Il cibo italiano fa gola, soprattutto all’estero. Talmente tanto che negli ultimi 30 anni una numerosa serie di marchi alimentari italiani sono passati sotto capitali stranieri.
Scandalo, direte voi. E invece no, perché i dati e le statistiche raccontano una crescita e un’espansione dei vari prodotti acquisiti ed esportati, ben oltre i confini pensabili, con relativa impennata del fatturato delle aziende. Specialmente, se gli stabilimenti produttivi rimangono nel nostro Paese, mantenendo di fatto la nostra mano. Due dati: negli ultimi 30 anni il numero d’occupati sotto capitali esteri è cresciuto da 100mila a oltre 400mila impiegati. I ricavi legati all’export sono quintuplicati, da 2 a 10 miliardi.
Videos by VICE
L’elenco è lungo: Parmalat, Garofalo, Saiwa, Star, Carapelli, Peroni… Ce n’è per tutti i gusti, dalla pasta al gelato, passando per la birra. Nel 2013, la stessa sorte aveva toccato Pernigotti, lo storico marchio dolciario piemontese, passato alla compagnia turca Toksöz Group. Ma la sua delizia cioccolatosa più famosa, il gianduiotto, sembrava essere rimasto uguale, nonostante non fosse chiaro da dove arrivassero le nocciole per la produzione.
Lo storico stabilimento produttivo ha continuato a confezionare dolci fino a pochi giorni fa. Sì, perché ieri Novi Ligure ha ufficialmente detto addio alla sua fabbrica di cioccolato con oltre 150 anni di attività. La notizia è arrivata ieri in occasione dell’incontro in Confindustria Alessandria. E, manco a dirlo, la città ha manifestato il suo dissenso.
Una storia imprenditoriale iniziata con Stefano Pernigotti, fondatore della drogheria che apre nel 1860 in piazza del Mercato, conquistando il pubblico con torroni e dolciumi, prima della nascita ufficiale della società, datata 1868. La «Stefano Pernigotti & Figlio”» azienda alimentare specializzata in produzione dolciaria.
La fabbrica di viale Rimembranza ha rappresentato l’opportunità lavorativa per generazioni di novesi, è stata una parte fondante della crescita industriale di Novi, dal 1860 a oggi. Ha accompagnato la storia dell’Italia. E ora viene trasferita in Turchia. Rimane il marchio, il nome, magra consolazione.
Il risvolto davvero negativo della faccenda è ovviamente il licenziamento di un centinaio di dipendenti, conseguenza dello smantellamento dell’azienda. La metà, praticamente, dei 200 impiegati totali, una cinquantina in produzione e 150 fra amministrazione e vendita. La decisione sembra irremovibile, anche se per oggi, come riporta La Stampa, è previsto un presidio dei sindacati davanti alla storica sede, oltre a un incontro con il sindaco Rocchino Mliere .
Gli argomenti, contro la chiusura dell’azienda, sostenuti dai sindacati sono essenzialmente due: in primis, il calo di vendite, specialmente nella linea di preparati per gelato, sfociato nel deficit di 13 milioni degli ultimi anni, che non dipende dallo stabilimento italiano. Seguito dal fatto che tante produzioni erano già state trasferite all’estero. Ma la compagnia turca pare non abbia voluto sentire ragioni.
Probabilmente non ci dovremo preoccupare per le sorti del gianduiotto, perché la ricetta è codificata e standardizzata da decenni – ricordiamo che è un prodotto industriale e non artigianale -, ma dovremmo concentrarci e riflettere sulla nostra incapacità di promuovere, amministrare e vendere un brand, dopo averlo creato.
Insomma è intelligente, ma non si applica, come direbbero a scuola.
Segui MUNCHIES su Facebook e Instagram
Vuoi restare sempre aggiornato sulle cose più belle pubblicate da MUNCHIES e gli altri canali? Iscriviti alla nostra newsletter settimanali.