Dietro le quinte del boss delle cerimonie

Il futuro sposo è accompagnato dalla madre, le sorelle e la fidanzata, e seduto nello studio cerca di convincere il responsabile dell’organizzazione che un solo buffet non sarà sufficiente. Dopo essere arrivati in elicottero e aver fatto il loro ingresso tra i camerieri in livrea, gli sposi consumeranno il buffet di benvenuto in veranda e passeranno poi alla sala da pranzo, dove ad aspettarli ci sarà un altro giro di antipasti: è deciso.

È una delle scene più sobrie a cui Il Boss delle Cerimonie di Real Time ha abituato il suo pubblico in quattro stagioni, tutte basate sul lavoro dello staff di Don Antonio Polese—scomparso nella notte tra mercoledì e giovedì in seguito a problemi cardiaci.

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L’80enne ex macellaio era il patron de La Sonrisa, albergo cinque stelle di Sant’Antonio Abate divenuto noto come venue per banchetti matrimoniali trimalcionici, comunioni che finiscono alle quattro del mattino e diciottesimi con ballerini brasiliani al soldo della madre della festeggiata.

Il “boss delle cerimonie”. Screenshot via Youtube.

A far svoltare il programma è stato quel mix tra assoluta esagerazione kitsch e un che di losco sul piano della realtà: tra le altre, il “boss” era stato al centro di un’interrogazione parlamentare, e qualche settimana fa si era diffusa la notizia della confisca della Sonrisa per abusi edilizi.

Ho chiamato Lorenzo Brunetti, giovane autore dietro Il Boss delle cerimonie, per parlare di come è nata l’idea, dei clienti della Sonrisa e dell’eredità lasciata da Don Antonio.

La Sonrisa. Screenshot via.

VICE: Come e quando hai avuto l’idea di fare del “matrimonio da favola” alla napoletana un programma tv?
Lorenzo Brunetti: Il programma è nato più o meno per caso: eravamo partiti con l’idea di trovare storie interessanti sul mondo della ristorazione in Campania e abbiamo visitato diversi luoghi, alla ricerca di personaggi e storie in ristoranti e location per cerimonie. È stato facendo ricerche che ho scoperto La Sonrisa, ma la prima volta che sono entrato al castello del boss è stato un ricordo indimenticabile: sono entrato e ho visto questo regno da favola.

Quindi Don Antonio l’hai conosciuto sul posto.
Sì, è stato lì che ho incontrato il boss e ho capito che questa era la storia che volevo raccontare.

Ho letto che il “matrimonio da favola” napoletano è un fenomeno culturale radicato oggetto di ricerche universitarie, ma non tutti sono stati d’accordo con il fatto di legare questo tipo di festa e Napoli.
È un discorso su cui bisogna sempre fare molta attenzione, perché Napoli è una città varia ed eterogenea e nonostante abbia un’anima forte e caratteristica, c’è di tutto, per cui spesso si sbaglia e si generalizza nel raccontarla. Sicuramente un culto della festa unico al mondo fa parte del DNA e della storia di una parte della popolazione napoletana; c’è il desiderio di vivere un giorno come i re, forse per la memoria sempre viva dei Borboni, e il giorno del matrimonio diventa il giorno in cui ci si può sentire come il re.

Come dire, non lo so se le feste possono essere “alla napoletana”, però so che a Napoli si festeggia meglio che in qualunque altro luogo del mondo, senza dubbio.

Ecco, l’aspetto eccessivo è molto presente in quello che il pubblico, me inclusa, trova di affascinante nel programma. Ci sono anche pagine Facebook seguitissime come “L’ignoranza del boss delle cerimonie“. Quanto è il “kitsch”, quanto il fattore “veritiero”—insomma, cosa catalizza l’interesse verso queste cerimonie?
Be’, una festa simile implica certo una forte esposizione e pressione sociale su quello che si è riusciti a organizzare; al tempo stesso queste feste non sono semplice esibizione, ma sono vissute in modo carnale vivissimo dai festeggiati e dagli invitati—e questo può sembrare esagerato perché non siamo più abituati a divertirci così.

Da subito il programma ha generato reazioni forti, all’inizio di critica durissima e indignazione da parte di chi riteneva inappropriato questo modo di festeggiare, ma abbiamo presto anche cominciato ad avere grandi attestati di affetto e simpatia, che diventavano sempre più numerosi di stagione in stagione. Secondo me certo l’interesse viene dalla componente di divertimento più spensierato, dei vestiti scintillanti, delle grandi abbuffate, i cantanti, i boccoli, le carrozze, gli elicotteri—questo però è abbinato al racconto del dietro le quinte, della famiglia Polese.

Nel senso che quello che si vede nel programma è tutto vero?
Se mi stai chiedendo se le feste che si vedono nel programma si sarebbero svolte come sono indipendentemente dal programma, sì. Poi, certo, durante la registrazione si collabora con i personaggi per raccontarli nella chiave giusta, nel modo più genuino possibile. La collaborazione ha sempre funzionato e, salvo rari casi, abbiamo mantenuto ottimi rapporti con tutte le famiglie.

Michele, lo sposo citato all’inizio del pezzo. Screenshot via.

Come scegliete i protagonisti?
Tutte le famiglie che hanno prenotato la loro festa alla Sonrisa vengono contattate. La prima scrematura è fisiologica, tra quelle che sono disponibili ad apparire in TV, poi le incontriamo personalmente e scegliamo le feste in base a quanto i protagonisti le vivono con importanza, in base al valore che hanno per loro e all’energia che vogliono investirci.

Be’, immagino che ci investano anche parecchio denaro…
Tantissimo. Ma l’investimento è pazzesco sia sul piano economico che emotivo—il concetto è di darsi al massimo in entrambi gli ambiti. La spesa è difficile da quantificare, perché è molto vario: certo se uno vuole arrivare in elicottero, avere 15 cantanti neomelodici, fare un banchetto pantagruelico e tre cambi d’abito… ma non lo fanno tutti, lo fanno quelli che ritengono di volerlo e poterlo fare.

Infatti un aspetto specifico, a differenza di altri programmi di questo tipo, è che non solo sono i ricchissimi a partecipare al programma, come si vede dai dietro le quinte.
Esatto, i clienti vanno dalle famiglie più popolari alle più benestanti, del centro storico, dei Quartieri Spagnoli, delle periferie, delle province. Nella vastità della clientela ci sono anche famiglie che possono permettersi poco e con quel poco vogliono avere quel famoso giorno da favola, e la chiave del successo di Don Antonio è stata proprio questa: il suo motto era “Noi non accogliamo solo i lord, ma trattiamo tutti da re.”

La famiglia di Antonio Polese è molto coinvolta nel programma: com’è per la produzione gestire dinamiche famigliari? E quanto la televisione ne ha cambiato i componenti?
La Sonrisa è un’azienda a gestione famigliare, ed è questo anzi che mi ha conquistato della sua realtà: non solo Don Antonio, ma tutti i Polese. La dimensione del family business è una tradizione televisiva già da prima del boss, perché quando la famiglia è anche un team di lavoro si generano storie e dinamiche molto interessanti. Ma c’è da dire che, nonostante con il successo del programma la famiglia Polese sia estremamente esposta, vivendo nel loro castello, nel loro regno, restano “intangibili”.

Proprio il fatto che sia un family business potrebbe far pensare che il programma non chiuda, nonostante la morte di Don Antonio.
Attualmente siamo in produzione con la quinta stagione, e dato che il programma è ancorato alla realtà e alle vicende reali sia dei festeggianti che della famiglia Polese ne continueremo il racconto, anche della morte di don Antonio. È una giornata triste, molto triste—non si può dire che questo—però quello che ci ha insegnato Don Antonio è che la vita può essere una festa e quando si gioisce, si ama, ci si diverte e si mangia roba buona non bisogna preoccuparsi di nient’altro. E su questo insegnamento speriamo di poter continuare.

Il fascino che circonda il programma sta anche un po’ nelle vicende “dubbie” che legalmente e mediaticamente hanno coinvolto La Sonrisa. Queste notizie vi toccano in qualche modo?
Guarda, quando abbiamo iniziato a produrre la prima stagione c’era già un procedimento in corso. Ma allora come oggi, non essendo ancora terminati tutti i gradi di giudizio, la struttura è attiva ed è affidata alla famiglia, che ha il diritto riconosciuto dalla legge di portare avanti le attività e ospitare programmi tv finché il processo non sarà terminato. Per noi non è mai stato un ostacolo, abbiamo sempre avuto il diritto di raccontare quelle feste.

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