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La mia prima volta al Berghain

Ci sono due tipi di persone che cliccheranno su questo articolo. I primi sono quelli che si sono istantaneamente incazzati con me perché ho osato scrivere dei segreti del Berghain. I secondi sono quelli che vogliono sapere come sono riuscita a entrarci. Amici del primo gruppo: non mi importa, odiatemi pure come odiate gli autori degli altri tremila articoli e post sul Berghain che potete comodamente trovare online. Per dare una risposta a voi del secondo gruppo: non ne ho davvero idea.

A essere onesta, non esiste un modo scientifico per riuscire a entrare al Berghain. Ho letto consigli di tutti i tipi su come mi sarei dovuta presentare alla porta: alla moda, in total black, solo con il mio intimo. L’unica costante era il consiglio da rivista patinata per quarantenni alla fine degli articoli: “Sii te stessa!” Ad ogni modo, se siete dei veri raver o dei ragazzi gay tra i 20 e i 45 anni presi bene per il sadomaso, allora non vi sentirete soli in coda. Se, come me, non appartenete a queste due categorie, vi trovate di fronte a una scelta. Potete fare tutto il possibile per provare ad assomigliargli, o potete non provarci affatto. Io sono andata con la seconda. In ogni caso non vi divertirete poi tanto a fare finta di essere come loro, e verrete comunque fermati all’ingresso. I buttafuori a Berlino non sono dei babbi. Io mi sono vestita di nero, come mi vesto di solito, e sopra ho messo un giacchetto di jeans. E avevo solo un po’ di mascara.

Una cosa che sicuramente non farà bene alle vostre chance di entrare al Berghain è ridere in coda. O usare il cellulare in coda. O bere una birra in coda. Insomma, non provate a divertirvi. La techno è seria come una guerra e il Berghain è la sua fortezza. Non provate a sorridere al buttafuori o a sembrare felici. Provate ad assumere l’espressione che avete quando siete in sala d’attesa dal dottore. Tenetevi i sorrisi per le serate hip-hop o scordatevi di entrare. Non ho visto nessuno portarsi una borsa, e nessuno con i tacchi (tranne un ragazzo con addosso un vestito da sposa). E la combo calzini bianchi + risvoltino non sembra funzionare, a quanto ho visto. Più assomigliate a dei senzatetto più opportunità di entrare avrete. Oppure dateci giù di cuoio.

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Die Autorin vor ihrem Besuch im Bergahin“Hai un euro o una siga?”

In due parole: il Berghain si prende molto sul serio, come prende molto sul serio il suo ruolo nella scena techno. Il risultato è la porta più difficile da varcare di Berlino, e un certo senso di meraviglia negli occhi delle persone che riescono a entrare. Ma è proprio questa mistica di serietà e leggenda che lo rende un posto così interessante. È scientificamente provato che qualsiasi turista con meno di 35 anni che viene a Berlino proverà a entrare—e la gente del luogo dovrebbe avere un minimo di comprensione nei nostri confronti, dato che per la stragrande maggioranza di solito dobbiamo andare a fare serata in posti con l’acustica di una sala dell’oratorio.

Il punto è che la vita notturna del non-berlinese di solito ha simboli come la bottiglia con il fuoco d’artificio che spara le scintille, la festa d’istituto e il DJ locale che si atteggia come se fosse nato a Kreuzberg. Il che può anche essere divertente, anche solo a livello ironico, ma qualsiasi psiche sana e normale non può reggere alla lunga a un concetto simile di “divertimento”. A presentarsi al Berghain, però, non sono solo persone che vogliono fuggire dall’incubo della nightlife provinciale; sono anche ragazzini tentati dalla mela succulenta che è la leggenda del Berghain senza conoscerne veramente l’etica e i principi, convinti di poter entrare tranquillamente, scattarsi un selfie geolocalizzato e limonare duro delle berlinesi tutta sera. I turisti hanno reso il clubbing berlinese un vero inferno. Da cui la necessità di una selezione, e rieccoci al punto di prima.

Io sono la perfetta techno-turista: organizzo serate a Vienna, la mia città, e viaggio molto per provare nuovi club. Sono stata a Berlino già due volte, ma avevo trovato dei posti così belli e divertenti completamente a caso che non mi ero mai posta prima di questo articolo il problema del Berghain. Inoltre, i miei club preferiti non si prendono troppo sul serio: io e i miei amici in primis non lo facciamo, e quindi tendo a evitare ambienti troppo impostati. Per darvi un’idea, credo che il club più bello di Berlino sia il Sisyphos, un luogo che fa entrare più o meno tutti e in cui è ok fare gli idioti, ridere ed esagerare. Inoltre, ho un ego fragile—e quindi l’idea di poter essere rimbalzata mi fa venire il magone.

La strada.

Mi trovavo a Berlino per trovare alcuni amici che si sono trasferiti lì da un annetto. Alcuni di loro non sono mai stati al Berghain, anche se escono tutti i fine settimana. Uno, invece, se ne è innamorato e ha adottato la sua personalissima tattica per ridurre al minimo le probabilità di rimbalzo. Semplicemente, resta a casa il sabato sera e si sveglia la domenica mattina presto. Ho deciso di seguire i suoi consigli, e quindi—come potete vedere dalla foto qua sopra—mi sono trovata ad affrontare l’impresa sotto a un bel cielo azzurro.

Effettivamente, una volta arrivata alla coda mi sono resa conto che avrei potuto a malapena definirla tale. Non c’era quasi nessuno, e nessuno mi ha chiesto niente all’ingresso. Devo ammettere che mi ero studiata la lineup della serata, dato che a volte i club di Berlino ci tengono ad assicurarsi che la tipa che sta varcando la loro porta sia davvero interessata alla musica e non sia lì solo per dare un boost al proprio ego. Se devo essere sincera, la cosa di cui ero più preoccupata non era farmi bella ma proteggere il mio ego da un eventuale rifiuto da parte del buttafuori. Non appena mi sono sentita al sicuro, però, ho sfoggiato le mie skill da figlia della Generazione Y: mi sono geolocalizzata su Facebook.

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Ho provato davvero a sembrare figlia della mia generazione, giuro.

Entrare al Berghain per la prima volta significa rimanere esterrefatti di fronte alla maestosità del suono che ti entra nelle orecchie. Da fuori immaginavo che il palazzo potesse essere a più piani, ma in realtà si tratta solo di muri altissimi—il che, probabilmente, influisce sul discorso del suono di cui sopra. Il Panorama Bar, essendo più in alto, è particolarmente luminoso, e ha una selezione musicale particolarmente bella.

Nella sala principale, invece, la musica non era il massimo: techno di maniera, nulla da strapparsi i capelli, come mi hanno confermato anche altri ragazzi con cui ho parlato. Ma era assolutamente meglio di qualsiasi cosa i DJ della mia città mettono su di fronte a 200 persone in uno scantinato che puzza di morte in cambio di 250 euro e tre consumazioni. Mettendo da parte la musica, quindi, devo dire che la cosa che più mi ha convinto del valore del luogo in cui mi trovavo è stata l’atmosfera. Sembra scontato, ma in realtà una volta dentro ti rendi conto di quanto tutte le persone che hai attorno sono—o comunque sembrano—aperte, simpatiche e piacevoli. Sul dancefloor si crea una certa intesa tra sconosciuti, si percepisce una motivazione comune al limite dell’ineffabile. Sei in uno spazio libero da pregiudizi, occhiatacce e cattivi pensieri.

A un certo punto mi sono trovata accanto un tipo bello abbondante completamente nudo. Poco dopo, si stava facendo fare una sega e io mi sono sentita felicissima per lui. Poi ho conosciuto il tizio con tacchi e vestito da sposa di cui avevo parlato sopra, e devo dire che sono rimasta affascinata da quanto è bravo a truccarsi rispetto a me. Due ragazzi vestiti da rocker d’altri tempi si sono stesi per terra, abbracciati, e si sono messo a giocare coi rispettivi capezzoli. Ho visto una ragazza mettersi a testa in giù sul dancefloor. Un tizio ha chiesto a un mio amico di fare la pipì in una tazza e poi si è messo in un angolo a berla, completamente estasiato.


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Ci sono edonismo, libertà e sesso un po’ ovunque. La maggior parte dei presenti indossava completi fetish piuttosto rivelatori. Io sono rimasta in reggiseno, dato che mi sentivo decisamente al sicuro. Mi sono fatta fare un massaggio alla testa da un ragazzo indonesiano con cui ho parlato per due ore in inglese per poi accorgermi che in realtà sapeva benissimo il tedesco. A un certo punto sono finita per sbaglio in una darkroom, e mi sono trovata di fronte tre ragazzi che si stavano divertendo. Ho provato a dargli un cinque ma loro non sono sembrati molto interessati. Non posso biasimarli, dato che in retrospettiva mi sono sentita un po’ una rompicoglioni.

L’inglese è la lingua dominante, e tutte le persone con cui ho parlato erano piuttosto di successo: gente intelligente, interessante, molto sensibile a evitare gli stereotipi negativi associati al Berghain e a rispettare la sua unica regola: zero droghe. I controlli sono rigidissimi, sia nelle varie stanze più o meno illuminate che nei bagni. E comunque ci sono abbastanza bar e sale da non farti sentire il bisogno di alterarti. Puoi anche prendere della frutta, se vuoi. Spazio, organizzazione e provviste: in pratica, il Berghain è progettato per sopravvivere a un’apocalisse zombie. Ah, e anche ai fulmini.

Anche dopo otto ore all’interno del Berghain, continuavo a trovare nuove stanze da esplorare e persone da conoscere. A un certo punto, però, mi sono sentita di andarmene dopo aver visto una ragazza, che avevo visto ballare presa da una sorta di estasi, per terra, accanto al dancefloor, a fare sesso con chiunque volesse. Probabilmente lei si stava divertendo, ma io ho avuto un po’ paura. Non mi piace vedere ragazze ubriache fare sesso, dato che non so mai quanto davvero vogliono farlo. Ma magari sono solo pensieri miei, a quanto ho visto lei sembrava decisamente soddisfatta.

Quando tornerò a Berlino, e ci tornerò presto, andrò sicuramente di nuovo al Sisyphos. Magari tornerò al Berghain, ma non sarà il mio obbiettivo principale—semplicemente perché non riesco davvero a reggere il panico della coda e del processo di selezione, e in fondo mi piace andare a ballare in posti un po’ allegrotti in cui la gente ti dipinge la faccia e ti versa glitter nei capelli. E non impazzisco all’idea di avere sempre accanto della gente che fa sesso per terra. Ma il Berghain resta un club di prima classe, che si merita pienamente la sua reputazione e il suo ruolo di leggenda del clubbing. Per i prossimi tempi mi accontenterò dell’edonismo austriaco, tutto bottiglioni e sedicenni esaltati. Emoji triste.

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