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Kina è il musicista campano più famoso del mondo, anche se non lo conosci

2019-11-18 11

Kina era a casa sua ad Acerra con i suoi amici a giocare all’Xbox quando ha visto una notifica comparire sul suo telefono. “Ho l’abitudine di tenerlo sempre di fronte”, dice. “Era Gmail, vado e leggo ‘Columbia Records’. Mi dico, ‘Ma potrà mai essere la Columbia Records?’”

Sì, era davvero la Columbia Records. Il giorno dopo, sempre con una mail, erano arrivate anche Atlantic, Island ed Elektra. Tutte le grandi major americane avevano mandato una mail a un ragazzo di 18 anni nato e cresciuto in una cittadina in provincia di Napoli dimenticata dal mondo. È che aveva fatto una canzone che si chiama “Get You The Moon”.

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Kina era a casa sua ad Acerra con i suoi amici a giocare all’Xbox quando ha visto una notifica comparire sul suo telefono. Era la Columbia Records.

Al momento quel pezzo ha 160 milioni di views su YouTube e 294 milioni di riproduzioni su Spotify. È un pezzo lento e semplice: tre note di chitarra tutte malinconiche, un finto crack di vinile, un beat chill, una melodia vocale dolce, un testo pieno d’amore: “Sei il motivo per cui continuo a tenere duro / Sei il motivo per cui la mia testa è ancora sopra la superficie dell’acqua.”

“Quando mi hanno chiamato aveva 20 milioni di play su Spotify”, mi spiega Kina. “Io non l’avevo mai mandata a nessun editor, ma da quando l’hanno messa nelle playlist è cominciato il casino.”

kina get you the moon

Acerra, il luogo dove è nato, è una delle punte del “Triangolo della morte”—che non è una descrizione sensazionalistica ma il termine usato da una rivista scientifica per descrivere un’area vicino a Napoli dove la gente prende il cancro con molta facilità. È più o meno da trent’anni che da quelle parti la camorra seppellisce o dà fuoco illegalmente a rifiuti tossici, copertoni e cavi elettrici. La chiamano “la terra dei fuochi”. “È un problema che ci affligge da troppo tempo e a cui non sembra esserci soluzione”, spiega Kina, che lì è nato nel 1999.

“Sembra brutto dirlo, ma almeno crescere lì ti fa iniziare a pensare di dover fare qualcosa per andartene. È un posto dove si muore.” La sua infanzia non è molto diversa da quella di centinaia di altri ragazzi della sua generazione: esce con gli amici, gioca a calcio, va alle feste di paese con “il concertino dell’Anna Tatangelo di turno. Però il comune sta riuscendo a fare manovre per aiutare la cultura e l’intrattenimento. Sono molto contento, la situazione sta cambiando. Le persone stanno aprendo gli occhi.”

“Sembra brutto dirlo, ma almeno crescere lì ti fa iniziare a pensare di dover fare qualcosa per andartene. È un posto dove si muore.”

A tirarlo fuori dalla musica neomelodica è stata la radio. Aveva sette, otto anni e sentì uno speaker di M2O parlare di produzione musicale (“Molella, se ricordo bene”). Gli piaceva stare al computer, voleva diventare programmatore, e quindi l’idea di fare musica senza dover toccare uno strumento gli accese qualcosa dentro—” quando ho cominciato a fare musica, in paese eravamo in cinque su sessantamila a sapere di cosa si trattava quando si parlava di kick e snare”, spiega.

Le prime cose che ascolta e prova a rifare su FL Studio (“È molto intuitivo, soprattutto per fare trap”) sono electro house e progressive house. Segue i tutorial su YouTube e impara, e stando tanto al computer impara anche l’inglese. Si apre un profilo SoundCloud e comincia a caricarci i primi pezzi.

“Fare electro house richiede un maggior lavoro rispetto a quello che faccio oggi,” racconta, “ci sono tantissime automazioni, tantissima melodica. Ma ho imparato tantissime cose che oggi mi tornano molto utili. Solo che quei progetti, a cui pensavo seriamente, raggiungevano in media 500 ascolti a traccia. Dopo svariate tracce, andate tutte male, ho deciso di chiuderli.”

kina get you the moon

Un altro motivo per il cambio di rotta, mi dice, è un momento di difficoltà nei suoi rapporti personali. È un particolare minore della sua vita su cui mi chiede di non andare nel dettaglio, ma dice qualcosa sul motivo per cui la sua musica suona come suona, e del perché chi ha vent’anni oggi ascolta un certo tipo di cose.

L’idea dei traditori, degli invidiosi, degli hater—di chi giudica, insomma—pervade il rap anche perché poi da lì trova fessure della realtà in cui infilarsi. In assenza di amore, quando ti tiri su le calze perché hai paura che arrivino le serpi a morderti le caviglie, che cosa resta? Il freddo del cloud rap, il gelo della monotonia alla Drake, la violenza della trap. Oppure, dall’altro lato dello spettro, il calore confortevole di un beat rilassante e malinconico.

Ecco, Kina fa entrambe le cose. Il nome lo sceglie perché glielo suggerisce un amico, vuole fare dei type beat trap perché ha scoperto A$AP Rocky e Travis Scott e li ascolta “facendo viaggi mentali”. È il 2017, ma prima di appassionarsi alla scena italiana guarda agli Stati Uniti. E poi arriva un periodo particolare della sua vita.

“Sai la sensazione di stare facendo quello che non vuoi fare? Non avevo creato Kina per quello.”

“Sai la sensazione di stare facendo quello che non vuoi fare? Non avevo creato Kina per quello”, spiega. “Lì ho deciso che la situazione doveva cambiare. Dovevo dare passione e basta, non me ne fregava nulla di ricevere feedback, volevo sfogarmi. Quindi ho cominciato a pubblicare le tracce Kina Mood.” Le chiama così, le cose che fa.

Quando gli chiedo da dove viene la malinconia che pervade la sua musica, lui si chiude. “Sono successe un paio di cose esterne alla musica che mi hanno fatto sentire così. Cose private però.” E ci sta di non andare a scavare troppo, perché Kina è in fondo un modello di musicista in bilico tra fama e anonimato. Quello del lo-fi hip-hop, semplificando, anche se non è quello che lui sente di stare facendo.

Fatto sta, che le sue produzioni si fanno sempre più tristi. E un giorno incappa in shiloh dynasty, una ragazza che ha avuto un’influenza tanto involontaria quanto enorme sul suono della musica contemporanea—e si è spaventata, ed è scomparsa, e si merita una piccola digressione.

kina get you the moon

Shiloh non faceva altro che mettere su Vine, Instagram, Twitter e Facebook dei brevi video di lei che cantava, voce e chitarra. Non si faceva vedere in faccia, aveva il velluto in gola e cantava di amori andati che andavano piuttosto male. Strofette interrotte, quindici secondi, pillole dolci.

Quei video e quei pezzi non sono da nessuna parte. Non sono su una piattaforma di streaming, su un sito, in un disco—esistono per la piattaforma in cui sono stati caricati, proprio come gli articoli di musica oggi. E se per quelli più vecchi di Kina sarebbero solo “post su Instagram”, per quelli della sua generazione invece sono la cosa. La canzone, l’articolo.

Cose piccole e tristi, fruibili e istantanee. Un post con scritto “Non sono un’immagine, sono un’emozione” e centinaia di migliaia di like, commenti, ascolti. A farli erano anche ragazzi e ragazze che producevano lo-fi hip-hop, e cominciarono a campionarla. Un giorno uno di quelli, potsu, diede un beat con la voce di Shiloh a XXXTentacion, cioè il rapper più famoso della sua generazione.

Quello che venne fuori, “Jocelyn Flores“, sarebbe potuto essere l’inizio della carriera di Shiloh. Un pezzo assurdamente famoso, simbolo di un nuovo modo di fare rap per pubblici enormi—ibrido, triste, distorto, strambo. E invece lei decise di scomparire. È da quattro anni che non posta più niente.

A tenere vivo il suo nome è una generazione di producer che hanno reso la sua voce la colonna portante dei loro beat, ascoltati milioni e milioni di volte. Tra loro c’è anche Kina, che con la voce di Shiloh ci ha fatto il suo primo pezzo, “Nobody Cares.” La trovò in una compilation di Vine caricata su YouTube e, come tanti altri ragazzi come lui, ci fece una canzone. “Non me lo posso mai dimenticare,” mi dice, “Per me è la colonna portante di Kina.”

E, sempre come tanti, Kina carica il pezzo su SoundCloud e lo manda a canali YouTube che funzionano da megafono per brani come i suoi. Uno, the bootleg boy, gli risponde che l’avrebbe postata. “E non si inizia a capire più nulla,” ricorda Kina. “Quel canale postava ogni giorno un video con una traccia, quando arrivò ‘Nobody Cares’ fece in tre giorni più views di un video che aveva postato una settimana prima. Cominciai a fare altre tracce, le mandavo a lui, le caricava e le promuoveva.”

TheBootlegBoy continua a caricare i pezzi di Kina, e pian piano ne arrivano altri a bussare alla sua porta: nourish. e ChilledCow, il canale celebre per lo stream lofi hip hop radio – beats to relax/study to. “Facevo tutto con sample che mettevo in loop, magari mi partiva una traccia in shuffle su Spotify e li prendevo da lì” spiega Kina. “Non facevo musica a scopo. dilucro, quindi per me era come fare un mixtape.” Sa che lavorare con i sample è “potente” per un produttore, è “una cosa che non va sottovalutata.” Cita un’intervista di !LLMIND da cui ha capito che “ci vuole abilità a crearti un’identità con suoni non tuoi.”

“Spotify si è accorto di ‘Get You The Moon’ e ha iniziato a metterla in playlist. Là è successo il casino. Quando mi ha contattato Columbia era a 20 milioni.”

E poi arriva il pezzo che cambia tutto, “Get You The Moon”. La canta un ragazzo americano, Snøw, che Kina ha conosciuto “su Instagram a caso. Avevo trovato delle sue cover su YouTube e gli avevo chiesto di lavorare insieme. Sulle lyrics ha fatto tutto lui, anche se abbiamo lavorato insieme.” Allora non sapeva che insieme a lui avrebbe fatto un disco d’oro e cominciato una nuova vita.

Ragionare sul successo di “Get You The Moon” è come chiedersi perché certa arte contemporanea sia famosa e altra no. Perché un quadro tutto bianco della persona x è famosa e quello tutto rosso della persona y no? Perché uno ha qualcosa e l’altro no. “L’ho fatta normalmente”, dice Kina quando gli chiedo se ha mai pensato al motivo per cui quel pezzo ha cominciato da subito a fare milioni di views.

“Me lo sono sempre chiesto, però la risposta non la so,” mi dice. “Io ho fatto una cosa da semplice beatmaker, mandare una traccia a un canale.” La traccia comincia a salire, e lui la mette su Spotify da solo. “Io non ho mai mandato la traccia a nessun editor, andava da sola grazie al flusso di canali YouTube che la pubblicavano. Poi Spotify se n’è accorto e ha iniziato a metterla in playlist. Là è successo il casino. Quando mi ha contattato Columbia era a 20 milioni.”

kina get you the moon
L’artwork di “Get You The Moon” di Kina, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

E qua torniamo a quella partita all’XBox e a quel messaggio. “Stacco tutto, mi prendo qualche ora per riflettere a quello che stava succedendo in quel momento. Poi il giorno dopo, oltre a Columbia, mi contatta Atlantic Records. E poi Island Records. E poi Elektra Records. Mi sono trovato in un loop, sono arrivate tutte le major.”

Kina mi dice di avere parlato con tutte, organizzando delle call completamente da solo. I suoi genitori non avevano idea di quello che gli stava succedendo: “I miei sono una famiglia nata da contadini, come molte altre ad Acerra. Mio padre in quel periodo aveva perso il lavoro, mia madre faceva la casalinga. Io gli vado a dire questa cosa e loro non capiscono… come gli fai a spiegare che ti vuole un’etichetta?”

Chiedo a Kina se è stato difficile quindi, scegliere a chi affidare la sua musica. Lui sembra invece piuttosto sicuro di sé: “A diciott’anni comunque le major le conosci. Mentre sentivo gli americani volevo capire che progetti avevano in testa. Sono andato a vedere i loro roster, e Columbia ha degli artisti che per me erano il top del top. Pharrell, Harry Styles… nomi che ti saltano all’occhio.”

“Mio padre in quel periodo aveva perso il lavoro, mia madre faceva la casalinga. Io gli vado a dire questa cosa e loro non capiscono… come gli fai a spiegare che ti vuole un’etichetta?”

A convincere Kina è stato anche il rapporto con una A&R, Maria: “Avevamo le stesse idee. Non volevamo un contratto che si basasse solo su ‘Get You The Moon’, ma che mi facesse diventare un artista Columbia a tutti gli effetti.” Mi parla dell’aiuto morale e pratico ricevuto da suo cognato, sua sorella, un suo amico di scuola. E poi da Paola Zukar, che diventa la sua manager—”Una manna dal cielo”, la descrive.

“Ci siamo incrociati grazie a una conoscenza comune, e non appena ha sentito la mia storia e la mia musica… sappiamo quello che ha fatto per il rap in Italia”, continua. “Le piacciono le nuove avventure. Sarebbe bello facesse la stessa cosa con la musica chill, lo-fi. Trovare ‘sta big picture.” Insieme a lei, e alla sua famiglia, Kina è poi andato a toccare con mano quello che aveva creato. È andato a New York a firmare il suo contratto e lavorare in uno studio.

“Mi hanno fatto firmare alla parete, ho firmato sotto Russ. Una firma proprio bruttissima”, scherza. Ha passato una settimana in studio a lavorare con artisti americani, “ad apprendere il loro modo di lavoro,” spiega. “Sono molto collaborativi, vogliono uscire dalla stanza con le hit chiuse. Nessuno voleva fare tutto da solo. Ho conosciuto questo ragazzo, Doc Daniel, che fa le basi a Pink Sweat$. Ho lavorato con Jenna Andrews, che scrive i testi a Noah Cyrus.”

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Ha avuto anche un po’ di paura, Kina, che prima di allora non aveva mai collaborato di persona con professionisti. Anche la ragazza con cui ha scritto la sua ultima hit, “Can We Kiss Forever?“, è una ragazza spagnola conosciuta su Instagram. Uscita dopo “Get You The Moon”, inizialmente sembrava non riuscire a ripeterne il successo: “Non ha spaccato, aveva circa 30 milioni”, racconta Kina, “e poi è arrivato TikTok.

Il ruolo di TikTok nel creare successi è ormai appurato—chiedere a Lil Nas X, o per restare nel nostro paese ad Anna—e nel caso di Kina, ha preso forma delle mani di una coppia che fanno un cuore, e poi si allontanano piano piano mentre la voce di Adriana, tutta modificata, canta una malinconia senza parole. C’è una compilation di challenge così con 4,5 milioni di views, per intenderci.

Questo dice, come già era chiaro dal 2016, che la nostra è un’era di musica triste e confortevole, anestetizzante. È il “pop pivot to melancholy”, come lo ha descritto Cat Zhang di Pitchfork. E che di fronte a numeri come quelli di Kina, le major hanno cominciato a cercare di capitalizzare il movimento sentimentale che spinge migliaia di ragazzi e ragazze come lui a fare beat scuri, a campionare chitarre, a pitcharsi la voce.

“All’inizio eravamo una nicchia, ma una volta che arrivano certi numeri è impossibile ignorarci.”

“All’inizio eravamo una nicchia, ma una volta che arrivano certi numeri è impossibile ignorarci”, dice Kina. “Ti stai comprando una fetta del mercato, un movimento che non combacia con i generi che vanno adesso. Solo ora si stanno iniziando ad unire, rapper che basano su basi lo-fi. Pensa a powfu, l’ultimo firmato da Columbia. La sua ‘death bed‘ sta andando benissimo.”

Ed è un esempio perfetto: un rapper americano che usa un beat che campiona un pezzo acustico tenerello di una ragazza londinese diventato virale. E ora, entrambi sono musicisti firmati. Basta navigare tra le loro pagine Spotify, interconnesse dai featuring e dai consigli della piattaforma, per rendersi conto di quanti nomi che il grande pubblico non conosce stia facendo dei numeri clamorosi.

Perché in fondo il bello sta proprio nelle opportunità che questi ragazzi e ragazze si trovano in mano. Fanno una cosetta in camera, diventano enormi. Si possono trasferire a Lisbona, prendersi un appartamento e fare le ore piccole a produrre—come Kina. “Ho scelto di andare via di casa, di venire qua per crescere come artista e come persona. E poi qua, dato che produco principalmente di notte, non disturbo la zia o il vicino.”

Elia è su Instagram.

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