Música

Boring Machines X: Onga intervista DuChamp

Per Boring Machines il 2016 è un anno speciale. Il buon Onga festeggia infatti dieci anni di sudore al servizio dell’underground del nostro paese. I festeggiamenti prenderanno varie forme, ma la più importante di tutte sarà l’edizione straordinaria e post-mortem di Thalassa, il festival di Italian Occult Psychedelia che credevamo definitivamente chiuso, e che invece riprende vita (dal 31 marzo al 2 aprile al solito DalVerme) col nome di Ongapalooza. Dal canto nostro, abbiamo voluto celebrare la label facendo le cose al contrario: ovvero abbiamo mandato Onga stesso a intervistare un po’ di artisti che sono stati importanti per la storia di BM, sperando che poi che non si metta in testa di rubarci il lavoro. In questo primo episodio: DuChamp.

Quando dicono “la fuga di cervelli” spesso ci si figurano secchioni incredibili che eccellono in ambiti lavorativi specifici ma mai ci si immagina quali siano le vite quotidiane di queste intelligenze da esportazione. Federica, AKA DuChamp e tante altre cose, è una ricercatrice chimica emigrata a Berlino. Oltre ad essere impegnata con un lavoro di scienza ha sviluppato il suo profilo musicale, iniziato anni prima quando viveva in Italia, dando inizio ad una moltitudine di progetti di stili differenti tra loro, ha aperto una tape-label, ha curato serate live ed è co-titolare di Occulto Fest assieme ad Alice Cannavà di Occulto Magazine, che è la persona che ci ha fatto incontrare.

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Quando e perchè hai pensato per la prima volta che Boring Machines potesse essere una casa accogliente per la tua musica? Ti ricordi come è stato che la tua musica è finita nelle mie mani la prima volta?
Conoscevo Boring Machines da tempo, ma, avendoci appena iniziato a lavorare, consideravo il mio progetto solista “DuChamp”, ancora acerbo ed amatoriale, non adatto ad essere proposto ad una etichetta discografica. Mi limitavo perciò a registrare le mie idee sul mio fedele quattro piste analogico, e poi le mettevo su soundcloud, per puro esibizionismo! Ti conobbi di persona tramite Alice (di Occulto Magazine), non ne sono sicura, ma credo sia stata lei ad averti parlato di me. In seguito, una settimana in cui trovavo a Venezia per un congresso, ci incontrammo e lì mi chiedesti se avevo mai pensato a fare un disco. La mia risposta fu“no, non ci avevo pensato…ma ora che me lo dici, sì, lo voglio fare!”. E così tornata a Berlino, chiamai un mio amico ingegnere del suono, Diego Ferri, e iniziai le mastodontiche, infinite, registrazioni di Nar, durate quasi un anno.

Mi piacerebbe sapere, al di là dei classici “apprezziamo molto il vostro lavoro”, cosa ci vedevi in Boring Machines. Quali sono le cose che ti hanno attirato a me?
Credo che, oltre a piacermi la musica prodotta da BM, ho apprezzato fin da subito il senso di comunità tra gli artisti prodotti dall’etichetta. Ricordo di essere andata ad una serata organizzata da Gino Delia, in cui suonavano Eternal Zio, How Much Wood…, e BeMyDelay, e, oltre ad essermi goduta concerti davvero belli, ho conosciuto persone molto speciali, oltre che bravi artisti! Questo aspetto della comunità che si aiuta, si sostiene, e si ama, è raro e soprattutto non lo si può pianificare a tavolino. E’ qualcosa che si sviluppa-se si sviluppa-lentamente, tramite la costanza. Ho la sensazione che la “rete” attorno a BM sia nata più da vere amicizie e comunanze di spiriti, che da mode o hype, ed è per questo che probabilmente rimarrà più a lungo di altre realtà.

Ho sempre professato e praticato una forte indipendenza, anche a rischio di perdere alcuni treni per il mio personale desiderio di non allinearmi ad ogni costo. Come ha influito sul tuo percorso di musicista questa cosa e come la giudichi a posteriori?
Direi che l’aspetto dell’indipendenza si adatta bene alla mia personalità, siccome sono decisamente antiautoritaria. Non solo nel senso che difficilmente tollero che qualcuno mi dica cosa fare, ma anche nel senso che pretese “autorità” che definiscano ciò che è bello/giusto/necessario e ciò che non lo è, le conosco, e soprattutto le disconosco. O meglio: non me ne potrebbe fregare di meno! È chiaro, mi bullerò a vita del fatto che Thurston Moore si sia preso il disturbo di scrivere qualcosa sulla mia musica, ma alla fine, conta molto di più sapere da sé di aver fatto un buon lavoro, che venga riconosciuto da chi conta o meno.

Hai cominciato a suonare in Italia nei gruppi garage-punk, ormai abiti da anni a Berlino e sei coinvolta in numerosi progetti oltre a DuChamp. Ci sono delle differenze secondo te, nel modo di approcciarsi alla musica, tra le realtà che hai conosciuto in Italia e quelle che frequenti adesso?
Vengo da una città piccola (Voghera, in provincia di Pavia), in cui le possibilità di suonare erano (e sono) molto ridotte, e in genere organizzare concerti sempre un’impresa. Venire dalla provincia però è una grandissima fortuna, perchè spesso la molla che ti porta a fare qualcosa di creativo è proprio la noia imperante. Sono cresciuta in mezzo ad una comunità di musicisti (la cosidetta “Fuzzamentos Conspiracy”), tutti i miei amici suonavano e condividevamo gruppi e sale prove, e questa è stata un’esperienza fondamentale. Il problema nasce nel momento in cui vuoi qualcosa di più o di diverso, qui trovi ostacoli quasi insormontabili, perchè i locali non ci sono, manca la mentalità di andare ai concerti, pagare i musicisti, fare proposte musicali più azzardate…forse in una città grossa le cose sono diverse, ma i problemi rimangono.

Per me Berlino è una delle città migliori al mondo in cui vivere come musicista, per tante ragioni… Ad esempio, è facile organizzare concerti, anche in posti grossi: c’è poca professionalità magari, ma tanto spirito DIY che rende le cose più belle e vere. I concerti si pubblicizzano ancora molto bene con fogli A4 appiccicati ai lampioni! Oltre ad esserci tantissimi concerti, ci sono anche tantissimi musicisti da tutto il mondo, e tutti vengono qui in tournée… Significa poter aprire collaborazioni interessanti. Il pubblico in genere è molto attento a quello che fai (lo ha notato pure mia mamma!), magari non comprano molti dischi, ma ti stanno a sentire in religioso silenzio, il che è già tanto. Forse non mi sarei mai sentita una vera musicista,se non fossi venuta qui, è stato il salto di qualità, la sensazione di essere presa un po’ più sul serio di prima. Il lato negativo è che ci sono pochi soldi, e che molte persone stanno in città solo qualche anno, il che rende molti progetti musicali volatili. Il gusto per gli incontri casuali è molto tipico di Berlino, per questo ci sono poche etichette discografiche, e invece una valanga di improvvisatori… Perchè per trasformare una buona intesa musicale in un progetto concreto, bisogna lavorarci tantissimo, e molte persone non vogliono o possono farlo.

Non so dove trovi le energie, ma oltre a suonare con un sacco di progetti diversi, hai anche messo in piedi una tape label (Kitchen Leg Records). Da collega, che critica faresti a Boring Machines? Ci sono cose che al posto mio faresti in maniera diversa?
Kitchen Leg records è molto diversa da BM, ma in qualche maniera BM come etichetta ci ha ispirato per il fatto stesso che esista. Credo che molti musicisti o semplici audiofili ad un certo punto si trovino a voler produrre musica, magari anche solo perchè insoddisfatti da ciò che li circonda. Molti lo dicono, ma pochi lo fanno, perchè ci vuole molta costanza, pazienza, capacità di pianificazione, di diplomazia: un insieme di aspetti scoraggianti abbastanza da far desistere i più. La realtà è che, però, ci sono persone come Onga che lo fanno e quindi si può fare: non è impossibile! Posto che, per l’appunto, siamo realtà diverse, credo che un aspetto che migliorerebbe BM sia quello di avere più artiste donne, siccome ce ne sono in giro tante, e brave! KLR si è più o meno proposta di avere non esclusivamente, ma in parte preponderante, artiste donne o gruppi misti, perchè per noi l’idea di una società più giusta ed inclusiva, passa anche attraverso la musica.

Se in un concerto ci sono solo uomini sul palco, ci sono spesso pochissime donne tra il pubblico, e il risultato finale è che pare di essere ad una partita di calcetto, e la musica merita molto di meglio, credo! Basta solo una donna sul palco per cambiare le proporzioni, rendere l’atmosfera più bella e accogliente. Inoltre, trovo che molte delle proposte musicali più interessanti, originali ed estreme vengano da donne. Da una parte perchè non hanno il complesso di voler suonare come X o Y, e quindi suonano come pare a loro, e questo già è un modo per dire qualcosa di non detto prima. E poi le ragazze hanno ancora così tanti motivi per essere profondamente arrabbiate, che quando vogliono dare un’idea di rabbia, è credibile perchè reale. Insomma, c’è un abisso tra Elisa Ambrogio (dei Magik Markers) che maltratta la sua chitarra e dei tipi bianchi etero che fanno lo stesso…

Come artista quanto importante è per te scegliere con cura le persone con cui lavori, sui dischi o sui live? E’ una questione puramente musicale/economica o entrano in campo anche questioni etiche piuttosto che indirizzi di stampo politico? Ti sono mai capitati episodi che consideri spiacevoli con persone che consideri “brutte persone” sotto questo aspetto?
Raramente ho suonato, prodotto un disco o fatto concerti con persone che non fossero anche amici, spesso anche molto stretti. La musica è troppo importante per lasciarla solo alla vile pecunia! Ci deve essere una speciale chimica. Mi trovo bene a suonare con persone selvagge come me, ma anche con persone che hanno nozioni di musica, dai quali sento di imparare molto. L’importante è che poi si rida si scherzi e non si debbano spiegare le battute. Per quanto riguarda i concerti, credo che sia importante suonare in un ambiente che ti accolga, dove il pubblico ti ascolti, e si crei un dialogo. Anche nel caso in cui ti pagassero benissimo, suonare davanti ad un pubblico indifferente o ostile è spiacevole, fa male, e non ti lascia niente se non frustrazione. Se non hai quei soldi extra, pazienza! Un sorriso e una stretta di mano, o qualcuno che ti dice che la tua musica conta qualcosa per lei/lui ha un valore inestimabile. Anche la questione etica/politica è molto importante. Organizzo concerti e promuovo gruppi a titolo gratuito, ma tutto questo perchè animata da uno spirito DIY, un po’ naif se vuoi, ma pieno di passione… Ma questo funziona solo se è una filosofia reciprocamente condivisa. Forse ha senso crearsi il proprio mondo e la propria microsocietà. Sarebbe oltremodo inutile che io, che faccio musica sperimentale, e che sono femminista e anarchica, finisca su Rolling Stone, non saprebbero che farsene di me! Ma io non saprei che farmene di loro, quindi siamo pari.

Conduco spesso una mia personale battaglia contro i supermercati della musica come il Primavera Festival e simili, in favore di un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, invece che seguire sul sicuro il gregge una volta l’anno. Qual è la tua opinione in merito, da musicista qual è la situazione ideale in cui ti piacerebbe poter lavorare?
L’idea di andare al Primavera mi mette idea di stanchezza, sonno, spossatezza, questo solo l’idea, figuriamoci essere lì. Sono molto più a favore di tanti concerti all’anno rispetto ad uno solo gigante! In media vado a due/tre concerti a settimana, andrei pure tutte le sere, ma spesso ho le prove, o suono io stessa… E spesso per supportare piccoli artisti o promoter, che poi diventano amici, e quindi c’è anche il dovere amicale di mezzo. Con Iggy Pop ancora non ha funzionato, ma datemi tempo. La situazione migliore per me da spettatore, ma anche da musicista, è un posto piccolo, anche intimo a volte, in cui poi ci si può conoscere, parlare, rimorchiare, etc. I concerti sono fatti anche per questo!

Ti è mai capitato un episodio davvero spiacevole in occasione di uno dei tuoi concerti? Una di quelle cose che per un attimo ti fa balenare l’idea di mollare tutto?
Magari quando ero molto, molto giovane…ma suono dal vivo da circa quindici anni, quindi a situazioni quali, sessismo, persone che sono indifferenti alla tua musica, situazioni tecniche deliranti, semplicemente ci fai il callo, e impari a gestirle. In fondo tu sei sul palco, e loro sono lì sotto, quindi sei tu che quella sera avevi qualcosa da dire. Spesso vedo dal vivo gruppi americani che suonano con intensità stratosferica, anche davanti a sei persone. Le condizioni per fare un tour negli USA sono talmente dure (vedi il magnifico libro Our Band Could Be Your Life) che alla fine sviluppano una corazza, vanno avanti nonostante tutto, perchè fare concerti è la cosa più importante. All’inizio mi metteva molta ansia esibirmi dal vivo da sola, ora lo vivo con gioia anticipatoria, mai in modo negativo. Anni fa ho suonato una canzone scritta per qualcuno, proprio davanti a quel qualcuno, persona per nulla accondiscente, per cui ero terrorizzata. Contro ogni pronostico,a lui piacque molto, per cui, dopo questa terapia d’urto, non ho mai avuto più paura di nulla, o quasi. La canzone era “Gemini”, la prima del mio primo disco.

Ti è mai capitato invece, al termine di un concerto, di pensare “stavolta ho fatto veramente schifo”, al netto della normale autocritica che si fa dopo i live? Quando è stato e perchè?
Non proprio, come dicevo sopra, era un’idea che avevo quando ero molto giovane. Adesso mi sento più in controllo della mia performance, e quindi suono più rilassata. So che tecnicamente la strada è ancora lunghissima, ma migliorare dipende dalla costanza, dall’esercizio, dall’umiltà di ascoltare ed imparare dagli altri, e dal suonare tanto, in sala prove e dal vivo.

Cosa stai preparando per il futuro?
Molte cose. Sto suonando molto dal vivo, e sviluppando nuove idee, ma come spesso accade, queste mi vengono centuplicate quando suono con altre persone. Credo molto nella collaborazione, sia nella musica che nella scienza, e non potrei farne a meno. Diciamo che porto molte delle idee che sviluppo suonando con altri nella mia musica da solista. Ho appena finito di registrare un disco con i Roman Catholics, di cui sono molto contenta, e come spesso accade quando registro, è stata anche un po’ un’epifania. Molte cose del disco sono nate da una jam session con un amico musicista del Mali (Zam Dembélé), che mi ha davvero dato un sacco di stimoli, come la maniera diversa di contare le battute che c’è nella musica africana. Dopo l’estate vorrei registrare qualcosa anche con il mio nuovo gruppo Xantene, che siamo io e due altre ragazze senza paura, Angela e Saiko, e facciamo no wave. È il primo gruppo che ho con due altre selvagge, quindi stanno venendo fuori cose interessanti ed estreme. Più un paio di altri progetti, uno si chiama Instant Voodoo e l’altro non ha ancora nome, e forse altri che ora non ricordo. E sto cercando un post doc a Berlino, quella è la mia impresa principale!

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