Il maltempo nel nord-ovest dell’Italia ha nuovamente mostrato le conseguenze di anni di cementificazione e di cattiva gestione dei corsi d’acqua, conseguenze aggravate da fenomeni atmosferici sempre più estremi causati dal cambiamento climatico. Intanto, l’Italia è ancora il leader europeo per consumo pro capite di acqua minerale in bottiglia, anche se la qualità dell’acqua dei nostri rubinetti ci permetterebbe nella maggior parte dei casi di farne a meno. Insomma, sembra proprio che non abbiamo un buon rapporto con l’acqua.
Questo difficile rapporto è stato investigato da Claudia Carotenuto e Daniele Giustozzi in Controcorrente – Lo stato dell’acqua in Italia—un documentario finanziato tramite crowdfunding e girato in trenta giorni di viaggio attraverso la penisola, la Sicilia e la Sardegna. Si va dal Veneto con l’inquinamento della falda acquifera a opera della società chimica Miteni e la lotta di Venezia per non scomparire, alla gestione dell’acqua nella comunità della Valle della Luna in Sardegna, dalle spiagge di carbonati prodotti e scaricati dalla multinazionale Solvay di Rosignano (Toscana) a, appunto, il dissesto idrogeologico—dovuto anche al tentativo di costringere i fiumi in letti e percorsi impropri—in Liguria. A un certo punto, Carotenuto e Giustozzi visitano i pozzi sacri nuragici della Sardegna, un’eredità dell’Età del Bronzo che ci fa capire l’importanza data all’acqua quando non era considerata una banale risorsa che arriva in casa attraverso il rubinetto—in quantità infinita da chissà dove—per scomparire—sempre verso chissà dove—attraverso lo scarico.
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Sabato 10 ottobre, Carotenuto e Giustozzi saranno ospiti di TEDxRoma per una tavola rotonda di TED Countdown, iniziativa globale dedicata alle possibili soluzioni per il cambiamento climatico. Per questa occasione, Motherboard li ha contattati su Skype per parlare del loro documentario, di cosa non vada nella gestione dell’acqua in Italia e delle possibili soluzioni.
MOTHERBOARD: Ciao Claudia e Daniele. Mi raccontate come vi siete conosciuti e come è nata l’idea di Controcorrente?
Claudia Carotenuto: Io sono una giornalista e un’autrice televisiva. Ho 27 anni, ne avevo 25 quando abbiamo scritto e girato Controcorrente.
Ho conosciuto Daniele a Torino tramite amici in comune, romani espatriati a Torino per studiare. Il documentario è nato perché ci trovavamo spesso a discutere del cambiamento climatico, io chiedevo a Daniele di farmi vedere i suoi libri di testo o paper scientifici (Daniele all’epoca studiava Economia dell’ambiente), ma ammetto che avevo difficoltà a capirli.
Ci è venuta l’idea di fare un prodotto che fosse fruibile anche da chi come me aveva difficile accesso a un fenomeno complicato, a dati scientifici, a terminologie tecniche. Io ho curato la parte più documentaristica e sociale, mentre per la parte più scientifica avevo bisogno di un supporto e per questo ho chiesto a Daniele.
Daniele Giustozzi: Io ho fatto Scienze politiche alla triennale a Roma (siamo tutti e due di Roma), poi mi sono trasferito a Torino e ho fatto la magistrale in Economia dell’ambiente, della cultura e del territorio. Era tutta improntata all’emergenza climatica in corso, anche dal punto di vista delle risposte sia locali sia globali. Parlando con Claudia abbiamo deciso di creare un progetto che parlasse dell’emergenza climatica, perché allora non era ancora discussa quotidianamente e nella nostra generazione come è iniziato a succedere qualche mese dopo con #FridaysForFuture (noi siamo partiti con il documentario ad agosto 2018).
Nel documentario affrontate la questione dell’acqua in Italia da molti punti di vista, vi siete fatti un’idea di quale sia, complessivamente, il nostro problema con l’acqua?
Giustozzi: Potresti pensare che quelle che affrontiamo siano tutte tematiche completamente scollegate. Ma attraverso l’elemento che abbiamo scelto, l’acqua, riesci ad avere la fotografia della gestione di uno Stato, in tutte le sue sfaccettature. Sono undici tappe, e ogni tappa si occupa di un aspetto diverso: sociale, politico, economico, finanziario, culturale, religioso… Ci sono tutte le declinazioni di come uno Stato può affrontare le proprie emergenze e la propria quotidianità.
Quindi per voi è un problema amministrativo?
Giustozzi: Dal punto di vista gestionale e amministrativo sicuramente noi scontiamo dei problemi che sono ormai storici. A Corleone l’avvocato di Legambiente Giuseppe Alfieri ci ha spiegato che noi paghiamo multe per ogni semestre di ritardo nella costruzione degli impianti di depurazione. Non è che la Commissione Europea un giorno si è svegliata e ci ha detto che dovevamo pagare 30 milioni ogni sei mesi perché non abbiamo i depuratori: dieci anni prima è stato evidenziato il problema e ci è stato chiesto di metterci in linea con le direttive europee, ma non abbiamo usato quei dieci anni per metterci in regola e ora ci sono le sanzioni. Oppure, ogni dieci litri di acqua che dovrebbero arrivarti in casa 4 si perdono nel tragitto, e questo è un problema di gestione sul lungo periodo. Però non è qualcosa che puoi spendere elettoralmente perché è un processo che necessita di 10-15 anni e oggi la politica progetta giorno per giorno.
Carotenuto: Io sono d’accordo con il discorso di Daniele, ma ci siamo resi conto che un’amministrazione se non ha una coscienza ambientale abbastanza radicata non prenderà queste decisioni. Abbiamo incontrato persone diversissime tra loro per età, estrazione sociale e genere—dagli eremiti della Valle della Luna ai ricercatori—ma in tutte c’era un forte senso civico—perché avere coscienza ambientale vuol dire avere senso civico—ed è una cosa che prescinde dal ruolo politico, è un problema educativo.
Giustozzi: C’è necessariamente un problema culturale se non stai riuscendo a dare il giusto peso a ciò che fa parte del tuo pianeta. Quest’anno, finalmente, dovrebbero essere reintrodotte una trentina di ore di educazione civica dedicate anche alla sostenibilità in tutte le scuole primarie e secondarie, e sono sicuro che questo aumenterà la coscienza ambientale. Certo, bisognerà vedere chi saranno i professori che terranno queste lezioni: non per forza un professore di scienze conosce i cambiamenti climatici. Per assurdo, tante tematiche saranno tirate fuori più dagli studenti che dai professori.
Carotenuto: Andrebbero educati più gli adulti che i ragazzi delle scuole. Noi abbiamo fatto tantissime proiezioni con i ragazzi delle scuole medie e dei licei e sollevano loro alcuni problemi, hanno già una certa sensibilità. Paradossalmente andrebbe fatto un corso di educazione ambientale ai genitori, speriamo che dopo aver seguito i corsi nelle scuole i ragazzi tornino a casa e siano loro gli insegnanti dei genitori.
Ma oltre alla questione amministrativa ed educativa, esiste un problema nel modello di sviluppo?
Giustozzi: Certo, pretendere che sia possibile una crescita infinita su un pianeta finito non ha alcun senso. In un modello di sviluppo in cui sei obbligato a estrarre sempre materie prime, a produrre continuamente pressione antropica sul pianeta, ti scontri con la mancanza di alcune risorse, con la fine di altre, con i conflitti che cominciano a generarsi. Una delle possibili letture del conflitto siriano lo collega all’emergenza climatica: quando in uno Stato scarsamente democratico per anni la popolazione subisce cambiamenti nell’andamento delle piogge e quindi della produzione agricola ecco che si sviluppano questi conflitti. Per questo io mi sono spostato da Cooperazione internazionale a Economia ambientale: tutti i conflitti che studiavo in Africa e Asia potevano essere riletti in chiave ecologica come nati dalla finitezza delle risorse.
Prendiamo il land grabbing come esempio di cosa facciamo per continuare un modello di sviluppo che ormai ha fallito: il governo cinese va a parlare con il governo della Nigeria e prende un pezzo di terreno per magari i successivi trent’anni, in cambio di denaro, in spregio alle comunità, alle etnie alle popolazioni che ci vivono o che magari reputano sacra quella zona. Su quel terreno vengono costruite colture e allevamenti intensivi per produrre quanto serve alla madrepatria, dove viene trasportata poi la produzione.
La diminuzione dell’estensione del lago Chad è un esempio tipico: intorno al lago in dieci anni hanno costruito aziende di produzione del cotone, che necessitano di molta acqua, per fabbricare magliette da portare in Cina (passando per il Bangladesh) e da spedire poi in tutto il mondo. La maglietta che paghi tre euro ha viaggiato più di quanto farai tu in tutta la tua vita. Noi oggi possiamo quantificare le risorse che vengono sottratte dai Paesi del Terzo Mondo: l’Africa è un continente ricchissimo di acqua e basterebbe per tutti, invece viene sottratta e il prodotto della sua sottrazione è trasferito altrove.
Carotenuto: Il nostro documentario è a impatto zero, ma è a impatto zero perché ne abbiamo compensato le emissioni. L’industria cinematografica è altamente impattante, soprattutto nelle fasi di post-produzione. Daniele insieme a due colleghi dell’università ha calcolato la carbon footprint del documentario, cioè le emissioni di CO2 che abbiamo causato dalla pre alla post-produzione, dalla prima email che ci siamo mandati per discutere i contenuti alla lampadina nello studio del montatore. Il calcolo è sul sito in un PDF che si può scaricare—lo abbiamo messo nella speranza che altre produzioni ci imitino. Sono circa due tonnellate e mezzo di CO2, per compensarle serviva piantare una sessantina di alberi e grazie alla regione Piemonte e al comune di Fontanetto Po (Vercelli) abbiamo piantato un bosco di quasi 200 piante, per compensare le nostre emissioni e creare un credito positivo.
TED Countdown vuole proporre soluzioni alla crisi climatica, quali sono le vostre?
Claudia Carotenuto: Secondo me l’idea che l’impatto del singolo sia trascurabile nel sistema globale è vero solo in parte. Mi sento dire spesso che “alla fine che vuoi che cambi?” ma il singolo ha un potere enorme: ha il potere di decidere cosa acquistare, e la totalità delle scelte quotidiane influisce sul sistema, anche senza che ci sia un cambiamento a livello amministrativo. Le scelte politiche non sono solo quelle dei politici: le nostre scelte quotidiane sono scelte politiche. Il singolo può capire cosa c’è dietro il singolo fenomeno, iniziare a collegare fenomeni diversi tra loro come abbiamo fatto noi con il documentario: l’aumento del livello del mare è collegato al cedimento dei ghiacciai, alla mancanza di pesce nel Mediterraneo…
Daniele Giustozzi: È molto difficile dare soluzioni locali, perché stiamo combattendo un fenomeno che non conosce confini (come non dovremmo conoscerli noi probabilmente ma questa è un’altra storia). Ma se vogliamo restare in Italia, se vogliamo avere risposte dalle nuove generazioni che hanno maturato conoscenze e competenze allora dovremmo avere un piano di ricerca. La settimana scorsa ho visto i dati sulle ERC Starting Grant—le borse di studio per giovani ricercatori date dall’Unione Europea: su più di 400, 53 le hanno vinte italiani—siamo al secondo posto—ma solo 20 verranno finanziate in Italia perché le altre 33 sono di cervelli in fuga.
Ecco, quello che va fatto è dare il Paese in mano ai giovani, trovare un modo per far tornare i giovani ricercatori e per far restare quelli che abbiamo. In Italia arrivi a 36-40 anni e non sei ancora di ruolo nel sistema universitario: date una sostenibilità economica a noi giovani ricercatori e vi daremo una sostenibilità climatica.
Per sapere dove sarà proiettato prossimamente il documentario Controcorrente – Lo stato dell’acqua in Italia e sostenere il progetto, vai qui.
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