Anche se a lei non può fregare di meno della sua nazionalità, del suo genere e della musica che fa, la cultura occidentale non è ancora un luogo abbastanza inclusivo da impedirmi di definire Aristophanes—e trovare il valore di quello che fa—anche grazie alle sue origini. Mi spiego: per quanto le tendenze all’inclusione e all’ibridazione si stiano facendo sempre più dominanti all’interno di tutte le scene musicali mondiali, non è facile ritagliarsi una carriera nel mondo dello spettacolo se non rispondi a certi paradigmi di figaggine/etnicità ben definiti. Che poi non è un peccato essere in alcun modo, eh: ma il fatto che una ragazza di Taiwan che rappa nella sua lingua sia uscita dai macro-confini della sua cultura è ancora una cosa che ti fa dire, “Wow!”—e anche, “Perché non succedono più spesso cose simili?”
Se il mondo si è accorto di Aristophanes è soprattutto grazie a Grimes, che l’ha coinvolta nel suo ultimo album Art Angels: il loro pezzo assieme, “SCREAM”, è uno dei migliori del disco—su una base frenetica, linee minimali di chitarra distorta si alternano a grida lancinanti, Aristophanes rappa di sesso e sborra con una voce tanto dolce che sembrerebbe stesse cantando di alberelli e fiorellini: “Volevo registrare le tue urla mentre raggiungevi l’orgasmo / Ma poi ho capito di avere premuto il pulsante sbagliato / Il momento si era perso, irrecuperabile / Tu steso lì, a lottare con il fluido corporeo che stava diventando freddo / Appiccicoso, trasparente, fiori elastici nel palmo della mia mano / Non sono soddisfatta: voglio tirartene fuori ancora dal corpo.” E ora sta per arrivare a Milano, mercoledì 5 aprile al Circolo Magnolia, dopo aver partecipato qualche tempo fa al Festival Moderno.
“SCREAM” è stato il trampolino di lancio da cui Aristophanes è stata lanciata nel mezzo della conversazione musicale occidentale. Con noi ex-colonialisti finalmente sempre più attenti a rifiutare il concetto di world music come implicita affermazione di dominanza delle nostre tradizioni musicali, la musica di Aristophanes—strana, violenta, energetica, femminile, libera—perde ogni qualità esotica e parla direttamente alle nostre pance, travalicando il linguaggio e affidandosi semplicemente alla foga espressiva della sua autrice.
Il nuovo e secondo EP di Aristophanes si chiama Humans Become Machines e—mi racconta, come potete leggere più avanti—nasce da una storia di tortura e disumanità scritta da Kafka. La musica che accompagna il suo rap è gioiosamente apocalittica: rifugge la patina di perfezione del J-Pop e del K-Pop e si presenta imperfetta, rumorosa, vitale. Oltre al pubblico, c’è da dire, se ne stanno iniziando ad accorgere in tanti: Zane Lowe e Will Butler degli Arcade Fire, su tutti. Ho provato a farmi raccontare direttamente da lei come ci si sente al centro di questo improvviso turbinio di attenzioni, con una chiamata su Skype.
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Noisey: Leggendo altre tue interviste, ho visto che hai lavorato anche come insegnante.
Aristophanes: Sì! Ora non più però. Insegnavo scrittura creativa, ma ormai sono completamente concentrata sulla mia musica.
Perché è figo immaginarti come una professoressa che fa anche la rapper.
Sì, era molto figo! E devo dire che insegnare mi ha aiutata molto a scrivere, anche se lì si trattava di prosa e ora invece di testi. Mi è capitato di leggere mie cose ai miei studenti, e loro mi hanno aiutato a rendermi conto di come potevano essere percepiti i miei tentativi di esprimermi—e viceversa, dato che la mia creatività è valida come la loro.
Essendo nata a Taiwan, volevo chiederti che rapporto hai avuto con la cultura occidentale crescendo.
La cultura americana ha influenzato molto quella taiwanese, quindi per me non è stato molto difficile essere esposta alla cultura pop occidentale. Ma questo vale solo per la mia esperienza, dato che non avevo in casa né la TV né la radio prima che compissi vent’anni. Solitamente cominciamo da piccoli a essere esposti a prodotti culturali americani, ma la mia famiglia era un po’ diversa dal solito. Ho sempre letto tanto e non ho mai ascoltato fino a musica se non un po’ di pop cinese e taiwanese. Ma questo perché non avevo l’opportunità di farlo! Dopo vent’anni ho cominciato a esplorare, e ho cominciato a rappare dopo aver sentito una canzone di Soft Lipa, che qua è molto famoso.
Credo che debba essere strano e splendido allo stesso tempo, quindi, ritrovarsi lanciate in questo vortice di collaborazioni e tour mondiali.
Non direi che è troppo strano, in fondo è solo un’applicazione reale delle logiche di internet—che, per me, è stata la chiave. Lo uso fin da piccola, e per me è letteralmente un altro mondo, completamente staccato dalla mia realtà. E ci ho conosciuto così tante persone da così tante paesi che per me non è assurdo conoscerle realmente. È qualcosa di nuovo, ecco.
Non so il taiwanese e non ho trovato in giro traduzioni, quindi ti va di spiegarmi un pochetto il senso dei testi di Humans Become Machines? Trovo curioso il fatto che tu stia ottenendo attenzioni da tutto il mondo cantando nella tua lingua. È fantastico, ma al contempo mi lascia lì a voler capire quello che stai dicendo.
Ti parlerei di “人為機器 (Humans Become Machines)“, che mi ha prodotto Grimes. Quel pezzo nasce da un racconto breve di Kafka, Nella colonia penale. E parla di un ufficiale e un soldato che torturano con un macchinario un condannato, a cui viene tatuato sul corpo il comando militare che non ha rispettato con degli aghi che lo uccideranno in dodici ore. Non ti dico altro, ti consiglio di leggerlo. Quello che ho fatto è prenderlo come ispirazione per raccontare i miei sentimenti. Sto provando a mettere vere idee, veri sentimenti, esperienze di vita e i miei pensieri sull’umanità in situazioni strane e violente, racconti dell’orrore e di fantascienza. Voglio mostrare il rapporto contraddittorio tra realtà e immaginazione, e come si influenzano le une con le altre.
Recentemente sei stata da Zane Lowe, ospite del suo programma su Beats 1. Com’è stato incontrarlo?
Sì, sono passata da lui la scorsa estate. È stato super irreale, era la prima volta che lo incontravo e devo dire che è stato davvero gentilissimo. Ho anche fatto un freestyle, è stato fantastico.
Per te è fare freestyle è qualcosa di complesso? Perché il modo in cui rappi è molto energetico e impulsivo, quindi mi chiedevo quanto fosse spontaneo.
Direi di no, scrivere mi viene naturale, è una cosa che semplicemente so fare. Scrivo velocemente ma una volta ogni paio di giorni riprendo quello che ho scritto e ci rilavoro.
Stai anche tenendo una coerenza estetica nelle tue copertine, dato che quella di Humans Become Machines ha sopra la stessa ragazza di quella di No Rush to Leave Dreams, il tuo primo EP.
Sì, le ha fatte lo stesso artista. Quella ragazza è dolce, carina, ma anche aggressiva e strana. Rappresenta molto il modo in cui lavoro e mi vedo. Non sono sicura se resterà con me per tutta la mia carriera, ma sono molto felice di quello che rappresenta.
Ti va di raccontarmi l’origine di “SCREAM,” il pezzo che hai fatto con Grimes?
Anni fa, quando Claire era ancora agli inizi, mi scrisse e mi mandò il beat di quel pezzo. Mi piacque subitissimo e cominciai a lavorarci. Ma non c’è stato niente di speciale per me, ho semplicemente scritto quello che sentivo. Il fascino per la violenza e l’amore difficile di cui parlo nel testo è solo espressione del mio modo di relazionarmi al mondo, tutto qua.
Hai anche un pezzo con Will Butler degli Arcade Fire, tra l’altro: “3001: A Space Disco.”
Sì! Will aveva scritto una recensione di Art Angels per The Talkhouse, e “SCREAM” era il suo pezzo preferito Quindi mi ha contattato e ci siamo incontrati in studio. È stato davvero figo. E mi fa davvero piacere avere la possibilità di collaborare con artisti di ogni genere, e non solo di essere considerata una rapper. Perché sto solo provando a trovare un modo di comunicare il mio mondo, non mi importa davvero nient’altro.
Aristophanes suonerà al Circolo Magnolia di Milano mercoledì 3 maggio. Andateci!
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