STUART GRIFFITHS VI INVITA CORDIALMENTE ALLA PIGS DISCO

Il nostro amico Stuart Griffiths, quello che ha fotografato i giovani teppisti di Liverpool, i soldati inglesi massacrati e, più recentemente, le vittime della droga in Siberia, ha fatto un libro che esce questo mese. Myth of The Airborne Warrior contiene le foto che ha scattato quando ha prestato servizio come paracadutista in Irlanda del Nord — abbiamo parlato con lui del libro, delle foto e di tutta la roba deprimente che ti succede quando sei un soldato inglese a Belfast.

VICE: Quindi queste sono tutte foto che hai scattato mentre eri un giovane paracadutista in Irlanda?
Stuart Griffiths:
Sì, ma c’è anche qualche appunto. Volevo descrivere cosa significa veramente essere un soldato inglese. È diverso da quello che ha fatto Photoworks prima, loro volevano fare qualcosa tipo Broomberg & Chanarin e il loro libro, Fig. Qualcosa di diverso dal libro fotografico tradizionale, credo.

Hanno giocato un ruolo importante nel processo di selezione del materiale?
Be’, sì — hanno esaminato tutto. Erano molto interessati dai miei vecchi album, anche se la qualità delle foto è davvero pessima. Sono delle vecchie analogiche scattate con una Olimpus Trip o una Sureshot.
Il mio patrigno mi aveva regalato una macchina fotografica e la usavo solo perché pensavo “Be’, sembra interessante”. Col senno di poi, vorrei avere scattato più fotografie, ovviamente. Ci sono tante cose che avrei voluto fotografare. Soprattutto nella mia camerata — sai, i ragazzi che si facevano le tipe dopo la Pigs Disco.

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Ehm, cos’è la Pigs Disco?
Oh, be’, la Pigs Disco era la fester che facevamo al palazzo Barracks ogni domenica. Tutte le ragazze dalle zone circostanti, dopo accurati controllo da parte della sicurezza, potevano entrare nella base e venire alla festa, dove si potevano sbronzarsi pesantemente in compagnia di un sacco di paracadutisti inglesi. Mi sentivo un po’ in colpa per loro, a dire la verità: i ragazzi se ne stavano seduti e facevano il verso dei maiali… Volevo metterle in guardia, alcune erano davvero brave ragazze. Voglio dire, non venivano dalle aree a maggioranza repubblicana, non sapevano a cosa stavano andando incontro. Avrei voluto poter dire loro “Fra cinque minuti sarete all’inferno”.

Quindi nel libro troviamo anche questi momenti “in libera uscita”?

Sì, i paracadutisti adorano liberarsi dell’attrezzatura e ballare nudi nel vomito e cose così. Avevo più o meno 18 anni quando ho iniziato a scattare quelle foto. Sul momento dai tutto per scontato, ma non rivivrai mai più quelle situazioni. Mi ricordo una volta in cui sono tornato dalla discoteca e Speds, un tipo di colore, si stava scopando una ragazza indossando il respiratore. Avrei dovuto fargli una foto.

Ci sono anche molto foto delle ricognizioni: spero che riescano a dare un’idea della banalità della vita militare. È una visione innovativa della vita dei soldati inglesi nell’Irlanda del Nord: cioè quanto monotona deprimente fosse la maggior parte del tempo.

Quindi la storia del “Nessuno vuole che io stia qui, nemmeno io voglio restare qui” e la quotidiana dose di noia, le ritroviamo nel libro, vero?
Sì, certo. All’inizio doveva intitolarsi “The Northern Ireland Archive” ma era un po’ noioso. Il titolo finale —The Myth of The Airborne Warrior— rivela una nota di sarcasmo. Era una vita davvero noiosa, il 95% del tempo lo passavamo ad aspettare che succedesse qualcosa. Ecco la verità dietro al mito. E, sai, questo mito serviva a nutrire l’entusiasmo dei giovani, ma non era la verità. Per fortuna, non mi è mai successo niente. Ma per poco non scoppiava un casino a causa di alcuni ladri d’auto.

Cioè? Cos’è successo?
Avevamo spesso problemi con questi ragazzi che se ne andavano in giro su auto rubate, perché andavano nel panico quando arrivavano a un posto di blocco. La Compagnia A era coinvolta in un incidente, avevano sparato ad alcuni di questi ragazzi: la macchina non si era fermata al posto di controllo, qualcuno ha sparato e tutti gli altri l’hanno imitato — credo fossero un ragazzo e una ragazza, adolescenti. Rimasero feriti e quelli della Compagnia A furono rimossi dall’incarico e incaricarono noi di sostituirli, giusto in tempo per beccarci tutte le critiche degli abitanti la mattina seguente.

Sembra fantastico. L’esercito ha mai chiesto di esaminare le tue foto? Come funziona precisamente?
All’inizio mi ignoravano completamente — tipo: “Ah ecco Griff che scatta le foto per il suo album delle vacanze.” Ero un giovane soldato semplice, a nessuno importava. Ma poi a mano a mano che diventavo più prolifico (ero diventato anche fotografo del reggimento), la gente iniziava a notarmi. Volevano che portassi i miei scatti al corpo di guardia alla fine di ogni turno: li spedivano a Lisburn, non li ho mai più visti. Si innervosivano perché perché scattavo spesso in bianco e nero, mentre loro le volevano a colori; ma erano le mie foto, quindi ‘fanciullo.

Per quanto riguarda la censura, non ci sono segreti militari là. E cos’è un “segreto militare”, poi? Forse nelle mie foto ci sono riferimenti al bullismo e all’abuso di droghe, comunque no, non ho mai avuto alcun problema con la censura. Volevo soltanto svelare la realtà che sta dietro al mito della vita nell’esercito.

Immagino che questo si ricolleghi coi tuoi lavori più recenti che riguardano le persone che hanno lasciato l’esercito, e l’impatto che ha avuto sulle loro vite?
Sì. Cioè, molti di quelli che lasciano l’esercito faticano a tornare alla vita di prima. Il mio segnale d’allarme è stato quando sono finito in tribunale per possesso di droga e armi da fuoco, e sembra molto più emozionante di quanto in realtà è stato, ma mi ha fatto capire molte cose. È una cosa che succede a molti, è l’effetto della vita nell’esercito, di eventi traumatici. Anche se non esci mai in pattuglia, può comunque cambiarti: tutte le calzate sulla disciplina, la privazione del sonno ecc. Spesso mi sono trovato nel centro di qualche città, di notte e in congedo, a fermare automobili a posti di blocco immaginari…
La gente allora pensava che fossimo assassini di bambini, l’opinione pubblica era stanca dell’Irlanda del Nord e delle bombe. Il conflitto stava entrando nella sua terza decade, e a quel punto sentivo che a nessuno interessava sentire le mie storie, e ho dovuto reprimere quei sentimenti.

Ma ora sei contento di poterne parlare, vero?

Sì.

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