Auto di lusso fuori dal nightclub People by Crystal
Gli Emirati Arabi Uniti non sono un posto che solitamente associamo all’hip hop. È un paese generalmente privo dei simboli culturali tipici dell’hip hop e degli scuri e malsani luoghi in cui è nato il rap—Illmatic, ad esempio, non sarebbe stato lo stesso se invece che parlare della lotta alla miseria nei quartieri poveri fosse incentrato sulla lotta per superare il budget di 40 milioni di dollari del proprio arcipelago artificiale.
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Ma alla giovane élite di Dubai che investe in sessioni in studio e video musicali in modo da aprirsi la strada nel mondo del rap non importa. E perché dovrebbe? I generi musicali non devono rimanere radicati. Il problema è che tutto questo denaro spesso non contribuisce a dare credibilità alla scena. Non sono molti i rapper emiratini che si scagliano contro l’oppressione istituzionalizzata di chiunque osi muovere critiche al governo, anche se ci sono le dovute eccezioni.
Come i Desert Heat, due fratelli di Dubai in tuniche tradizionali che hanno raggiunto una certa fama con Keep it Desert. Uno dei fratelli, Illmiyah, si è detto molto dispiaciuto del fatto che il mondo abbia il pregiudizio degli arabi degli Emirati come dei privilegiati “nati nella ricchezza”, e ha dichiarato di voler combattere quest’idea pubblicando un album solista intitolato Stereotyped. Sfortunatamente, dopo la pubblicazione del loro primo album i Desert Heat sono stati censurati in Arabia Saudita e in Kuwait, e non hanno ottenuto molto successo nemmeno nel loro paese d’origine, gli Emirati Arabi.
L’hip hop americano è molto popolare negli Emirati—lo scorso mese Rick Ross ha tenuto un concerto—ma le radio non vogliono passare le canzoni degli mc locali e pare che nessuno si preoccupi di cercarli online.
DJ Bliss nel suo studio
Volevo farmi un’idea più precisa sulle altre persone della scena hip hop locale, e sono andato a parlare con alcuni di loro. Il primo è stato DJ Bliss, un produttore, conduttore radiofonico, presentatore televisivo e volto di Beats By Dre negli Emirati Arabi, praticamente l’unico nel music business locale che tutti conoscono. Dopo aver iniziato da adolescente come dj per feste, Bliss—il cui vero nome è Marwan Parham Al Awadhi—ha finito per cedere alle pressioni della famiglia e ha iniziato una carriera in una multinazionale di tabacco.
Tutto questo è durato però solo un anno: prima ha mollato la multinazionale, poi ha dato una mano ai fratelli con la catena di kebabbari e infine si è assicurato un posto in una delle più grandi radio di Dubai. È cresciuto nella bambagia, sì, ma Bliss mi è sembrato un gran lavoratore.
È ribelle ed egocentrico come qualsiasi altro giovane dj, ma avendo fatto da manager a un rapper che è stato fermo per due anni perché “i tempi non erano maturi”, capisce i problemi che ci sono da affrontare con l’hip hop negli Emirati Arabi: nessuno lo suona e nessuno lo promuove, quindi nessuno lo ascolta. Inoltre è molto consapevole del fatto che alcuni dei rapper degli Emirati, nati tra limousine e piscine infinite, non sono altro che turisti di una cultura che hanno ricreato comprando un’enorme quantità di cappellini degli Yankees.
“È vero, il rap viene dal disagio,” ammette. “E dal punto di vista di un abitante degli Emirati quella della ricchezza non è una lotta necessaria: anche se molli la scuola puoi sempre arruolarti nell’esercito e guadagnare una quantità imbarazzante di soldi.”
Verso mezzanotte, l’autista di Bliss mi ha portato in un locale esclusivo di Dubai, il People by Crystal, dove dovevo aspettare Bliss mentre lui tornava a casa con la sua Bentley per cambiarsi e prepararsi per la serata. Ho fatto un giro nel locale con la macchina fotografica appesa al collo, cosa che ha attirato un sacco di gente che pensava fossi il fotografo ufficiale. Quando ho spiegato che non era così, e che probabilmente non gli avrei mandato per email le foto che avevo scattato mentre si mettevano in posa con i loro brillocchi, si sono arrabbiati tutti e questo mi ha ricordato perché odio i locali esclusivi: sono pieni di persone che vogliono frequentare i locali esclusivi. Me ne sono andato verso la metà del dj set di Bliss.
Bliss (sulla destra) mentre mette i dischi al People by Crystal
Il set di Bliss è fatto su misura per i locali pieni di stranieri; anche se produce anche cose sue (piuttosto buone, sullo stile di Jay Z) i set funzionano molto meglio quando mette i pezzi di Kanye o Macklemore. Si può trovare un po’ più di musica locale su FreekTV, un canale YouTube gestito da stranieri che si fa beffe della cultura di Abu Dhabi e allo stesso tempo difende i talenti hip hop locali.
Più tardi ho incontrato Mustafa Ismail, un ragazzo somalo che ha fondato e che gestisce FreekTV, e Muhammed Rachdi, un collaboratore tunisino che suona come mc con il nome di Alonzo. Non hanno molto tempo per i ragazzini ricchi di Abu Dhabi e Dubai, e si occupano invece della scena underground delle zone relativamente più povere del paese, soprattutto l’emirato di Sharjah. L’hip hop che emerge da questa zona, dicono, è leggermente più oscuro in termini di beat e di testi; più simile a Raekwon che a R. Kelly.
Ma la musica è difficile da trovare. Al massimo ci sono solo un paio di video, perché questi ragazzi non sanno come promuovere la loro musica e non hanno necessariamente i soldi per permettersi dei video professionali come i loro coetanei degli emirati più ricchi. Non ci sono concerti organizzati per gli esordienti e non sono ascoltabili nemmeno sul web, quindi quelli che riescono a produrre qualcosa si limitano a passarlo via mail agli amici.
Quando è venuto fuori l’argomento Sharjah, ho chiesto a Mustafa e a Muhammed se conoscevano Dangour, un rapper della zona arrestato e incarcerato per tre mesi nel 2011 per “istigazione alla malavita“. Cos’ha fatto di male? Ha diffuso via Blackberry un video in cui fumava hashish, minacciava quanti gli avrebbero mancato di rispetto e rappava sull’odio per le persone bianche mentre sullo sfondo passavano immagini di torture. La polizia ha poi confermato che era tutto falso, e nonostante ciò la corte ha stabilito che Dangour avesse creato il video per “fare in modo che la gente avesse paura di lui”. La classica reazione di un paese che ancora non ha capito cosa sia l’ironia.
Dangour è uno dei pochi rapper degli Emirati affascinati dall’immaginario del delinquente, anche se ovviamente quella del video era tutta una farsa. Un poliziotto che lo conosceva dai tempi della scuola ha dichiarato che “Dangour non era un delinquente a scuola, anzi era un frignone.” Parlando alla stampa locale dopo l’arresto, un altro rapper, Mohammed Al Amry, ha detto: “Voleva far parlare di sé come di un criminale, e voleva essere arrestato. Ma non criticate il rap. La musica non c’entra niente in questa storia.”
Mustafa di Freek TV
Muhammed non condivide l’opinione di Al Amry: “C’è qualcosa di speciale in lui,” mi ha detto. Sfortunatamente, non sono riuscito a scoprire cosa fosse quel qualcosa di speciale perché ogni tentativo di contattare Dangour è stato inutile, salvo per una confusa email in cui uno dei suoi soci mi faceva sapere che Dangour era in Malesia dove “cercava di rivendicare i suoi diritti.”
Come probabilmente vi aspetterete, la produzione musicale dei rapper degli Emirati che non vengono arrestati è abbastanza piatta. Per esempio, nei video di MC Bunny J non ci sono persone prese a calci in faccia, solo ragazzi che indossano occhiali da sole di notte e che se ne stanno imbronciati nel deserto. Per questo mi aspettavo di incontrare un bambino viziato mentre andavo al mio appuntamento con Bunny (che di giorno fa il poliziotto) e il suo manager in uno Starbucks nel centro commerciale di Dubai. Invece mi sono trovato davanti due uomini un po’ timidi con una grande passione per quello che fanno.
Bunny J non ha intenzione di produrre niente di troppo profondo—DOOM e Immortal Technique non devono preoccuparsi di un’invasione araba della loro nicchia. Ma per lui questo non ha importanza: “Faccio rap parlando della vita e delle feste, di quello che vedo in giro. Lo faccio per divertimento.” Gli chiedo se questo stile di vita pieno di champagne vada d’accordo con la sua religione, e se abbia mai incontrato qualche tipo di opposizione da parte di membri particolarmente conservatori della sua famiglia, ma mi ha detto solo che per lui l’Islam è importante e ha poi lasciato cadere l’argomento. Gli Emirati Arabi Uniti sono un paese piuttosto moderato rispetto ai vicini, e la maggior parte della popolazione è costituita da stranieri, quindi tutti mi hanno assicurato che la cultura del paese è tollerante verso l’hip hop, anche se il rap locale è un fenomeno nuovo.
Bunny J
Bunny ha voluto farmi vedere il video del suo nuovo singolo Fly Away, un pezzo che non starebbe male in una playlist piena di ritornelli in auto-tune che parlano di come “toccare il cielo con un dito”. Purtroppo per Bunny, avrà molte difficoltà a far suonare la sua canzone in qualsiasi discoteca di Dubai.
Quella notte ho cercato di trovare in città qualcosa che assomigliasse vagamente ad una gara di freestyle solo per vedere se ci fosse qualcuno che alimentasse la scena, ma la cosa più simile che ho trovato era un locale in cui si facevano letture di poesia chiamato Rooftop Rhythms. Sfortunatamente, la serata consisteva in un ragazzo che recitava i suoi suoi testi “fortissimi” declamandoli dal telefonino. Forse non era la serata giusta, ma non mi ha dato molta speranza per le sorti di Bunny e i suoi colleghi.
La scena sembra essere malata. Gli artisti sono appassionati e determinati in quel che fanno, ma a quanto pare non importa a nessuno. Lo stile di vita pomposo potrebbe sembrare troppo in contrasto con gli altri movimenti hip hop del resto del mondo e la cosa spesso si traduce in pessima musica, è vero, ma questo non significa che la scena debba essere ignorata; ci sono un sacco di persone a cui piace la musica di merda.
Prima di lasciare il People by Crystal, Bliss mi aveva detto “Gli EAU sono un paese giovane.” E ha ragione: il paese ha solo 42 anni, la stessa età media del Wu-Tang Clan. La scena hip hop degli Emirati è ancora più giovane, il che è facile da dimenticare quando si pensa che i soldi che girano sono gli stessi di altre scene attive da decenni. Detto questo, l’età non dovrebbe essere un problema; i passaggi sulla radio sono rari e i manager pochi, ma c’è sempre internet. Forse quello di cui la scena ha bisogno è solo qualcuno abbastanza bravo da attirare l’attenzione degli ascoltatori.
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