Tecnología

Un italiano ha chiesto 2 milioni a Google per la negazione del diritto all’oblio

Una richiesta di risarcimento di 2 milioni di euro portata avanti da un cittadino italiano nei confronti di Google verrà valutata dal tribunale civile di Lecce. La causa sarebbe la mancata applicazione del diritto all’oblio online per Giovanni Giancane, arrestato nel 2014 con l’accusa di aver partecipato al rapimento di una bambina di sei anni.

Due anni dopo, è stato assolto con formula piena ma, dato che il motore di ricerca continua a riproporre la notizia del suo arresto se si digita il suo nome, ha citato in giudizio Google per la mancata rimozione dai risultati di ricerca degli articoli online riguardanti gli arresti e le sue vicende giudiziarie oltre a chiedere al ministero della Giustizia un indennizzo per il periodo di detenzione.

Videos by VICE

Giancane era stato accusato di essersi reso complice del sequestro di una bambina bulgara di sei anni da un parco giochi di Monteroni di Lecce, avvicinandola con la scusa di offrirle un gelato per poi portarla via con uno scooter. Il tribunale di Lecce ha decretato l’assoluzione definitiva da questa accusa, dopo che l’uomo ha trascorso un mese in carcere e dieci agli arresti domiciliari. L’unica persona condannata è la donna che si trovava con lui quella sera.

Tuttavia, secondo quanto sostenuto dal suo avvocato Daniele Scala, per Giancane, le conseguenze negative della vicenda non sarebbero terminate qui. L’avvocato ha riportato una serie di certificati medici attestanti lo stato di malessere psico-fisico che documentano atti di autolesionismo e tentativi di suicidio da parte del suo assistito come conseguenza della mancata rimozione degli articoli online.

Giancane ha presentato istanza a Google per far cancellare i suoi dati personali riguardanti la vicenda. Google ha rigettato la richiesta e quindi l’uomo si è rivolto al Garante della privacy per “la cancellazione/rimozione da Google delle informazioni a lui relative e riportate negli Url indicizzati e presenti nei risultati di ricerca,” senza riuscire ad ottenerla nemmeno in questo caso, secondo quanto riportato su Quotidiano di Puglia. Allora, tramite l’avvocato Scala, ha citato in giudizio il legale rappresentante di Google inc che ha sede negli Stati Uniti, chiamato a comparire all’udienza fissata a Lecce il prossimo 9 marzo.

Come chiedere a Google di rimuovere i risultati di ricerca

Nel maggio del 2014, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che gli utenti europei hanno il diritto di chiedere ai motori di ricerca di rimuovere risultati relativi a query che includono il proprio nome. L’andamento di questa attività che riguarda migliaia di casi ogni anno viene reso pubblico da Google attraverso un report.

La procedura delle richieste di rimozione di risultati di ricerca avviene compilando per prima cosa un modulo web a cui segue una risposta automatica di ricezione della richiesta. Le richieste vengono valutate caso per caso da un team di revisori qualificati che, per i casi più complessi, si appoggia anche a un gruppo di avvocati. Gli interessati vengono contattati sia nel caso di rimozione dei contenuti,sia per ricevere una spiegazione nel caso in cui questa non avvenga.

Le pagine che vengono rimosse dai risultati di ricerca sono i risultati relativi a query contenenti il nome di una persona. Ecco un esempio dalla pagina delle FaQ di Google sull’argomento: “se approvassimo una richiesta di rimozione di un articolo di Mario Rossi relativo al suo viaggio a Parigi, non mostreremmo il risultato per le query relative a [mario rossi], ma lo mostreremmo per una query quale [viaggio a Parigi]. Rimuoviamo gli URL da tutti i domini europei della Ricerca Google […] e utilizziamo segnali di geolocalizzazione per limitare l’accesso all’URL dal paese della persona che ha richiesto la rimozione.” Chi non vede soddisfatta la propria richiesta di rimozione può ricorrere al Garante della Privacy.

Alcuni grab della ricerca Google.

Casi celebri precedenti

L’anno scorso, abbiamo riportato il caso di un ex terrorista degli anni di piombo che, dopo aver scontato la pena per la sua condanna, aveva chiesto al Garante per la Privacy la deindicizzazione da Google di articoli, studi e atti processuali in cui erano riportati fatti di cronaca che lo avevano visto protagonista tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, senza riuscire nel suo intento.

Sempre nel 2016, una sentenza della Cassazione dava l’impressione di indicare una sorta data di scadenza per la cronaca online fissata a due anni e mezzo. I proprietari di un ristorante avevano protestato con il giornale online Primadanoi per la presenza in archivio di un articolo di cronaca riguardante il locale. Secondo la linea di pensiero del provvedimento, era trascorso “sufficiente tempo perché le notizie divulgate potessero avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistico.”

La particolarità di questo caso

Ho contattato l’avvocato Scala per farmi spiegare la situazione. Secondo quanto mi ha riportato, il diritto all’oblio non era una strada percorribile per il suo cliente perché non era passato tempo sufficiente, inoltre, la notizia è stata giudicata rilevante a scopi di cronaca da Google. La linea portata avanti da Scala è quella di sottolineare la connessione tra la mancata rimozione degli articoli e lo stato di salute di Giancane.

Ho chiesto un parere anche all’avvocato Fulvio Sarzana — che ha seguito alcuni dei più famosi leading case italiani in materia di diritti fondamentali e nuovi media. Per lui, in questo caso, interpretare il diritto all’oblio solo in termini temporali è limitativo.

Trattandosi di una vicenda giudiziaria conclusasi con un’assoluzione e dato che il caso di cronaca ha rilevanza esclusivamente locale — nonostante all’epoca abbia avuto risonanza anche sui media nazionali — avvalersi del diritto all’oblio sarebbe molto più semplice. In queste occasioni, infatti, non è sufficiente la pubblicazione di articoli che riportano come sono andate a finire realmente le vicende per ristabilire la reputazione dell’interessato.

La particolarità di questo caso che riguarda una persona che è stata assolta dalle accuse e il legame che la mancata rimozione può avere sullo stato di salute della stessa. Inoltre, emergono i soliti quesiti sul diritto all’oblio. Qual è il limite di tempo oltre al quale una notizia non è più giudicata rilevante? Inoltre, secondo quali criteri una notizia viene giudicata rilevante? Non esistono risposte univoche.

In ogni caso, la decisione passa attraverso un team di esperti interno a Google che, ovviamente, deve seguire le indicazioni date dal Garante della Privacy nel caso in cui un richiedente non soddisfatto vi faccia ricorso. Ma Google stessa non risparmierebbe tempo se in questi casi si facesse affidamento a un’autorità esterna?

Una proposta di riforma della legge anti-diffamazione prevede, in questi casi, di lasciare il potere di decisione direttamente ai tribunali italiani che potrebbero garantire la rimozione entro una trentina di giorni, garantendo così un intervento tempestivo. Vi aggiorneremo sugli sviluppi della vicenda.

Seguici su Facebook: