La crescita musicale di ognuno di noi ha dei punti cardine fondamentali, snodi che vanno a influenzare il modo in cui approcciamo la musica negli anni formativi della nostra vita. E i miei sono andati a coincidere con due fenomeni piuttosto importanti: 1) l’esplosione del nu metal e 2) la possibilità di passare ore davanti a MTV a guardare video musicali. Insomma, non essendoci ancora YouTube il piccolo schermo era una via per dare un volto ai miei eroi musicali del tempo e prendermi bene per l’immaginario di turno. Tra i video che mi colpirono un botto ricordo “Toxicity” dei System of a Down, “In the End” dei Linkin Park e—arrivando quindi al succo di questa cosa che sto scrivendo—”Bring Me to Life” degli Evanescence.
Restando su questi tre nomi, devo dire che i SOAD e i Linkin Park hanno entrambi avuto carriere più che rispettabili. Insomma, i primi hanno smesso di fare musica nuova dopo una coppia di album che penso siano tra le cose migliori mai uscite da quel giro, i secondi sono diventati un’enorme rock band da stadio che non mi esalta particolarmente ma neanche mi causa orticaria o sentimenti particolarmente negativi. Gli Evanescence, invece, si sono rivelati una gran bella one hit wonder. Escludendo da questo i molti megafan sfegatati che hanno (e che tuttora esistono in gran numero, come dimostra il fermento generale scatenato dall’annuncio di un loro concerto in Italia nel 2017), vi sfido a dirmi a memoria altre due, tre canzoni di Amy Lee e compagni che non siano “Bring Me to Life”.
E niente, mentre l’altra sera occupavo il mio tempo scavando nei meandri di YouTube, sono capitato su un grandissimo documento audiovisivo che mi era totalmente sfuggito nei miei anni di frequentazione del fantastico mondo della musica. Quella che azzardo può essere una testimonianza di quella volta che un’etichetta discografica—la Sugar, facciamo i nomi—provò a trasformare i Gazosa ormai finiti negli Evanescence italiani cercando di ricreare “Bring Me to Life” con una bella dose di Sottotono.
Signore e signori, eccovi una cover di “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli a cura dei Gazosa assieme a Tormento. È tutto bellissimo. Torme rappa come se volesse essere da qualsiasi altra parte tranne che lì su quel muro di inutili, spenti chitarroni. La tipa dei Gazosa pronuncia una strofa con accenti totalmente a caso. Il video ha tutti i clichè dei clip nu metal, dalle maschere ai vetri rotti alla gente che poga e saltella. E poi, completamente a caso, c’è un tipo che fa breakdance.
“Nessuno mi può giudicare”, tra l’altro, è stato l’ultimo singolo dei Gazosa prima del loro scioglimento. Un ultimo, disperato tentativo di renderli relevant prima che l’oblio se li portasse via, verso una tristissima reunion con il batterista come unico membro originale del gruppo a cercare di tirare avanti la carretta. Schiacciate play qua sotto e state bene. E schiacciate anche qua per leggere la nostra intervista con la Caselli.
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