‘La casa di carta’ è bruttissimo, smettetela subito

la casa di carta

In occasione dell’uscita della quarta stagione de La casa di carta, riproponiamo questo articolo, ancora molto valido.

La casa di carta è una serie spagnola (in originale La casa de papel), in questo momento in onda su Netflix, che sta accumulando risultati abbastanza pazzeschi. A pochissimo dall’inizio della sua programmazione è diventata, pare, la serie non in inglese più vista di sempre sulla piattaforma, ha guadagnato moltissimi premi ed è controversa al punto che le autorità turche l’avrebbero accusata di incitare le masse alla rivolta.

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Anche qui in Italia sta avendo un successo da cui sembra impossibile scappare, visto che qualsiasi social da me frequentato esplode di OMIODDIOGUARDATELACASADEPAPELLASERIEPIÙBELLADISEMPRE. Ci sono tuttavia dei dettagli che mi hanno insospettito subito, come ad esempio i sostenitori vip della serie.

Tra cui Giuseppe Civati:

O il cinefilo Andrea Scanzi, che la accosta a titoli ricercatissimi che non sono in rotazione su Sky da secoli e che includono una roba matta e sconosciutissima come CSI Las Vegas:

Pareri vip a parte, ci sono altre cose che non mi convincono—ma procediamo con calma, partendo dalla trama. Non voglio fare spoiler su uno show che vive unicamente di trama serrata e colpi di scena, però possiamo di sicuro dire che le premesse drammaturgiche da cui parte si fondano su una rapina alla zecca spagnola. C’è un team di rapinatori che “non hanno niente da perdere,” messo insieme da un tipo enigmatico noto come Il Professore.

Il piano è fare una rapina senza derubare nessuno, cioè far stampare alla zecca una quantità enorme di denaro e portarsela via. Già dalle premesse c’è una evidente volontà piaciona, che verrà sottolineata di continuo con ammiccamenti gentisti anti-sistema (“c’è chi lavora tutta la vita per guadagnare sempre una miseria e chi rischia grosso una volta sola”).

La serie si apre su una dei protagonisti, Tokyo, costruita su una serie di luoghi comuni che sarei onestamente disposta a concedere solo a Simona Ventura in fuga dall’FBI, e che sarà anche la voce narrante—una voce narrante da donna DURA e vissuta, ma anche tremendamente logorroica, che sta lì a farsi domande e a darsi risposte mentre tu cerchi disperatamente di guardare cosa stia accadendo sullo schermo. E quella di capire cosa accade non è nemmeno una necessità del tutto scontata, visto che alcuni passaggi abbastanza fondamentali della storia vengono allegramente dati per scontati. Ad esempio, subito dopo aver appreso che Tokyo è una ricercata in fuga e che sta per cadere in un’imboscata tesale dalla polizia a casa della madre, incontriamo il sopracitato Professore. Che si avvicina semplicemente su una macchina mentre Tokyo imbacuccata cammina per strada e le fa capire di conoscere la sua storia, citandole pezzi della conversazione telefonica che lei ha appena avuto con la madre. Tokyo, come avrebbe fatto qualsiasi fuggitivo la cui foto “tappezza le caserme di tutta la Spagna,” si fida e sale in macchina.

Non fa domande all’uomo su come conosca certi dettagli, in compenso dopo poco gli punta una pistola addosso senza alcun motivo. “È così che ho conosciuto il Professore, puntandogli una pistola alle palle ,” si compiace la voce narrante poco dopo e tu pensi, ok grazie per avermi descritto quello che ho appena visto, adesso possiamo tornare alla trama? Ma no, perché mentre fondamentali cose continuano ad accadere la voce narrante deve continuare a pontificare “è questo il bello delle relazioni, che ti dimentichi come sono iniziate.”

Detto ciò, perlomeno la presenza del voice over aiuta a distrarsi da battute talmente fiacche e mezze razziste che richiedono delle spiegazioni:

“L’unico vantaggio di fare da mangiare ai cinesi è che poi non devi lavare i piatti,” la butta lì il Professore.
“In effetti mi sono ricordata della mia avversione per la gente che sputa,” risponde Tokyo.
Ancora poco chiara? Ecco un aiuto sul sottotesto: i cacariso sono maleducati e quando mangiano sputano! Ehehehe.

Nella scena seguente c’è, direttamente dagli anni Ottanta, una camminata collettiva della squadra dei rapinatori, ma è solo una supposizione a questo punto della visione, dato che non c’è stato alcun tipo di presentazione prima e a livello logico questa scena è del tutto ingiustificata.

Per fortuna si rimedia presto quando, molto realisticamente, il Professore prende questa squadra di criminaloni professionisti che non si conoscono fra loro e li fa sedere tra i banchi, cominciando appunto a fare lezione sul colpo che si terrà.

Qui ci vengono presentati uno a uno i vari protagonisti, con piccole introduzioni flash efficaci quanto le card dei concorrenti di Amici. Conosciamo così il resto della banda, dai serbi gemelli cattivoni al ladro raffinato e spietato da operetta, al padre e figlio working class e, per non farci mancare nulla, al giovane hacker geniale ma anche ingenuo perché appunto giovane.

Subito dopo arriva la parte più di azione, dedicata alla rapina, ed è un bene perché lo show entra nel vivo e può smettere di fare cose che non è in grado di fare, tipo rendere interessante un qualsiasi dettaglio delle vite e delle interazioni dei personaggi. Quando la serie si abbandona insomma, e abbraccia la sua vera natura di cafonata (non lo dico in senso critico), migliora e mostra il suo meglio.

In fondo, il fatto che La c asa de papel venga proposta da Netflix fa sì che molti pensino automaticamente ah figata, un riflesso pavloviano che fa tenerezza perché racconta da solo quanto la nostra tv “normale” ci tenga a stecchetto di roba ben fatta. Ma Netflix non ha solo contenuti originali: mira a raccogliere anche quelli di maggior successo, per ovvie ragioni, per cui è abbastanza normale che nella sua proposta generale si trovino anche titoli come Don Matteo. La casa de papel, in particolare, viene da una rete generalista spagnola, Antena 3, qualcosa che potremmo definire simile alla nostra Italia 1 e che non ha alcuna ambizione a produrre una serie autoriale o raffinata—e fa benissimo.

Fa benissimo anche chi se ne guarda centosette episodi di fila in un giorno, perché è una serie che cerca esattamente quel coinvolgimento da parte di chi la segue e ci riesce pure. Basta che dentro di sé i fan de La casa di carta lo sappiano—tanto tutti guardiamo programmi merdosi e non sarò io, che guardo assiduamente Tutto Cuccioli, a giudicarli.