che non avevamo idea di chi, come e perché, finalmente Napoli Segreta scuce la prima raccolta con nomi e cognomi, un Vol. 1 che ci fa sperare in un’enciclopedia, anche se forse questa rimarrà solo una speranza.

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Famiglia Discocristiana è il nome collettivo di uno dei compiler di Napoli Segreta. “Un segmento di qualcosa di più grande che accade oggi a Napoli, un spirito diverso, che mette insieme la musica, la letteratura, e una estetica nuova, fuori dai soliti cliché sulla città”, nelle sue parole. Gli abbiamo chiesto tutto quello che potevamo, ma, nel rispetto della ragione sociale, qualche lato nascosto è rimasto. Perché i lati B, come leggerete, sono ‘a cchiù bbella cosa.

Noisey: Voi avete un motto che è in pratica anche il vostro manifesto: “Esiste un solo modo perché Napoli sia davvero segreta, non parlarne affatto”. Sono d’accordissimo con questa idea carbonara (mi ricordo anche di progetti senza volto come Capri Psichica in tempi non sospetti), perché credo che uno dei problemi di oggi sia appunto una diffusione di musica e informazioni talmente eccessiva e acritica che la gente si appropria di cose di cui non capisce il vero valore, spesso travisandole. Ma allora come mai avete sentito l’esigenza di svelare una parte di questi segreti? Perché l’avete fatto? Pecché?
Famiglia Discocristiana: Quando abbiamo commissionato al dottor Gennaro Ascione un testo per il retrocopertina della compilation Napoli Segreta, avevamo intenzioni assai contrastanti. Il testo potrebbe essere considerato quasi anti-promozionale, esprime per l’appunto tutte le nostre contraddizioni interiori. Un manifesto che non è frutto di una collaborazione occasionale, bensì di un vero e proprio sodalizio artistico. Abbiamo tradito l’essenza del digging? Abbiamo sputtanato dei titoli che sarebbero dovuti rimanere sconosciuti? Meglio rimanere dei “nonchiavomai” a vita o provare a tirar fuori un oggetto/feticcio da collezione per i posteri? La risposta a tutte queste domande era già sotto i nostri occhi. Ogni mattina, da dieci anni a questa parte. Sai quando ti capita di vedere lo stesso cane che piscia vicino alla stessa serranda, poi allo stesso palo più in là e innaffia lo stesso platano più in avanti, accompagnato sempre dallo stesso padrone? Marcare il territorio diventa l’unico modo per relazionarsi con l’ambiente più prossimo.

In effetti di questa compila si è parlato molto, ma non si è posto abbastanza l’accento su quello che manca, si dà per scontato che questi nove brani siano già una sintesi del tutto. E invece io ricordo che la prima volta che ascoltai per intero una vostra compilation ero a Napoli a casa di Gennaro e rimasi veramente folgorato, soprattutto da un brano synthpop che recita così: “Sto computer che buo’/Sono un missile o sono un robot”, che in questa raccolta è assente. Quello che mi ha fatto amare Napoli Segreta è che, appunto, impazzivo per cercare informazioni su questi brani ed era impossibile scucirvi un titolo. Soprattutto perché in realtà in questi pezzi gli autori sono quasi superflui: in realtà l’autore è Napoli stessa, è “una città che compone”. Siete d’accordo?
Si dovrebbe fare un distinguo tra Napoli Segreta (DJ set), Napoli Segreta (progetto discografico) e Napoli Segreta (Spin-off di Famiglia Discocristiana). Questa distinzione è necessaria perché vede la partecipazione di diversi soggetti coinvolti a vario grado. La tracklist della compilation, ad esempio, è venuta fuori da una mediazione tra tre compiler (Lorenzo Sannino, Gianpaolo Della Noce e Nu Guinea) ed è stata concentrata su un periodo ben preciso: fine Settanta/inizio Ottanta. La compilation non è la Bibbia definitiva, né la sintesi del tutto. Vuole provare a racchiudere un determinato suono un po’ disco, un po’ funk, a tratti boogie, a tratti balearica. Ovviamente abbiamo dovuto escludere molto, sarebbe pretenzioso assai confinare un decennio in appena 9 brani. Considera, ad esempio, il fatto che in quegli stessi anni (giugno 1984) apriva le porte il Diamond Dogs Club (in pieno Rione Sanità) che aggregava esteticamente e musicalmente metallari, new romantics, dark, nichilisti, selvaggi napoletani. Il brano a cui ti riferisci, ad esempio, sarebbe stato una perfetta colonna sonora per quella stagione: vocoder, rullante dal sapore synthwave, liriche ai confini con la fantascienza più spinta. Il disco in questione è avanguardismo puro: dal titolo alla copertina, dal testo alla strumentazione utilizzata, tutto sotto la direzione di un consenziente (?) Enzo Di Domenico. L’anno riportato sul centrino è 1985. Il 24 gennaio 1984 Apple produsse un personal computer compatto e dotato di un nuovo sistema operativo a interfaccia grafica: l’Apple Macintosh. Visionari? Futuristici? O solo al passo con i tempi? E se in un futuro distopico finalmente il computer riuscisse a mettere i sentimenti in fila?

Quindi quella di concentrarvi sul periodo fine Settanta/inizio Ottanta è stata una scelta precisa rispetto a questa compilation. Ma anche ascoltando i vostri mix su Soundcloud l’impressione è che la maggior parte di queste produzioni vengano da quei due decenni. Del resto anche il Diamond Dogs ebbe vita molto breve, tre anni dopo chiudeva già i battenti. Come finì quella stagione? Si sono spenti gli studi? È cambiata la musica? L’eroina ha ucciso la voglia di suonare? Oppure c’è ancora un pezzo di Napoli Segreta degli anni Novanta e Duemila ancora da riesumare?
La storia è mutata non appena i campionatori hanno iniziato a colonizzare l’immaginario acustico glocale. Prima è arrivata una allucinazione house, dopo un miraggio techno. E tutti noi in mezzo, colpevoli non responsabili, completamente incastrati in un loop. Poi quel periodo coincide anche con la nascita dei primi nightclub, cambiano le abitudini e gli stili di vita, anche a Napoli nasce “la notte” come spazio di confine. Si scompaginano un po’ alcune rigidità dell’Italia del boom, della famiglia tradizionale, dopo l’ondata di crescita dell’occupazione cominciano i licenziamenti, la città diventa precaria, e allora le forme culturali ed estetiche che danno voce a queste esistenze oblique si moltiplicano e spesso confluiscono in sottoculture che a Napoli sono sempre state e sempre saranno minoritarie, che il più delle volte non si parlano tra di loro: che c’entrano i punks del Diamond Dog con la disco cantata da Donatella Viggiano? Potremmo dirvelo, certo, ma poi dovremmo uccidervi.

Ho letto anche che molti brani sono stati scartati per questa compila a causa della cattiva conservazione dei nastri, per cui non era possibile avere un suono di qualità. Però, voglio dire, questa roba è tipo blues: se io metto un disco di blues delle origini le incisioni sono tutte gracchianti ma il fattore emozionale aumenta esponenzialmente, come aumenta anche il coinvolgimento”storico”, si viene proiettati in un’altra dimensione. O forse il discorso è un altro, cioè che i brani contenuti in Napoli Segreta sono proposti in questo modo per sottolinearne l’avanguardismo e il fatto che, nonostante siano passati tanti anni, potrebbero essere usciti oggi?
La tracklist ha subito variazioni in corso d’opera, alcuni brani sono stati scartati perché non è stato possibile ottenere una licenza, altri non sono stati utilizzati perché suonavano male, altri ancora tenuti da parte perché è stato impossibile rintracciare gli artisti coinvolti. Quello che invece è stato selezionato con cura è un filo conduttore che unisce personaggi vicini e distanti e che in qualche modo si sono misurati con un genere musicale che all’epoca era considerato nuovo. Molte di queste perle sono degli unicum nelle produzioni di questi artisti: in alcuni casi finivano sul lato B, altre volte facevano persino fatica ad essere prodotte perché la casa discografica le considerava troppo di rottura. Prendi la copertina del 45 giri di Donatella Viggiano, per esempio: in primo piano c’è il volto di una ragazza, un tratto di henné sulla pelle scinde la faccia in due mezzi profili, come se la copertina volesse comunicare che da un lato c’è il suono della tradizione e dall’altro c’è il futuro. Oggi quel futuro risulta persino contemporaneo.

https://soundcloud.com/palinuro-bar/napoli-segreta-stadio-san-paolo

Uno dei vostri mix, per esempio, si apre con un pezzo che alla prima strofa mi ha fatto pensare subito a un Enzo Carella passato stranamente inosservato, ma già alla seconda era chiaro che si trattasse di un omaggio prodotto da mani abili in tempi più recenti, per scoprire infine che si trattava di un pezzo del 2016 dei Fitness Forever. In quest’alba dei vinti, quindi, affiorano anche tracce di un presente fortemente legato a quel sound che vuole riportare in vita.
I Fitness Forever sono uno dei nostri gruppi italiani preferiti, non a caso alcuni membri della band suoneranno (prestati) in giro anche con la Nuova Napoli live band. Credo che mischiare questo mazzo di carte sia stato positivo per tutti, ma il vero dieci di Denari resta Gaetano, il Burt Bacarach del vesuviano.

Quello che è interessante in questi pezzi non è tanto l’impianto disco/synthfunk ascrivibile al periodo Settanta/Ottanta, perché uno potrebbe dire “ammazza, grandissime gemme del periodo” e fermarsi lì, al mero genere. Invece quello che molti mi pare non abbiano capito è il contesto: quello di una Napoli che prende i suoni anglosassoni e li rielabora secondo un linguaggio e un’estetica completamente partenopea, insomma una cosa che eccede i generi usati, che sono il mezzo e non il fine. Soprattutto i testi sono micidiali, veramente una roba che mischia il linguaggio quotidiano a quello di strada, così come i miti della “passione” e della sceneggiata rivisti in una chiave che prevede anche la classica surreale ironia della città, perché Napoli sa divertirsi anche nelle difficoltà. Anche i brani in inglese sono allucinanti, un coraggiosissimo maccheronico che diventa assolutamente psichedelico proprio per la sua naïveté. I vari Enzo Avitabile, Bennato, ecc. hanno sempre fatto una cosa del genere. Ma lì l’autore spicca con la sua personalità: qui sembra invece che suoni e canti proprio un eterno inconscio napoletano collettivo.
La presenza della base NATO a Napoli ha segnato certamente alcune produzioni dell’epoca. I ‘mericani erano in città già da anni, James Senese è figlio di quella contaminazione. Se si aggiunge a tutto questo sottobosco integratissimo in alcune zone del porto anche l’esplosione delle radio libere, allora la storia della musica napoletana prende un’altra deriva. In questo contesto si muovono gli impresari, gli arrangiatori, i parolieri e tutti gli eroi di Napoli Segreta. Tony Iglio che si misura con “Caravan” di Duke Ellington potrebbe tranquillamente concorrere con Vincent Montana Jr., Tito Puente ed Eddie Palmieri. Con una corsa in tram parti da Nuova York e ti ritrovi dritto a Nuova Napoli scalo. Non trascurabile infine l’industria del falso. Cassette, CD e pure dischi falsificati. Il pezzotto era già Original Pirate Material?

C’è da dire che in questi pezzi aleggia anche uno spirito di “laboratorio sperimentale”. Penso a Oro e alla sua “Sasà”, che praticamente è hip hop, pare che venga davvero da un Bronx pieno di napoletani che fanno breakdance (il ponte Napoli-New York d’altronde è storico). L’impressione di trovarsi davanti a qualcosa d’avanguardia è dovuto credo proprio alla povertà di mezzi, usati però al massimo delle loro possibilità espressive. Avete avuto, mi pare, modo di parlare coi diretti interessati a proposito delle loro tecniche di registrazione: c’è qualcosa che volete raccontarci a riguardo? Anche rispetto ai session man coinvolti ci devono essere storie niente male, immagino storie tipo quelle dei grandi jazzisti che per arrotondare suonavano colonne sonore per film porno. Per non parlare dei luoghi, studi d’incisione e piste da ballo, perché una produzione così corposa fa immaginare che prima di finire nelle cassetta delle offerte “3 dischi a 5 euro” molti di questi dischi circolassero o quanto meno fossero destinati a circolare nei club e nelle discoteche.
Dopo l’azzardo della presentazione presso i Giardini di Palazzo Reale, abbiamo deciso di non escludere la possibilità di altri appuntamenti sotto forma di ascolto guidato dove poter raccontare aneddoti, storie e curiosità sui musicisti coinvolti. Il momento talk, emozioni a parte, è stato fondamentale perché ha messo in chiaro il peso dell’operazione Napoli Segreta, che è prima di tutto un’azione di recupero. Alcuni degli artisti contattati hanno addirittura rinnegato questo passato, considerando quelle produzioni come una parentesi artistica da dimenticare, quasi ai limiti del trash. Altri hanno rimosso completamente quei momenti perché erano dei turnisti prestati alla registrazione. Tra i crediti degli album e dei 45 giri, comunque ci sono spesso dei nomi che ricorrono: Iglio, Moxedano, Visco, Esposito, Fasciano, Donniacuo, Vessicchio, solo per citarne alcuni.

La cosa interessante di questi pezzi è che sono senza freno alcuno nel descrivere delle situazioni. Penso a “Guagliù” e ai suoi “pesci omosessuali”.
Il brano “Guagliù” è stato un ripescaggio dell’ultima ora in verità. La traccia è stata scoperta da Flavia, la fidanzata tedesca di Massimo (insieme gestiscono la piattaforma Halfway Ritmo), che ovviamente è stata catturata dal sound più che dal testo. Quando ci fu proposto di inserire il brano in compilation è stato subito amore al primo ascolto proprio per la potenza della lirica. Quello che esce fuori da questa compilation è una visione un po’ più trasversale di Napoli che di solito viene schiacciata un po’ dalla tradizione. In realtà il sapore è molto più punk, molto più vicino alla nostra contemporaneità. Se ci fosse una tradizione di studi culturali consolidata in Italia, si starebbe utilizzando questo brano come una fonte per capire il periodo che va dal 1975 al 1985 con il terremoto in mezzo. Se fosse un contenuto multimediale, sarebbe l’allegato immaginario al volume ‘O Vero! Napoli nel mirino (Museo MADRE). Uno spaccato che passa tra disoccupati, ultras, abbonamenti scroccati ai danni del Calcio Napoli, femminielli e pesci omosessuali.

E poi c’è l’aspetto criptico. Non è la pappa pronta, all’ascoltatore si concede il brano ma per il resto delle informazioni tien ‘a faticà. È un modo grandioso per combattere la passività dell’ascolto moderno.
Combattiamo la passività dell’ascolto moderno dal 1995. Per chi viene dal collezionare cassette house (1992-1998), questo è un approccio normale. Ci sono tracce che abbiamo impiegato dieci anni a identificare. Mi ricordo di una uscita sulla etichetta inglese NOID Recordings, label gestita da gli Idjut Boys: il lato B di quel 12” veniva regolarmente suonato da Claudio Coccoluto nel 1996. Sul lato A c’era un edit di DJ Harvey, ma noi da allora amavamo il B side, CHE CULO! Forse ho ancora quella cassetta del 99 club, club dei nove nove. Prima di internet, quindi, ante-Discogs, il metodo era quello di andare alle feste, ballare, parlare con i DJ, passare le giornate nei negozi di dischi, procurarsi la cassetta di quella serata, ascoltarla e riascoltarla all’infinito. Adesso l’attitudine non è mutata. È cambiata solo la sorgente. Il supporto certamente aggiunge quel fascino da caccia al tesoro e a volte capita di comprare dischi in più copie solo per un dettaglio riportato nei crediti come, ad esempio, “fotografia di O. Pipolo”.

In questo momento ci stiamo facendo un bel caffè, e a Napoli il momento caffè è una cosa importantissima: più che un’abitudine, è un prezioso concetto esistenziale. Ecco, anche rovistare nei mercatini ha lo stesso valore per voi, si respira dall’attitudine di questa raccolta. Trascende il vinile in sé, è più una magia che ovviamente si oppone allo sterile acquisto via Discogs: si compra spesso a scatola chiusa, si cercano cose che valgono al massimo 5 euro, si abolisce la ricerca sulla rete altrimenti è troppo facile. Anche per me la questione mercatini delle pulci è fondamentale, mi interessa la roba che non vale un cazzo perché so che ci troverò delle perle micidiali. La differenza però è che, se si parla di autoproduzioni risalenti all’epoca disco, Roma ha prodotto meno roba, perché Roma era già un posto più “istituzionalizzato” a livello di etichette discografiche mainstream, come Milano: gli artisti che avevano base lì venivano spinti a livello nazionale. A Napoli invece la produzione era sterminata, fatta da microetichette, la città è praticamente musica perenne, in cui anche il cantante più anonimo è famoso nel suo quartiere. È il motivo per cui a Napoli i cantanti neomelodici vendono più di qualsiasi cantante americano che cerca di colonizzarli. Napoli Segreta quindi è un secchio che non può contenere il mare, però di certo raccoglie delle ottime telline che danno l’idea di un oceano sterminato. Credo sia questo il vero senso dell’operazione.
Abbiamo ridato dignità a un suono spesso considerato “facile”, abbiamo messo nel mirino produzioni e artisti che furono in qualche modo messi da parte. Per anni questi dischi sono finiti nella cassetta delle offerte “tre dischi a 5 euro”. Il nostro più grande merito è avere avuto il coraggio di miscelarli ad altri dischi e proporli nei nostri DJ set. Nessuno se li filava, se non forse per il caso unico di “Stop the war” degli Oro che, cantato in inglese, aveva già da molto tempo catturato l’attenzione di molti diggers internazionali. Il senso dell’operazione è stato quindi di mettere sotto la lente di ingrandimento le produzioni di queste etichette scomparse. Uno zoom su chi non ce l’ha fatta, su chi ha cambiato lavoro uscendo completamente dalla musica, sugli sconfitti. Una produzione dal basso, nel senso che proviene dai bassi dei rigattieri e dei traslocatori che hanno custodito questi segreti meglio di molti negozi di dischi. Se questa fosse una nuova alba, sarebbe un’alba dei vinti. E comunque no, grazie: il caffè ci rende nervosi!

La compilation sta andando benissimo: molti sono cascati dalle nuvole perché non avevano idea che ci fosse gente come voi che dal 2015 setacciava questo mare. Molti ci sono arrivati grazie al fenomeno Nu Guinea. Dalle feste segrete alla fama il passo è breve? Quanto sono stati importanti per voi i Nu Guinea? È stato casuale o dietro di voi c’è un progetto alla Liberato in cui tutto è calcolato nei minimi particolari? Non starete mica pazziando?
Non a caso a inizio intervista è stato utilizzato il termine sodalizio, perché ormai Nu Guinea, Famiglia Discocristiana e DNApoli sono facce di una stessa medaglia. “Ddoje Facce“. Ovviamente c’è chi fa questo lavoro di compiler / musicista come principale occupazione e chi può sentirsi più #libericomegabbiani e allontanarsi da alcune logiche di gruppo e di Public Relations. La scelta di presentare a Napoli la compilation con un DJ set al Molosiglio è stata letta da alcuni come una forma di snobismo verso gli operatori del club tradizionale. In una città che è scarsa di spazi pensati per la musica, ci siamo dovuti inventare di tutto: dal ristorante singalese all’ostello. Siamo aperti ad ogni forma di featuring e abbiamo sempre portato avanti la logica della rete e delle relazioni. Ben vengano le collaborazioni se queste portino in direzione Reggia di Caserta, al Jolly Hotel o al Parcheggio Brin, o più in alto ancora verso l’Ospedale Militare. Più che pazziare, stamm’ pariann’!

Ultima domanda: qual è il disco che non siete ancora riusciti a trovare e che vi sta facendo dannare? Magari un brano che può sintetizzare tutta Napoli Segreta nella sola durata di un 45 giri?
Il disco che ha avuto un potere perfino curativo nell’estate dell’anno scorso non è una produzione napoletana. È un LP del Quartetto Ettore Righello, Soft Music, uscito su Usignolo nel 1981. Se qualcuno avesse una copia da vendere o scambiare, che scriva pure a ballapomeridiano@gmail.com.

Se volete vedere Napoli Segreta in azione e poi morire manifestatamente sulla pista da ballo, il collettivo vi aspetta alla Reggia di Caserta il 9 agosto. È proprio il caso di parafrasare il grande Toto’: “Napule, si’ comm ‘o zucchero, terra d’ammore – che rarità!”.

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