La ricerca della Piola del cuore è un viaggio spirituale, che ognuno deve fare a modo suo, sulla base dei propri valori
Era inverno quando ho deciso di dedicarmi alla ricerca della piola perfetta. L’inverno a Torino vuol dire sciarpe arrotolate fin sotto gli occhi, cappelli abbassati fino alla mascherina, ma soprattutto cibo bollente, ripassato al burro e vino rigorosamente rosso.
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Ecco perché trovare la piola definitiva, ovvero la tipica osteria piemontese, in cui rifugiarsi senza doverci troppo pensare, mi è sembrata un’idea egoisticamente necessaria, oltre che potenzialmente interessante. Che ingenuità: non immaginavo che il mondo delle piole fosse così complesso, vario e definito su criteri che esulano dal semplice “buon cibo”. Insomma, è stato un lungo viaggio, che non è definitivo e che forse non lo sarà mai, perché la ricerca della Piola del cuore è un viaggio spirituale, che ognuno deve fare a modo suo, sulla base dei propri valori. Anche perché altrimenti come alimentare le infinite discussioni su quale sia o non sia la trattoria che rappresenta Torino?
Come scegliere la piola perfetta a Torino
Il risultato della mia ricerca è stato a volte deludente, a volte una rivelazione, motivo per cui non seguirà un elenco delle migliori piole di Torino, ma un racconto di esperienze a base di colesterolo.
Come dicevo, prima di inforcare tagliatelle e trangugiare barbera sfusa, bisogna delineare alcuni confini. La piola deve essere un posto semplice e informale, con un menù fisso o comunque dalle poche tipiche portate basate sulla tradizione (vegetariani, sarà dura). Il servizio è famigliare, che in Piemonte potrebbe tranquillamente dire freddo e un po’ scorbutico, ma si accettano inaspettate aperture, soprattutto se volte a raccontare aneddoti di quartiere, storie di famiglia e ricette.
La mia scelta si è poi concentrata sui quartieri che circondano il centro, dove le piole non mancano ma sono spesso ripulite per accogliere in modo più formale i turisti. E la verità è che quelle più autentiche le si trova se si è disposti a spostarsi un po’ verso la periferia, dove il mix di culture rende la piola un mondo ancora più esotico, una roccaforte di piemontesità tra ristoranti cinesi, arabi e rosticcerie africane.
Date queste premesse, ho cercato di seguire un approccio scientifico, fatto di ricerca sui testi esistenti, lunghe passeggiate quotidiane, scambio di informazioni sui social e al bar. Il risultato è stato a volte deludente, a volte una rivelazione, motivo per cui non seguirà un elenco delle migliori piole di Torino, ma un racconto di esperienze a base di colesterolo e piatti belli nutrienti.
Le piole di Barriera di Milano e i suoi contrasti
Quando, a Torino, si parla di Barriera ci si butta subito in un discorso complesso. Questo quartiere che da sempre accoglie gli ultimi arrivati in città, si è guadagnato una fama torbida, legata alla delinquenza che si trasforma. Qui si trovano angoli con strade acciottolate e cascine che hanno resistito all’industrializzazione, palazzoni popolari, palazzi liberty ed ex fabbriche riqualificate. Da anni si parla di come il quartiere diventerà un nuovo polo di tendenza, operazione che ha visto in prima linea la Lavazza che qui ha costruito il suo nuovo headquarter (c’è anche un ristorante stellato). Ma la vita quotidiana resta piena di complessità e si può vivere Barriera dando ragione a chi la adora, così come a chi la teme. Quel che preferisco del quartiere, del resto, è proprio questa stratificazione ed è qui che sta la mia piola preferita: Bon Bon.
Lontana dal centro, dall’atmosfera sospesa, le tovaglie di carta e un arredamento tipicamente anni ’70, vi accoglierà con un menu intarsiato di appunti scritti a mano. Qui la scelta è più vasta che in molte altre trattorie, e sebbene le tagliatelle al ragù di coniglio e gli agnolotti alla piemontese la facciano da padrone, è possibile trovare qualche opzione semi vegetariane, come il risotto agli asparagi o i peperoni con la bagna cauda. Quest’ultimi, in particolare, sono quelli che mi hanno convertito per sempre: piatto povero ma che divide i piemontesi, la salsa a base di aglio e acciughe è l’espressione metafisica della ricerca dell’equilibrio perfetto. E qui, quell’equilibrio, io l’ho trovato.
Come lo so? Applicando il metodo scientifico nella sua essenza più alta, ovvero potendo dire “è buona come quella di mia nonna”. Ma parlando di esperienze, qui l’ambiente piccolo e raccolto crea occasioni preziose, come trovarsi all’improvviso inglobati nel festeggiamento di un ottantesimo compleanno, celebrato a suon di amari. Il prezzo è onestissimo e sebbene tutti i piatti siano sostanziosi, vi sentirete pieni tanto quanto serve per affrontare il viaggio di ritorno nella notte di Barriera.
Un altro classico del quartiere si trova nella zona più frequentata di Barriera Di Milano, in quel giardino di riqualificazione attiva che è la parte di via Bologna che si affaccia sulla Dora. Qui, oltre agli spazi della Lavazza, si trova una piccola piazza di quartiere che ospita sia i calici di una attrezzata vineria specializzata in vini naturali (Beva), ma anche il classico bar tutto espressi e moretti in bottiglia e un ristorante cinese.
Poco lontano la Trattoria Bologna resiste dal 1957, sempre con lo stesso cuoco e con le stesse modalità. Entrando la TV accesa e i gruppi di pensionati così a loro agio vi faranno dubitare di essere entrati a casa di qualcuno. Il menu è semplice, ma indagando con la cameriera si scopre che è pieno di eccezioni: nel weekend le specialità sono a base di pesce, così come negli altri giorni se si prenota in anticipo e si concorda insieme il menu, del resto il mercato di Porta Palazzo è a due passi e cucinando da oltre 50 anni il diritto di accaparrarsi il pesce fresco è garantito. Sempre, tranne il lunedì, che non si trova nulla di buono al mercato.
Qui una volta, di fronte alla trattoria, non c’era uno stellato, ma la centrale dell’Enel, cosa che richiedeva di sfamare circa 120 bocche affamate al giorno, con piatti semplici e sostanziosi. Ora il mood si alterna tra vecchi abitudinari e giovani affascinati dai prezzi bassi e dall’alto tasso di autenticità. Qui scelgo i tomini elettrici (formaggio fresco ricoperto di salsa piccante e all’aglio) e un piatto di tagliatelle al pomodoro che hanno tutto il sapore onesto che mi aspetto che abbiano, anche se mi mangio le mani per non aver ordinato le cozze che mi passano sulla testa a vassoiate in direzione dei tavoli degli habitué.
Crocetta e il vino
Crocetta è l’esatto opposto di Barriera: storicamente è il quartiere delle ville e delle aree pedonali, delle pellicce e delle madamin. Non è molto lontana dal centro, ma il suo volontario autoisolamento l’ha resa, nel tempo, poco frizzante e meno interessante per chi è in cerca di novità ed esperienze. Forse proprio questo è diventata terra fertile per realtà più popolari. Una di queste è l’Ostu (che in pimontese significa piola), una suggestiva cantina dai muri con mattoni a vista e volte a botte piena zeppa di bottiglie che potrete degustare seguendo i consigli dell’appassionato oste.
Il cibo è legato alla tradizione: io prendo un flan di verdure molto gustoso, mentre il vitello tonnato del fotografo vince più con la salsa che con il vitello. Gli gnocchi al castelmagno (il grande classico, spesso unica opzione vegetariana nelle piole) sono filanti e ricchi, ma si capisce presto che non sono fatti a mano. Il brasato al Barbera è molto morbido e accompagnato da una polenta tradizionalmente semplice.
Nonostante le numerose bottiglie scegliamo un barbera sfuso, che ci fa sentire meno a Crocetta e più in una piola ed è comunque molto buono e a prezzo contenuto. La serata è piacevole e il servizio allegro, inoltre il luogo defilato fa si che si trovi posto anche senza prenotare con largo anticipo.
Lingotto esiste e c’è un motivo per andarci
Il quartiere Lingotto è quello che, nella quotidianità, più fatica a scrollarsi di dosso l’eredità legata alla Torino industriale: ci sono pochi motivi per venire fino qui, la popolazione non è particolarmente giovane ed esteticamente ci si imbatte in vialoni trafficati, vecchi palazzi operai e poco altro. Certo è qui che avvengono i grandi eventi, come il Salone del Libro, il Salone del Gusto, Artissima, ed è qui che Eataly ha iniziato la sua espansione verso il mondo. Tuttavia, anche in occasione dei grandi eventi, difficilmente si esce dagli spazi predisposti, mangiando magari un panino e ritornando poi verso il centro per gustarsi un tipico piatto locale.
Eppure anche qui, a ben guardare, si possono trovare delle chicche per cui vale la pena prendere la metro in una giornata qualunque, senza necessariamente puntare al supermercato di Farinetti. La Salumeria Lingotto è un luogo luminoso e moderno, che cresce attorno a un bancone di gastronomia e salumeria con un soppalco e pochi tavolini. Questo è un esempio ben riuscito di un locale nato nel 1956 poco lontano, una salumeria classica, e poi rivisitato per soddisfare esigenze più complesse ma a prezzi molto bassi e in linea costante con la tradizione.
Dietro al bancone si incrociano diverse generazioni e ognuno fa il suo: la mamma prepara gli agnolotti a mano, il papà continua a fare la salciccia come faceva il nonno e la figlia aggiusta il menu e intrattiene i clienti. Tutti gli avventori sembrano venire qui spesso e tutti scelgono senza esitazioni gli agnolotti al ragù. Io mi faccio tentare da un mix di acciughe al verde, formaggi, caponata e scarola, serviti in porzioni molto abbondanti.
Certo, non si tratta esclusivamente di cucina piemontese, ma se la piola è anche espressione del quartiere in cui si trova, questo posto non potrebbe essere più local di così. Con il caffè arrivano delle bugie in omaggio (forse le chiamate chiacchiere) e l’invito a tornare per le serate a tema, come quelle a base di bagna cauda.
Piole e freschezza dalle montagne
In un contesto in cui la piola è legata alla tradizione, avevo qualche titubanza ad accogliere le giovani piole, quelle dagli interni contemporanei e curati, gli avventori sorridenti e motivati. Non so, mi sembrava di tradire lo spirito originario della piola ferma agli anni ’70. Ma qualcosa mi ha spinto a raggiungere la zona nord di San Donato e, dopo aver bevuto un bicchiere di vino in una bottiglieria di quelle che non hanno accettato il concetto di aperitivo e che dispensano il loro nettare senza fronzoli, ho trovato la Taverna del bergé. Il “bergé” in dialetto è il pastore che si isola in montagna e fa ottimi formaggi. Ogni cittadino frequentatore di Alpi millanta di conoscere un bergé sperduto e dalle doti ineguagliabili quando, a fine estate, torna a casa con preziosi bottini di formaggi. Il vino è sfuso ma di buona qualità.
Questa piola ha una selezione di antipasti di quelle per cui vuoi ordinare tutto, senza pensare alle conseguenze. E così facciamo, sorridendo mentre arriva una giardiniera molto acetosa (ma contemporaneamente dolce e croccante); degli ottimi tomini rinvigoriti dalla cipolla caramellata; peperoni con acciughe semplici ma perfetti e una lingua al bagnetto verde che non ripudia l’aglio, proprio come richiede la tradizione.
Come piatto principale il fotografo sceglie la trippa e mi fido quando dice che è “buona ma poco zozza”, gli gnocchi sono, per variare, al blu di capra e non al castelmagno e sebbene non siano particolarmente blu, sono fatti in casa davvero. Filippo e Cinzia, i proprietari, non sono torinesi: vivono in val Susa e portano veramente le tome giù dalla valle.
Non so se questo rientri nella definizione tipica di piola, ma l’attenzione per gli ingredienti mi sembra sincera, così come la loro passione nel servire gli avventori di quartiere. L’ambiente è uno dei più vivi che abbiamo incontrato, sebbene la sera sia una delle più uggiose e il quartiere uno dei più desolati, motivo per cui la Taverna del bergé secondo me si merita una visita.
Quando la fama ti precede
Le guide continuano a proporre dei locali più per la loro fama che verificandone la qualità
Nel mio tour di piole, devo ammettere, ci sono state alcune delusioni. Fino all’ultimo non sapevo se scriverne o meno, ma in una città dedicata al cibo come Torino, credo sia un tema da considerare. In alcuni casi il cambio generazionale è stato un successo, come nel caso della Salumeria Lingotto, ma in altri il peso della fama ha schiacciato i nuovi arrivati. Se a questo aggiungiamo che, a volte, le guide continuano a proporre dei locali più per la loro fama che verificandone la qualità, il risultato è che si arrivi gasatissimi in una trattoria (magari avendo anche fatto fatica a prenotare), per poi scoprire che i piatti tipici hanno ormai perso le qualità che li avevano resi celebri, che si mangi in modo mediocre, o che il prezzo sia improvvisamente alto nonostante un’offerta media.
La piola è un concetto per cui il cibo deve essere buono e onesto abbastanza, rispetto a un prezzo onesto abbastanza, in un contesto sincero abbastanza. Se si perde uno di questi aspetti si perde anche l’unicità del riunirsi con degli sconosciuti per ripararsi dal freddo umido, per inebriarsi senza alzare troppo la voce, alla torinese.
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