Da oggi “Stan” di Eminem non è solo un classico del rap, è anche un nome e un verbo. Il vocabolario Merriam-Webster, uno dei più importanti per gli Stati Uniti, ha infatti ratificato ufficialmente il significato della parola “stan” per come è stata usata negli ultimi anni. Nel 2017 l’Oxford Dictionary aveva già fatto la stessa cosa. Ripubblichiamo per l’occasione questo articolo.
Quando qualcuno raggiunge un certo livello di fama, smettiamo di vederli come persone. La costante presenza della loro immagine—nelle news, nelle conversazioni e nella cultura pop in generale—ce li fa percepire non come umani usciti da una vagina che sbadigliavano durante le lezioni di matematica all’ultima ora come tutti noi, ma più come un marchio; un simbolo, uno slogan che simboleggia qualcosa al di là di sè. L’amore delirante che i fan provano per i La Dispute fino ai One Direction ha dato vita a una gigantesca ondata di cambiamento positivo a livello personale (quante volte hai sentito qualcuno dire che un artista gli ha “salvato la vita”), nonché ad alcuni comportamenti piuttosto strambi ma in fondo inoffensivi, come quella volta che una ragazza si è nascosta in un cassonetto solo per vedere per un secondo da vicino Niall Horan. Ma ha anche un lato oscuro.
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Lo scorso anno, Justin Bieber si è cancellato da Instagram (per sei lunghi, tristi mesi) e ha detto che non avrebbe più fatto foto con i fan, dichiarando che si era “arrivati al punto che la gente non mi dice nemmeno ciao né mi tratta come un essere umano”. Nel 2011, qualcuno ha percorso strisciano un condotto dell’aria per avere un autografo di Ricky Martin; nel 2004, un uomo è finito in tribunale per aver mandato minacce di morte a Micheal Jackson; nel 1996, un uomo che perseguitava Madonna è stato condannato a dieci anni di prigione per aver scavalcato la recinzione di casa sua e averla minacciata di tagliarla “da orecchio a orecchio” se lei non avesse accettato di sposarlo. Tutto questo per dire: l’esposizione della fama può aprire le porte a situazioni pericolose, essere fan non è sempre un fatto positivo e—visto che la parte più estrema del fenomeno è molto spesso legata a problemi mentali—della questione che sta alla base si parla poco e male.
Nei casi più drammatici riportati sulla stampa i fan vengono presentati come cattivi senza volto—”impazziti” e “psicotici”—cosa che mette automaticamente da parte il contesto delle loro vite al di là della loro relazione con la celebrità in questione. Nel 2008, per esempio, Paula Goodspeed—trentenne “fanatica” di Paula Abdul—è stata trovata morta per overdose nella sua auto vicino a casa della Abdul non molto tempo dopo essere stata brutalmente eliminata da American Idol. Molti articoli la identificavano come “stalker delle celebrità“, cosa che i suoi parenti hanno contestato. Il dialogo pubblico ha cominciato a esaminare perlomeno superficialmente il problema della salute mentale dei musicisti, messa alla prova dalla fama, ma la parte più ossessiva della fandom è spesso vista come priva di valori e violenta senza alcuna sfumatura intermedia e senza empatia. Il che rende ancora più interessante il fatto che uno dei trattati più completi sulla questione sia arrivato da Eminem—un rapper così distante dalla concezione di empatia che è stato denunciato dalla sua ex-moglie Kim per aver pubblicato una canzone in cui racconta come l’avrebbe uccisa per poi suicidarsi nello stesso anno in cui lei tentò veramente il suicidio.
The Marshall Mathers LP uscì alla fine del 2000, un anno veramente pazzo nella cultura pop. Il Millennium Bug non si fece vedere; fu l’inizio del blogging; il fanatismo per le boyband raggiunse il picco con No Strings Attached degli NSYNC, mentre i Backstreet Boys brillavano ancora della luce di Millennium; MTV lanciò Cribs, dandoci un punto d’osservazione personale sulle vite delle star, allora ancora distanti dal pubblico grazie all’assenza di social media; Britney Spears pubblicò Oops, I Did It Again, i Limp Bizkit pubblicarono Chocolate Starfish and the Hotdog Flavored Water, ed entrambi gli artisti ebbero un tale impatto sullo zeitgeist che Eminem li citò entrambi nello stesso verso di una delle canzoni che cantò ai VMA circondato da sosia, nel tentativo di trapassare la cultura pop degli anni Zero e la sua stessa influenza su di essa. Tra l’elezione di George W. Bush e l’ascesa del voyeurismo verso le celebrità che avrebbe dato vita a The Osbournes e The Simple Life, le condizioni erano ideali perché un disturbatore come Eminem—un artista che Rolling Stone all’epoca chiamò (in senso buono) “esagerato, selvaggio, pericoloso, fuori controllo, grottesco” e “inquietante”—avesse successo. The Marshall Mathers LP parla in massima parte della sua vita, della sua ascesa al ruolo di superstar e delle forze culturali attorno a lui, e divenne subito l’album solista più venduto nella prima settimana della storia della musica americana – un record che rimase imbattuto per 15 anni, finché Adele non pubblicò 25 nel 2015.
“Stan”, singolo e pezzo centrale dell’album, è uno dei momenti più significativi della carriera di Eminem; una traccia allo stesso tempo senza tempo ed estremamente legata al suo periodo. Conosciamo tutti la storia: fan ossessionato, Stanley, scrive a Eminem lettere sempre più disperate dall’altare al perossido nella sua cantina e, prima di ricevere risposta, va fuori di testa. Lega la sua fidanzata incinta, la chiude nel bagagliaio della sua macchina e si lancia con lei dentro un fiume. Il motivo per cui è propria del suo tempo è che: a) la tecnologia ha cambiato il modo di vivere la fandom—”Stan, 2017″ sarebbe soltanto uno skit di 25 secondi che parla di bloccare uno che twitta continuamente “MUORI, MERDA” al proprio artista preferito; b) è costruita su un sample di Dido; c) la misoginia che porta all’omicidio è soltanto una nota a pié di pagina nella trama principale del rapporto tra due uomini arrabbiati. Sappiamo il nome di Stan, quello di suo fratello (Matthew), ci viene detto il potenziale nome della figlia non ancora nata (Bonnie, in onore della canzone “97′ Bonnie & Clyde” in cui il concetto di chiudere una madre in un bagagliaio e farla annegare compare per la prima volta). La donna non è mai menzionata per nome, solo come “la mia ragazza”, “puttana” e delle grida soffocate (è strano perché di solito Eminem non ha problemi a chiamare per nome tutte le donne che odia). Impossibile che il messaggio del pezzo sarebbe stato accolto nello stesso modo se fosse uscito oggi.
Ciò detto, la mancanza d’identità della donna è parte di ciò che permette a “Stan” di ritenere la propria rilevanza. Se venisse chiamata per nome, “Stan” avrebbe immediatamente un nuovo punto focale. Non sarebbe più su “Stan” come riflesso di un reale tipo di individuo confuso e lunatico che non riesce a separare realtà e finzione—che non riesce a distinguere Marshall Mathers da Slim Shady—ma “Stan” come specifico, immaginario assassino di una specifica, immaginaria donna. Dandole un nome, la canzone perderebbe gran parte del suo significato e diventerebbe invece orrore puro. C’è spazio per la proiezione di sé stessi, e quindi spazio per un certo grado di empatia, tra la violenza esplicita e l’anonimato. Se dobbiamo provare empatia verso Stan o Eminem è un altro discorso, ma in un certo senso il significato di “Stan” non è nei suoi versi, quanto nello spazio fra le righe.
“Stan” è una favola che avverte i fan di non prendere alla lettera tutto quello che dice il loro idolo, oltre che una disanima della nostra tendenza ad attribuire la responsabilità di una tragedia a un artista perché è più facile che affrontare i problemi ben più radicati della società che l’hanno davvero causata. È Marilyn Manson che viene incolpato di Columbine senza che si parli del controllo delle armi, i Judas Priest e Ozzy Osbourne indicati come catalizzatori per i suicidi degli adolescenti senza menzionare il condizionamento sociale che può impedire ai giovani uomini di parlare liberamente dei propri problemi, e c’è Theresa May che vieta a Tyler, The Creator l’ingresso nel Regno Unito in quanto “minaccia all’ordine pubblico” per testi che presentavano istanze di omofobia e sessismo per poi, due anni dopo, firmare un contratto da un miliardo di sterline con un partito politico che si pone esplicitamente contro i matrimoni omosessuali e l’aborto. “Stan” parla del rapporto tra due uomini violenti, ma ci chiede anche di prendere in considerazione la relazione tra arte e realtà. È una questione di colpevolezza, idolatria e il fallimento annunciato dello scaricare una massa complessa di problemi sulle spalle di qualcuno in particolare (che si tratti dei problemi di Stan su Eminem o di quelli della società sulle celebrità in generale).
Dopo il sample di “Thank You” di Dido che apre la canzone, “Stan” si riempie di rumori di sottofondo: la matita che graffia la carta, tuoni e pioggia, tergicristalli, urla. È praticamente una tragedia shakespeariana in quattro strofe. Ha allargato i confini del rap, dal punto di vista narrativo, e messo alla prova i critici che sostenevano che la popolarità di Eminem fosse frutto soltanto della sua abilità nello scioccare il pubblico. Eminem ha passato molto tempo su disco a confrontarsi direttamente con l’opinione pubblica negativa, rifiutando con fermezza il ruolo di modello e difendendo il suo diritto a dire e fare tutto quello che vuole, ma “Stan” è una cosa diversa. In questa traccia, Stan si rivolge a Eminem soltanto come “Slim”, mentre Eminem—qui ritratto con gli occhiali e tutto, mentre scrive, come se fosse uno scrittore a un firmacopie dentro una libreria—in confronto risulta l’educata e misurata voce della ragione, sovvertendo del tutto quello che comunicava al pubblico nei panni di Slim Shady. Non sembra arrabbiato, non fa vocette stupide né battute, né giochi di parole alla velocità della luce—perché non si tratta di Slim Shady né di Eminem. È una rara apparizione di Marshall Mathers, emerso dall’ombra per dire a Stan di smettere di venerarlo, di parlare con uno psicologo e di trattare meglio la sua ragazza.
Tutto ciò non è per caso. Questa traccia è un anomalia in quanto una delle poche che non sono state concepite concettualmente mentre venivano scritte. “‘Stan’ è stata una delle poche canzoni che ho veramente scritto e concepito a tavolino”, Eminem disse su VH1 nel 2002, “Sapevo esattamente di cosa avrebbe parlato”. L’idea arrivò dopo aver ricevuto il beat dal producer The 45 King, che aveva sentito “Thank You” in una pubblicità di Sliding Doors, l’aveva registrata direttamente dalla TV e aggiunto un beat e una linea di basso. “Le parole mi hanno immediatamente mandato in quella direzione”, dichiarò Eminem. “‘La tua foto sul mio muro’—questa parla di un fan ossessionato. Continuavo a pensarci”. Poi, Dido ricevette una lettera che l’informava che la sua canzone, concepita per tirarsi su dopo una brutta giornata, era stata campionata per una murder ballad—e lei apprezzò, il che probabilmente testimonia quanto entrambe le tracce spacchino dal punto di vista strumentale. È e rimane una delle accoppiate più assurde della musica: il Nemico Numero Uno d’America e il fiorellino delicato delle radio inglesi; “Cum On Everybody” e “White Flag“; Marshall Bruce Mathers e Dido Florian Cloud de Bounevialle O’Malley Armstrong. Eppure, funzionò. “Stan” raggiunse il numero uno in 11 Paesi, tra cui UK, Germania, Italia e Australia. È considerata una delle canzoni di Eminem più amate dalla critica, Rolling Stone l’ha inserita tra le migliori canzoni di tutti i tempi nel 2011 e la Rock and Roll Hall of Fame l’ha inserita fra le 500 canzoni che hanno definito al Rock and Roll. Nel 2001, Eminem la suonò dal vivo con Elton John ai Grammy del 2001, con Elton a cantare le parti di Dido, tralasciando le parti più barocche del suo usuale approccio live.
Ora è un termine perlopiù positivo, recuperato da chi apprezza oltremodo qualcosa, che sia Beyoncé o i burrito; ma “Stan” si tuffa nel profondo della dinamica incasinata tra artisti e fan. All’inizio, Stan viene presentato come uno qualunque—quasi tipico. Chi di noi non ha passato ore a esplorare il catalogo di un artista di cui ci siamo trovati innamorati, tappezzato i muri con le sue foto e copiato la sua acconciatura o i suoi vestiti? È praticamente metà del pubblico ai concerti dei Paramore. Ma la graduale crescita d’intensità e definitiva rottura dello stato mentale di Snap, i dettagli della sua vita e la prospettiva in prima persona lo umanizzano in un modo che provoca in noi odio e paura, ma anche pietà. Disegna le ombre che spesso mancano quando storie come questa vengono spiattellate sui giornali nel mondo reale.
Con il doppio omicidio che Eminem aveva già evocato per sé stesso due anni prima, Stan è allo stesso tempo uno scenario estremo e un tipico esempio di violenza maschile. Lui è una sinistra esagerazione del fan, ma non è irrealistico come essere umano. Eminem è un contenitore molto ben costruito e facilmente identificabile per l’offesa gratuita—non è previsto che ci identifichiamo in lui, ma siamo incoraggiati a vedere almeno un pezzettino di noi riflesso in Stan.