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Il Palasharp di Milano dovrebbe diventare la più grande moschea d’Europa. Per ora, però, è soltanto uno scheletro abbandonato nel cuore della città — completamente murato e recintato da una cancellata in ferro.
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Il tendone antistante era accessibile fino a poco tempo fa: ogni venerdì mattina, i fedeli musulmani milanesi si recavano al suo interno, ancora oggi pieno di sajajid, i tappeti da preghiera islamici.
Il palazzetto è stato chiuso nel 2011, per motivi di sicurezza, dopo 25 anni di onorata carriera.
Nel 2013 alcune inchieste giornalistiche mostrarono che, all’interno della tensostruttura innalzata in via Antonio Sant’Elia nel 1985 per sostituire temporaneamente il Palazzo dello Sport di San Siro, crollato dopo una leggendaria nevicata, di notte vivevano senzatetto e stranieri in condizioni disumane.
Gli articoli di denuncia furono un motivo sufficiente per chiudere tutto. Da allora si dice che non ci abiti nessuno — la situazione, però, appare subito più complessa.
Di segni di vita, attorno al perimetro del Palasharp, se ne vedono ancora molti. In pieno pomeriggio, lungo il lato che affaccia sul Parco Monte Stella – uno dei polmoni verdi più importanti di Milano e “casa” del jogging per centinaia di cittadini – si trova di tutto.
Pantaloni, giacche, scarpe e sacchi di vestiti ammassati per terra che, poi, misteriosamente scompaiono alla sera; una copia abbandonata del “Noul Testament Cu Psalmii”, il Nuovo Testamento scritto in rumeno; qualche siringa priva di ago, oltre ai preservativi presumibilmente utilizzati dai clienti delle prostitute per consumare l’atto sessuale – in molte delle vie limitrofe alla zona Lampugnano, infatti, il racket del sesso è una delle principali fonti di guadagno per la criminalità.
Ma sono sopratutto gli stessi residenti del quartiere a garantire che dopo il tramonto il movimento è parecchio: persone che si cambiano i vestiti o che entrano scavalcando, alla ricerca di una copertura per la notte.
Le sbarre della cancellata sono anche il luogo dove appendere le stampelle per i vestiti. E, sopratutto, in ogni punto dove è più facile superare le barriere, è stata appesa una vecchia camicia, quasi a voler lasciare un’indicazione ‘cifrata’ per chi vuole entrare.
Per esempio, lungo il muro altro tre metri e adiacente alla fermata dei pullman di Lampugnano – da dove partono decine di mezzi destinati alle città italiane ed europee, spesso utilizzati dai ragazzi che vengono a Milano per un concerto – una maglietta è stata appesa al filo spinato, proprio nell’unica sezione di muro dove filo è stato tranciato per consentire l’accesso.
A tarda notte, dal retro del vecchio palazzetto che per anni è stato uno dei punti cardinali della musica dal vivo in città, si sentono le voci di almeno due ‘inquilini’.
VICE News chiede di avvicinarsi per parlare con loro, ma nessuno dei due sembra dell’idea. Altri rumori si possono ascoltare sotto al vecchio maxicartellone pubblicitario della San Carlo, vicino al rialzo dove anni fa è stato dipinto il murales che lanciava un messaggio contro l’esibizione universale del 2015: “Riot. This is our Expo,” recita la scritta.
Si vedono porte e finestre rotte, mentre all’interno le macerie ricoprono le vie d’accesso.
Sempre accanto gli ingressi si trovano anche i segni dei raduni musulmani degli anni passati: una pila di volantini recanti scritte in arabo, oramai incollati l’uno all’altro, raffigurano una panoramica de La Mecca dall’alto.
Sono i flyer di un’agenzia viaggi che rinvia al sito “www.hajjeumrah.com” – parola araba che significa proprio “pellegrinaggio islamico” o “viaggio santo”. La formula offre quattro giorni e tre notti a 650 euro, viaggio escluso, secondo la traduzione fornita da due ragazze italo-tunisine contattate da VICE News.
Accanto alla pila di volantini, qualcuno ha abbandonato un santino di Gesù Cristo.
All’interno del Palasharp si vedono i vecchi impianti elettrici e di pressurizzazione dei tendoni, oramai in stato di abbandono. I bagni chimici posti sulla destra del piazzale da cui, ancora oggi, escono odori nauseanti. E i box dell’Amsa – l’Azienda Milanese Servizi Ambientali – con cui si monitora e si combatte la presenza di roditori nell’area. “In caso di avvelenamento rivolgersi al centro antiveleni dell’Ospedale Niguarda,” recita una scritta che invita a stare lontani e a non danneggiare l’apparecchio.
L’intero quartiere Lampugnano vive una contraddizione: il degrado dell’ex Palasharp fa da contraltare alle residenze e agli uffici di nuova generazione costruiti a poche decine di metri di distanza.
Alla domenica la zona si riempie di adolescenti dall’hinterland milanese, che vengono ad allenarsi nello skate park adiacente. Oltre a loro, ogni due settimane, la stazione diventa la passerella per gli ultras della Milano Rossoblù, storica franchigia di hockey della città. Da qui i tifosi partono in gruppo per le trasferte, scortati dalla forze dell’ordine.
A guardare cosa è diventata oggi l’arena polifunzionale costruita dalla famiglia di circensi Togni, in piena epoca di Milano da bere, non verrebbe da pensare che l’ex PalaTrussardi – il palazzetto ha cambiato nome sei volte nel corso della sua esistenza – sia stato alla fine degli anni Ottanta il tempio dell’Olimpia Milano di Dan Peterson, una delle più vincenti squadre di pallacanestro del basket italiano, guidata dall’asse Mike D’Antoni-Dino Meneghin.
O che, sempre sul quel parquet, si siano esibiti artisti del calibro di Frank Sinatra, Prince, Paul McCartney, De Gregori, gli Ska-P o i Muse; a quei tempi, il palazzetto si chiamava Mazda Palace.
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Dopo anni di successi, a febbraio del 2011, arriva la notizia che scuote molti milanesi: il Palasharp chiude lasciando un vuoto nella realtà dell’intrattenimento milanese. È ancora una volta la neve a obbligare la città a questa scelta: la tensostruttura era diventata ormai pericolante.
L’Olimpia Milano già dal 1990 si era trasferita al Forum di Assago. Quest’anno si sarebbe dovuta spostare di nuovo nel nuovo Palalido di piazzale Stuparich, in ritardo di anni sulla tabella di marcia dei lavori, per via delle bonifiche d’amianto e delle inadempienze amministrative di varie società edili. La squadra, tuttavia, ha declinato l’invito.
Nel corso dell’ultimo biennio si comincia a parlare di demolizione del Palasharp, con l’obiettivo di farlo risorgere come moschea cittadina attraverso un bando del Comune di Milano.
Il dibattito aspro sui luoghi di culto per fedeli di religione islamica e di altre confessioni è improvvisamente riesploso in Lombardia in questi giorni, dopo che, mercoledì 24 febbraio, la Corte Costituzionale ha bocciato la legge regionale voluta dal governatore Maroni. Una legge che prevedeva tutta una serie di vincoli edilizi ed urbanistici all’edificazione del centro di preghiera per musulmani, oltre alla proposta di un referendum fra i cittadini lombardi prima dell’approvazione del progetto.
La decisione della Consulta di considerare questa norma discriminatoria – e quindi incostituzionale – ha scatenato la rabbia dei leader della Lega Nord. Il segretario del partito, Matteo Salvini, ha attaccato i giudici definendoli “islamici”. Il Presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni, invece, ha twittato dal suo profilo “Allah Akbar”.
La decisione dei giudici costituzionali ora riapre la strada al bando pubblicato dal Comune di Milano nel 2015, che prevede l’assegnazione di tre spazi per costruire centri di preghiera in città: due per la fede islamica, uno per un’altra confessione.
La situazione è però ancora più intricata: l’aggiudicatario dell’area nell’ex Palasharp sembrava essere il Caim (Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano), che nel 2015 vince il bando grazie a un rialzo sulla base d’asta del 200 per cento e all’appoggio dell’archistar Italo Rota, influente architetto che nel suo portfolio conta illustri collaborazioni nel Museo del Novecento e nel Musée d’Orsay, e che ha progettato per conto del Coordinamento quella che doveva diventare la moschea più grande d’Europa.
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A quel punto, la seconda area destinata ai musulmani viene individuata in via Esterle, all’interno degli ex bagni pubblici, la cui gestione sarebbe affidata alla Casa della cultura musulmana di via Padova.
Ad agosto del 2015 il “piano moschee” sembra pronto per andare in porto: la graduatoria provvisoria attende solo di essere ratificata da Prefettura e amministrazione comunale, che ha il compito di verificare l’assenza di irregolarità nella documentazione presentata dalle organizzazioni islamiche.
A quel punto l’Associazione Culturale del Bangladesh – che fa riferimento al Caim e aveva un contenzioso aperto col Comune per una moschea abusiva sotto sgombero in via Cavalcanti – impugna però l bando davanti al TAR Lombardia, per farne annullare l’esito, riuscendoci. Così, il Comune di Milano ricorre ulteriormente al Consiglio di Stato.
Nell’ultima settimana due interviste al Corriere della Sera non fanno che alimentare lo scontro: prima l’assessore al welfare di Milano, Pierfrancesco Majorino, annuncia che la graduatoria definitiva verrà pubblicata fra poche settimane e che ci saranno delle novità, perché “i controlli effettuati dall’amministrazione sui partecipanti hanno evidenziato la mancanza da parte di alcuni soggetti dei requisiti soggettivi necessari.”
Il quotidiano di via Solferino avanza l’ipotesi di una condanna a carico di un esponente delle associazioni che fanno riferimento al Caim, che vedrebbe quindi stralciata la propria posizione in favore dell’Istituto Islamico di viale Jenner.
Dopo poche ore, sul sito del Corriere, viene pubblicata un’intervista a Davide Piccardo – portavoce del Caim – che nega però di aver ricevuto comunicazioni ufficiali, e annuncia, se necessario, ulteriori ricorsi legali. Piccardo chiude l’intervista con un giudizio molto duro sulla giunta di Giuliano Pisapia, parlando di “bilancio deludente. In cinque anni, la situazione del culto non è migliorata di una virgola.”
Screzi, polemiche e burocrazia che quasi sicuramente porteranno il dibattito sulle moschee a Milano oltre giugno 2016. Quando in città si sarà votato per le amministrative, ci sarà una nuova giunta e un nuovo assetto degli enti locali con il primo sindaco di Città Metropolitana Milano. Tutti fattori che rallenteranno il percorso, in qualunque direzione si voglia andare.
Nel frattempo il Palasharp, e quelli che ci abitano all’interno, continuano a marcire.
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