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Breve storia delle organizzazioni terroristiche più strane d'Italia

Tutti conosciamo gruppi come Ordine Nuovo o le Brigate Rosse, ma nella storia delle organizzazioni terroristiche italiane ci sono state anche sigle molto meno note, e alcune sono talmente assurde da non essere mai esistite.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Un'immagine della strage in piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio del 1974. L'attentato torna nelle vicende di alcune delle organizzazioni qui citate.

Sin dalla nascita della Repubblica, la storia italiana è costellata di attentati, stragi e misteri che molto spesso rimangono insoluti. Tutti abbiamo sentito i discorsi sui servizi segreti deviati, le stragi degli anni di Piombo, la strategia della tensione e la scatola nera nella gobba di Andreotti che conterrebbe la verità sulla storia d'Italia degli ultimi sessant'anni.

E tutti, più o meno, hanno sentito i nomi delle organizzazioni armate—sia di destra che di sinistra—più importanti: Ordine Nuovo, Nuclei Armati Rivoluzionari, Brigate Rosse, Prima Linea, eccetera. Nella storia delle organizzazioni terroristiche italiane, tuttavia, ci sono state anche sigle molto meno note.

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Abbiamo dunque deciso di ripercorrere la storia di alcune tra queste, cercando di raccontare le vicende delle organizzazioni più oscure e assurde—talmente assurde che alcune probabilmente non sono nemmeno esistite, o sono state le fantasie megalomani di singoli.

FALANGE ARMATA

Una delle organizzazioni più indecifrabili e discusse della storia d'Italia è sicuramente la Falange Armata, sigla attiva tra il 1990 e il 1994, periodo in cui ha rivendicato circa 400 episodi di cronaca criminale e mafiosa con comunicati deliranti che veicolavano messaggi di minaccia verso stranieri, operatori penitenziari, giornalisti, istituzioni e simboli dello Stato.

Solo pochi giorni fa, la vicenda della Falange Armata è tornata di attualità. L'ambasciatore e diplomatico Francesco Paolo Fulci, presidente del Cesis tra il 1991 e il 1993, ha rivelato durante il processo sulla trattativa Stato-mafia che le telefonate ai centralini dell'Ansa con cui la sigla rivendicava omicidi e stragi provenivano tutte dalle sedi coperte del Sismi. "Incaricai questo analista del Sisde, gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni," ha detto Fulci. "Dopo alcuni giorni venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia. Le due cartine coincidevano perfettamente."

Il motto della Falange Armata era "il terrorismo non è morto, vi faremo sapere poi chi siamo," frase pronunciata in una telefonata ai centralini dell'Ansa per rivendicare la strage del Pilastro. Paradossalmente, però, non si è mai capito precisamente chi ci fosse dietro a questa sigla, considerata per molto tempo nient'altro che una sigla di comodo usata per depistare la polizia o rivendicare azioni che non sarebbero state mai rivendicate da nessuno—se non proprio l'opera di un mitomane.

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I primi messaggi ad essa riconducibili erano firmati "Falange Armata Carceraria" e contenevano spesso minacce contro i direttori dei penitenziari e gli educatori carcerari—tanto che il primo omicidio rivendicato dalla sigla fu quello di Umberto Mormile, educatore carcerario all'interno del penitenziario di Opera. Più tardi, la Falange ha seguito la vicenda della banda della Uno Bianca—di cui ha rivendicato quasi tutte le azioni—il terrorismo politico e diversi omicidi e stragi di mafiose, tra cui l'assassino di Salvo Lima e la strage di Capaci.

La strage del Pilastro. Foto via

Wikimedia Commons.

Dal 1994 a oggi è rimasta inattiva, anche se l'anno scorso la sigla è ricomparsa in calce a una lettera spedita al carcere di Opera e indirizzata a Totò Riina, in cui si invitava il boss a tacere. ("Chiudi quella maledetta bocca. Ricorda che i tuoi familiari sono liberi.")

Se per Fulci dietro la Falange Armata c'erano i servizi, secondo il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, invece, l'organizzazione non era composta né da terroristi né da infiltrati, ma esclusivamente da uomini di Cosa Nostra, che avrebbero utilizzato quella sigla per rivendicare le stragi allo scopo di "dare un segnale all'esterno, ma anche all'interno dell'associazione," ha rivelato Messina nel corso del processo per la strage del Rapido 904.

Nonostante non sia chiaro chi ci fosse dietro e quale fosse il suo intento—o forse proprio per questo—ha sicuramente avuto un ruolo particolare nella storia d'Italia di quel periodo, monopolizzando l'attenzione mediatica—"un'operazione che può aver fatto comodo a molti," come sembra fosse già chiaro nel 1992.

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LUDWIG

Due volantini di rivendicazione di Ludwig.

Sebbene l'origine del nome non sia mai stata chiarita, di certo c'è che il gruppo "Ludwig" ha seminato il terrore nel Nordest e anche fuori dall'Italia a cavallo tra gli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta. Apertamente neonazista—"La nostra fede è nazismo, la nostra giustizia è morte, la nostra democrazia è sterminio," si legge in un loro volantino—l'intento di Ludwig era quello di "purificare" una società priva di valori ed eliminarne le "impurità sociali" attraverso il fuoco e le armi bianche.

Il primo omicidio attribuibile a Ludwig risale al 25 agosto 1977, quando il senzatetto Guerrino Spinelli viene bruciato nella sua macchina a Verona; l'ultima azione, invece, è il tentato rogo di una discoteca in provincia di Mantova nel marzo del 1984. In mezzo c'è stato di tutto: frati massacrati a martellate, prostitute uccise a colpi di ascia, un sacerdote trovato con un crocefisso conficcato in testa e una sfilza di rivendicazioni piene di svastiche, slogan nazisti e pseudo caratteri runici.

Secondo la giustizia italiana, dietro a questa sigla si celavano due ragazzi della provincia di Verona: Wolfgang Abel e Marco Furlan (protagonista poi di una stranissima latitanza in Grecia), entrambi studenti e appartenenti a famiglie della buona borghesia. Le perizie psichiatriche parlano di una folie à deux, o quantomeno di un rapporto d'amicizia profondamente malato. Per chi ha seguito il caso e studiato a fondo le carte, tuttavia, le sentenze e le perizie non sono sufficienti a spiegare cos'è stato veramente Ludwig.

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La giornalista Monica Zornetta—che ha scritto il saggio Ludwig. Storie di Fuoco, Sangue e Follia—è infatti convinta che Abel e Furlan siano "gli ultimi anelli di una catena molto pesante che è rimasta protetta fino ad oggi," e che Ludwig sia stata "una vera e propria organizzazione," composta anche da appartenenti a Ordine Nuovo, con potenziali legami "a fatti molti più grandi che hanno interessato il Paese come, per esempio, la strage di Piazza della Loggia."

A parlare dei "legami tra l'eversione nera veronese e i delitti della sigla neonazista" è stato un ex membro di Ordine Nuovo, Gianpaolo Stimamiglio, che in un'intervista al Corriere di Brescia ha dichiarato che "è evidente a chiunque che Furlan e Abel, da soli, non possono aver commesso tutte quelle azioni."

Sullo sfondo dell'intera vicenda, infatti, c'è il contesto veronese degli anni Settanta. "La frangia ordinovista veronese era fortissima," mi aveva detto Zornetta qualche anno fa, "e il suo livello occulto si dedicava a pratiche esoteriche." In più, in quegli anni a Verona "c'era anche il progetto militare-sovversivo della Rosa dei Venti e il ruolo dei Nuclei di Difesa della Stato—tutti progetti tesi a una sollevazione degli anticomunisti nel caso di un'invasione comunista da Est."

Infine, tutti questi elementi compaiono anche in un rapporto dei carabinieri del 1995 per l'indagine sulla strage di piazza Fontana, nel quale il capitano del Ros Massimo Giraudo annota che non è così improbabile che "il Veneto, per le connessioni con Ordine nuovo, con la rete Cia e con l'acceso anticomunismo di formazioni eversive come Ludwig, sia stato laboratorio di sperimentazione di tecniche di guerra non ortodossa basare sull'uso terroristico di devianze esoterico-religiose a connotazione politica estremista."

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RONDE PIROGENE ANTIDEMOCRATICHE

Da

La Stampa del 19 gennaio 1989.

Ludwig non è stata l'unica organizzazione a usare il fuoco come strumento di purificazione di una società "sbandata." Tra il 1987 e il 1990, infatti, a Bologna e nel Nord Italia sono state attive le Ronde Pirogene Antidemocratiche, un gruppo che bruciava utilitarie al ritmo di quasi tre a notte—soprattutto Citroën Dyane, Fiat 128 e 500, Simca e "Bianchine."

Secondo gli inquirenti, le Ronde erano composte da soggetti bolognesi e veronesi: tra questi ultimi ci sarebbero stato Curzio Vivarelli, un professore con un passato legato a Ordine Nuovo. Dietro la sigla, comunque, "si nascondeva un progetto fanatico e di estrema destra" che puntava a "tenere sotto tensione la città più rossa d'Italia."

Nella sentenza-ordinanza del 2 aprile 1990, firmata dal giudice Leonardo Grassi, si ripercorrono le "linee programmatiche" delle Ronde, contenute nel documento "Piro acastasi" redatto da un presunto membro del gruppo e successivamente sequestrato a Marco Toffaloni, detto "Tomaten," un militante veronese di estrema destra di cui si è parlato in riferimento al caso Ludwig e alla strage di Piazza della Loggia.

Gli obiettivi, si legge, erano "la distruzione dei simboli materiali dell'agglomerato sociale operaio piccolo-borghese mediante l'incendio dei suddetti; la eliminazione di automezzi e autocicli vecchi e sporchi; la demolizione delle case dei pezzenti, baraccati, emarginati; la soppressione fisica di tutti gli esseri abietti, impediti, paraplegici, sottosviluppati, di tutti coloro che compromettono l'ordine sociale perfetto e completo dal punto di vista estetico."

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Da

La Stampa del 23 maggio 1989.

Sempre nell'ordinanza-sentenza, il giudice scrive che le Ronde stavano per "dirottare l'attenzione" dalle utilitarie verso le discoteche di Bologna, indicate come "dannose per la mentalità delle persone, frequentate da persone snob e fricchettoni, cioè da persone prive di contenuti."

Le Ronde sembravano non essere influenzate soltanto dal neonazismo. Per gli inquirenti—riporta un articolo di Repubblica del 1989—il gruppo si ispirava anche alle "simbologie di una setta di origine orientale, Ananda Marga: durante alcune perquisizioni sono saltati fuori i simboli della setta, un doppio triangolo che forma una stella, con all'interno un sole nascente e la svastica, che nelle antiche cosmologie orientali rappresenta il mondo."

Se la storia delle Ronde non fosse già abbastanza inusuale, nel rapporto dei Ros del capitano Giraudo si parla anche di "contatti" con un'altra organizzazione di estrema destra che aveva operato qualche anno prima, sempre a Bologna, dal nome ancora più incredibile: "Nuclei sconvolti per la sovversione urbana." Tuttavia, su questi Nuclei si trova molto poco, tra cui un vecchio pezzo su Repubblica in cui sono descritti come "una banda di ragazzi" di estrema destra che "si divertiva a bruciare i cassonetti della spazzatura."

LEGIONE BRENNO

Da

La Stampa del 13 novembre 1998.

Un'altra storia bizzarra è quella della cosiddetta "Legione Brenno," un gruppo di avventurieri legati agli ambienti secessionisti e dell'estrema destra veneta e che, a seconda delle teorie, sarebbero stati legati ai servizi segreti tanto da avere "licenza di uccidere," coinvolti nell'omicidio di Ilaria Alpi o legati a formazioni neonaziste operative durante la guerra nei Balcani.

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La vicenda della Legione Brenno viene alla luce nella notte tra il 3 e il 4 settembre 1995, quando a Mestre una pattuglia della polizia ferma un'auto sospetta. I passeggeri dell'auto—che, si scoprirà, aveva il bagagliaio pieno di armi tra cui granate, esplosivo al plastico, mitragliette e un lanciamissili—aprono il fuoco sugli agenti, ferendone gravemente uno.

Inizialmente, per l'episodio verranno arrestati e rinviati a giudizio alcuni nomadi, poi assolti. Solo qualche anno dopo vengono identificati e fermati i veri responsabili della sparatoria: si tratta di tre appartenenti a un' organizzazione di estrema destra denominata "Associazione Legione Brenno," che conterebbe una quarantina di "legionari" sparsi tra Veneto e Lombardia, tra cui anche quattro carabinieri.

Secondo le ricostruzioni, la Legione sarebbe stata fondata nei primi anni Novanta. I suoi membri sarebbero stati più volte nei Balcani durante la guerra—ufficialmente per scopi umanitari, ma c'è chi dice per combattere al fianco dei battaglioni croati d'estrema destra dell' HOS—e si sarebbero poi specializzati nel traffico d'armi e di droga con la ex-Jugoslavia, arrivando poi anche a gestire una rete di spaccio in diverse discoteche del nord Italia.

Soldati dell'HOS nel 1992. Foto via

Wikimedia Commons.

Secondo Marino Sacchetti—ex carabiniere e "colonnello" della Legione Brenno, condannato a 24 anni di carcere per la sparatoria di Mestre—la verità sarebbe diversa: i membri della Legione ci entravano per motivi economici. "Le sparavamo un po' grosse," ha detto in un'intervista, perché "ritenevamo che accreditando una certa immagine potessimo entrare nel business della sicurezza privata."

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Tra i legami più sorprendenti della Legione Brenno c'è quello con la micronazione non riconosciuta di Seborga, in Liguria, dove i legionari avevano servito da guardia personale del "sovrano." "Era un altro di quei periodi senza lavoro," ha raccontato ancora Sacchetti. "Così ci spostammo in Liguria. Ne sparammo una delle nostre vantando appoggi con generali croati. E così il Principe ci pregò di insegnare alle sue guardie a fare il cambio della guardia per le foto dei turisti. Prendevamo 900mila lire al mese più vitto e alloggio. "

DISOCCUPATI ITALIANI NAZIONALISTI

Da

Paese Sera del 21 maggio 1991.

Una delle organizzazioni terroristiche più insensate è sicuramente quella dei Disoccupati Italiani Nazionalisti—la cui stessa esistenza solleva più di un dubbio.

La sigla appare la prima e unica volta nel maggio del 1991, quando la redazione del Tg3 riceve una telefonata in cui un uomo con un forte accento meridionale rivendica il rogo del centro sociale Corto Circuito a Roma, avvenuto qualche giorno prima e in cui aveva perso la vita il 19enne Auro Bruni, precisando che si tratta del terzo atto commesso dall'organizzazione dopo due omicidi avvenuti nei mesi precedenti in Sicilia.

"Intendiamo così continuare la nostra battaglia nazionalista per la salvezza del popolo italiano e contro la legge Martelli," prosegue la rivendicazione. "Per evitare altre violenze vogliamo ciò che ci spetta di diritto, cioè il lavoro, la casa e una vita tranquilla nella nostra nazione senza essere costretti a cercare lavoro all'estero com'è avvenuto in passato."

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Fin da subito, la Digos nutre forti dubbi sull'autenticità della rivendicazione, affermando che probabilmente "si tratta di una provocazione" perché "è la prima volta che appare questa sigla," ma anche in questo caso non si riesce a capire con precisione chi ci sia dietro.

Secondo Laura Balbo e Luigi Manconi, autori di Razzismi, un vocabolario, si tratta probabilmente di "una banda i cui membri trovano conveniente sovrapporre attività criminale (rapine, in primo luogo) e attività terroristica," per aumentare "il potenziale di intimidazione esercitato."

NUCLEI TERRITORIALI ANTIMPERIALISTI

Da

La Stampa dell'11 agosto 2001.

Stando alla mole di attentati rivendicati dalla fantomatica sigla "Nuclei territorialisti antimperialisti" tra il 1995 e il 2004, ci saremmo dovuti trovare di fronte a una delle più temibili e sfuggenti organizzazioni terroristiche che abbiano mai agito in Italia. E a leggere la relativa pagina in inglese di Wikipedia, sembrerebbe essere ancora così.

Tra omicidi, bombe e corpose "risoluzioni strategiche" di "orientamento marxista" scritte in brigatese, gli inquirenti hanno vissuto per quasi dieci anni con l'incubo dei Nta. Peccato però che si trattasse una colossale beffa architettata dal giornalista pubblicista friulano Luca Razza, candidato nel 1998 in una lista di destra pro-Jorg Haider a Udine e autodefinitosi "poeta, cantante, situazionista e casinista."

La storia dei Nuclei Territoriali Antimperialisti— ricostruita in dettaglio nel 2006 dalla giornalista Valentina Avon sulla rivista Diario—inizia alla fine di novembre del 1995, con un volantino trovato in provincia di Pordenone intitolato "Nuovo ordine mondiale Bosnia, nucleare e Aviano." All'inizio del 1996, i Nta fanno saltare una caffettiera riempita di polvere pirica sotto l'auto di un militare americano in servizio alle base di Aviano. L'azione è accompagnata dal testo di rivendicazione "Welcome Clinton."

Da lì in poi nessuno sembra in grado di fermare Razza, che inizia a inondare le redazioni di testi e volantini. I primi scampoli di celebrità mediatica arrivano nel 1999, quando alla segreteria di redazione di Repubblica a Roma arriva un'email da nta@freemail.it, con il seguente oggetto: "Comunicazione di B.R.-P.C.C. e N.T.A. di ripresa Lotta Armata."

Sempre nel 1999, il vero terrorismo delle nuove Brigate Rosse torna a colpire uccidendo il giuslavorista Massimo D'Antona. Anche a seguito del clamore della vicenda, i Nuclei—scrive Avon—diventano delle star e "compaiono nelle relazioni dei servizi e del ministro dell'Interno al parlamento come contigui se non collegati alle 'nuove Br'."

Razza, intanto, alza il tiro. Nell'agosto del 2001 rivendica—insieme alla Falange Armata— l'attentato al Tribunale di Venezia, compiuto con cinque chili di tritolo e T4 da persone mai identificate finora. A quel punto, la stampa nazionale inizia a occuparsi della vicenda. Panorama dedica un profilo ai NTA, descrivendolo come un gruppo formato da una quindicina di "insospettabili" che "dopo la bomba di Venezia preparano l'autunno rosso." Su Repubblica si riportano gli "allarmi degli inquirenti," per i quali i NTA starebbero "reclutando tra i no global" dopo il G8 di Genova.

L'attribuzione più clamorosa, tuttavia, è quella dell'omicidio di Marco Biagi. Il 20 marzo 2002, infatti, gli NTA fanno trovare a Verona un documento di rivendicazione quattro ore prima di quello ufficiale delle nuove Brigate Rosse. L'incredibile parabola dei NTA si interrompe definitivamente il 22 gennaio 2004 quando la Digos arresta Razza nella sua casa di Maniago. Nel 2007 è condannato in primo grado a tre anni di reclusione. "Con il mio arresto," scriverà in seguito lo stesso Razza, "si è conclusa l'esperienza dei NTA, i Nuclei Territoriali Antimperialisti, sigla da me fondata nel 1995 e della quale io sono sempre stato l'unico militante."

Una spiegazione di come una storia del genere sia potuta andare avanti per quasi dieci anni l'ha provata a fornire il magistrato veneziano Felice Casson, che non ha mai creduto ai NTA: "Era un'anomalia. Uno che si muove come Razza non è prevedibile, non è connesso con altri gruppi, non ha una attività che in qualche modo lo esponga. È andata così."

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