Música

Noisey Mix: Deltatron

Deltatron è Paz Ferrand, madre peruviana e padre di origine francese, nato in Francia 31 anni fa, ma stabile a Lima da 28. È fondatore della label Terror Negro, che dal 2010 diffonde “pirateria e vandalismo culturale”, come spiegato su Soundcloud, e che negli anni ha prodotto lavori di Alvaro Ernesto aka Tribilin Sound, Chakruna, i californiani Turbo Sonidero e di recente un album di La Favi in collaborazione con lo stesso Deltatron.

Paz è attivo nel clubbing della capitale da circa 10 anni, promuovendo feste e ritmi periferici da e per un pubblico latino, con poca voglia di scendere a compromessi. “Ormai la cumbia che viene fatta ora non parla più delle cose di cui parlava vent’anni fa, è meno di strada“, sostiene Paz in una vecchia intervista. “Quello che risuona ovunque qua, per strada, sui mezzi pubblici, nei negozi, è il reggaeton e altri ritmi del ghetto, ai quali come Terror Negro ci interessiamo molto. Trap, kuduro, soka, zouk, cumbia villera, chicha…”

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“La famiglia da parte di mia mamma è di Piura [città a nord della capitale, vicina alla costa, ndr] quella di mio padre di Lima, di origini francesi”, mi spiega su Skype. “Mia mamma è scura, mio papà bianco. Non ho famiglia in Francia al momento, si tratta di generazioni di moltissimo tempo fa; i primi Ferrand a emigrare a Lima risalgono al 1890, 1910.” Questa doppia natura, bianca/europea e brown/latina ha segnato molto il percorso artistico di Paz. “Musicalmente mi sento un ponte tra le due dimensioni. Sono sempre stato troppo bianco per i cholos e troppo cholo per i bianchi”. Paz ci ha fatto un mix che è la narrazione musicale di questa sua duplice natura. L’ho beccato su Skype che era appena tornato da un tour negli Stati Uniti, più carico che mai.

Noisey: Raccontami un po’ di questo viaggio negli USA.
Deltatron: Sono stato in tour per tre mesi in vari stati, sono tornato da poco. C’è una scena interessante di tropical bass, da quelle parti. In Texas, come in California, le scene virano più verso la cumbia, il cumbiaton, etc. A Miami invece ci sono più messicani, meno sudamericani e più caribeñi, quindi più latin pop, mambo, dancehall. A sud della Florida invece un sacco di trap. Tutta la nuova onda è di lì. Ogni regione ha una sua scena specifica. A NYC, ad esempio, c’è più un giro queer-friendly, dal genere variegato, jersey club, reggaeton, ma tutto molto freestyle.

E in Europa?
Ancora non ci sono stato. Ho in programma di venirci l’anno prossimo: prima negli USA, poi a Berlino, Spagna, Francia… conosco un po’ di persone da quelle parti, con cui diciamo sempre di fare qualcosa. Sarebbe bello farle davvero. In Spagna per esempio c’è Bigote, Kid Cala. In Italia invece non conosco quasi nessuno. Ah, una volta Branko mi ha invitato a visitarlo.

https://soundcloud.com/deltatron/sets/ego-trip-lp

Qua la comunità latina non è così grande come negli USA, per questo la “scena” è meno sviluppata, e i generi “latini” ancora un bel po’ strumentalizzati come moda del momento. Vengono suonati a un sacco di serate, ma raramente c’è un reale interesse o supporto verso quel tipo di realtà.
A me in realtà questo non disturba più di tanto. Quello che non mi piace è l’inverso, cioè quando i musicisti latini cercano di presentare i propri lavori come dei documentari di National Geographic, direttamente indirizzati a un pubblico europeo e perciò patinati di un che di innaturale. Si sente che mancano di essenza. Quello che provo a fare io è abbastanza puro e aggressivo, perché mi muovo in questo ambiente, per un pubblico prevalentemente latino, e non mi sento a mio agio all’idea di dover cambiare stile per ampliare il target. Sono così. Spesso chi sceglie di rivolgersi a un pubblico europeo e bianco, si ritrova a cambiare drasticamente di stile, vedi ZZK, ma anche artisti come Dengue Dengue Dengue. Negli Stati Uniti, come dicevo, è diverso.

Esistono varie sfumature di questi compromessi di cui parli, secondo me.
Certo. Ho molti altri amici che fanno più o meno la stessa cosa, declinata più in termini di clubbing. Penso che vada bene, perché stanno di fatto aprendo la strada per tanti altri. Personalmente non lo faccio perché la vedo come una maschera, non mi sento parte di questo ingranaggio.

Come si sta evolvendo il clubbing a Lima?
Mi piace la scena che si sta sviluppando qui a Lima. Il clubbing sta cambiando. Storicamente c’è sempre stata una scena molto forte di house e techno, e tanto latin pop. Io sono cresciuto andando a un sacco di feste “tropicali”, e alle serate mi piace che ci siano varietà di generi, drum ‘n’ bass, reggaeton etc.

Hai sempre vissuto lì?
Tendenzialmente sì. Mio papà era membro di un’associazione per la rivendicazione dell’identità nera in Perù, che si chiamava—e si chiama—”Francisco Congo“. Fin da piccolo in estate andavamo a Chincha, più a sud, sempre sulla costa. La regione attorno a Chincha è quella a più alta concentrazione nera di tutto il paese. Mio papà aveva amici che erano figli dei lavoratori del posto. Quando perse l’azienda rimase molto amico di queste persone, perciò anche crescendo non perse mai i contatti con tutti loro. Mi portava con lui per passare del tempo là, e ha avuto un impatto molto forte su di me. In quegli anni ho conosciuto realtà che a Lima non avevo mai visto, tante persone vivevano senza acqua corrente o luce…

C’è stata un’altra diaspora molto forte a nord, a Zaña, ma non conosco quella zona. A Chincha ci sono andato ogni estate dai 6 ai 13-14 anni. Questo contatto ravvicinato con la comunità afroperuviana mi ha segnato molto: il logo iniziale di Terror Negro, era con un diavolo con delle corna. Derivava dalla Son de los diablos, un ballo tipico della costa durante il Carnevale. Quando però la gente negli Stati Uniti l’ha visto ha subito pensato fosse una blackface, un riferimento razzista, e per questo ho dovuto toglierlo. Non volevo generare una polemica inutile, ora il logo è diverso. Lo stesso nome “Terror Negro”, negli USA suono molto forte. “Negro” in spagnolo vuol dire “nero”, non ha l’accezione negativa che ha là. Il senso che ci vedo io è di riaffermazione delle minoranze: sono sempre viste come qualcosa di pericoloso, oscuro, denigrante, e “Terror Negro” è la paura che ha l’establishment di queste categorie. Sono contento che almeno questo significato traspaia.

Significato che è anche eredità del tuo trascorso a contatto con la comunità afroperuviana. L’avete approfondita anche dal punto di vista musicale, immagino.
Sì, stiamo per far uscire una compilation di 11 artisti, non tutti afroperuviani, che però hanno prodotto tracce-esplorazioni della musica afroperuviana. Molti strumenti utilizzati sono infatti tipici della tradizione locale: il cajòn, la fijada de burro. Conosco tanti producer che recentemente hanno iniziato a esplorare questa cultura, Don Machete, Animal Chuki, Black Joker… Tanti che vengono dalla cumbia, come me, e che magari prima hanno collaborato con Terror Negro. Nel mix stesso c’è una traccia di Chakruna che si chiama “…”. Il nostro è un omaggio, dato che non siamo afroperuviani.

Hai avuto esperienze sulla sierra [regione andina] ?
Ho viaggiato molto per il Perù, quindi sì. Ci sono tutt’altri stili là. Uno che campiona un sacco di musica serrana è Tribilin Sound, che è un caro amico. Ci conosciamo da 7 anni. Per quanto riguarda esperienze personali devo dire di non averne. Quello che faccio è musica urban, di dove sono cresciuto, non credo molto nella fusione di generi. Non ballo il huayno, e non avrei neanche motivo di imparare perché non fa parte del mio trascorso. Sono di Lima, e tutta la mia famiglia è della costa. Sono cresciuto ascoltando musica criolla, ma è un tipo di musica molto difficile da far funzionare nell’elettronica. Ha una ritmica che è totalmente contraria a quella da “clubbing”. D’altro canto spesso quando sento il folklore andino infilato a forza in produzioni elettroniche disparate, un po’ resto sconcertato. Come dicevo, mi sembra di avere davanti un trailer di National Geographic.

Dove ti piace suonare in genere?
Mi piacciono i “safe space” per la comunità LGBTQ. Li trovo super importanti, e mi piace rapportarmici. Più delle volte i locali latini dove suono, qui in Perù, hanno un evidente problema di eteronormatività. Si dà per scontato che il reggaeton sia un genere pensato per le donne eterosessuali, che permetta loro di esprimere la sessualità etc. A me in realtà piace che ognuno trovi un modo diverso di manifestare la propria lotta, e gli spazi queer lo stanno permettendo. Mi piace che la musica si privi di orientamenti sessuali. Quando ho suonato a Spectrum, a NYC, ho provato una sensazione incredibile di libertà, che mi è rimasta impressa. Mi sento fortunato ad avere la possibilità di viaggiare, suonare in posti del genere e trarne ispirazione.

So di essere bianco ed eterosessuale, e di rappresentare il classico individuo “privilegiato”. Non mi interessa inserire nella mia musica riferimenti espliciti anticapitalisti, o anticoloniali; preferisco lavorare sullo stile personale, sul mio senso di identità, che sono di per sé plasmati dalla resistenza al capitalismo e al colonialismo. Preferisco suonare reggaeton, cumbia, cumbiaton, non sbandierare slogan. Lascio che parli il mio lavoro.

A cosa stai lavorando al momento?
Sto lavorando con Tomasa Del Real. Abbiamo in progetto un album, come quello che ho fatto con La Favi. Ho anche in ballo progetti più personali in stile “Ego Trip”. Cerco sempre di portare avanti lavori sia miei individuali, che con collaborazioni. Altrimenti mi annoio. Prima però uscirà la compilation di cui ti parlavo, in cui ci saremo tutti.

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