Un’azienda ha deciso di cambiare significato al termine “specie estinta”.
Colossal Biosciences, fondata nel 2021 dall’imprenditore Ben Lamm e dal genetista di Harvard George Church, ha annunciato a gennaio 2023 il piano di riportare in vita e reintrodurre al proprio habitat il dodo, l’iconico uccello non volante diventato simbolo dell’estinzione dopo essere stato spazzato via dalla faccia della Terra dall’interferenza umana nel suo luogo natale, l’isola Mauritius.
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La Colossal sta già lavorando per de-estinguere il mammut e il tilacino (un marsupiale carnivoro noto anche come tigre della Tasmania) e reintrodurli nell’habitat naturale. Nel frattempo, l’azienda spera che le tecnologie che sperimenterà saranno utili anche allo sviluppo della biologia conservativa e della sanità umana.
Il progetto di de-estinzione del dodo è stato elaborato con l’appoggio di Beth Shapiro, biologa dell’evoluzione all’University of California, Santa Cruz. Il team prevede di reintrodurre al suo habitat naturale a Mauritius una versione “sostitutiva” di questo uccello, cioè una specie con DNA modificato e non un clone esatto.
“Sono sempre stata affascinata dal dodo,” ci ha detto in videochiamata Shapiro, che ha guidato la squadra che ha ricostruito completamente il genoma del dodo per la prima volta. “È la triste mascotte delle conseguenze dell’alterazione causata dagli umani negli habitat.”
“Data la natura artificiale dell’estinzione, penso che questa sia un’opportunità unica non solo di riportare il dodo in vita, ma anche di rimediare ai danni procurati all’ecosistema,” ha puntualizzato Lamm nella stessa videochiamata. “Dal punto di vista della conservazione delle specie può essere molto utile, possiamo imparare molte cose dalla reintroduzione in natura.”
È affascinante immaginare il dodo che riemerge dalle nebbie della memoria e torna, in carne e ossa, alla foresta dell’isola che ha dato forma alle sue peculiari caratteristiche nel corso di milioni di anni.
Si tratta di un uccello talmente unico che il suo parente più vicino è il piccione di Nicobar, un uccello volante dal piumaggio colorato che ha un aspetto completamente diverso dal suo famoso cugino estinto. L’apparenza bizzarra ha fatto guadagnare al dodo il ruolo di meraviglia sin dal primo momento in cui gli esploratori europei vi ci sono imbattuti nel 17esimo secolo.
Ma le caratteristiche che distinguono questo uccello dagli altri animali lo resero anche più vulnerabile. Prima dell’arrivo degli europei e delle specie animali invasive che si portarono dietro, non c’erano mammiferi predatori del dodo a Mauritius. Non essendo dunque abituato a difendersi, il dodo fu docile e facile preda di umani e di altre specie non autoctone. La caccia, insieme alla rapida distruzione del suo habitat da parte degli umani, portò il dodo all’estinzione prima dell’inizio del 18esimo secolo.
Ora, Shapiro e i suoi colleghi si sono dati il compito di mettere insieme un animale simile al dodo con un genoma elaborato a partire da veri esemplari di dodo e da quelli estratti dai loro parenti più stretti, come il piccione di Nicobar e il solitario di Rodriguez, un altro uccello non volante estinto che viveva sulla vicina isola di Rodriguez. Insomma, per de-estinguere il dodo prima bisogna ricostruirlo.
“Una volta che una specie è estinta, non è veramente possibile riportare in vita una copia identica,” ha detto Shapiro. “La speranza è usare la genomica comparativa per ottenere almeno uno—ma speriamo più di uno—genomi di dodo da osservare, per capire in cosa i dodo sono simili e in cosa differiscono da animali come il solitario.”
Da lì, il team “confronterà il risultato con il piccione di Nicobar e altri uccelli e identificherà mutazioni in quel genoma che possono avere qualche impatto fenotipico in grado di creare un dodo con la forma di un dodo invece che con quella di un piccione di Nicobar,” ha proseguito.
Ottenere i giusti ingredienti genetici per un surrogato del dodo è soltanto il primo dei tanti ostacoli di quella che si prefigura come una lunga missione scientifica. I ricercatori dovranno anche capire come far entrare un embrione di dodo in un uovo per creare una nuova generazione di uccelli.
Dato che gran parte delle tecnologie di modificazione genetica e clonazione sono state sviluppate sui mammiferi, Shapiro e i suoi colleghi sanno che dovranno usare un approccio creativo. Per questo motivo, Colossal ha lanciato un progetto collaborativo più ampio, l’Avian Genomics Group, che potrebbe avere conseguenze importanti sulla conservazione delle specie di uccelli, indipendentemente dal risultato della missione di resurrezione del dodo.
“Queste sono le tecnologie fondamentali per ogni tipo di modificazione genetica negli uccelli,” ha evidenziato Shapiro. “Sappiamo che siamo in grado di far crescere queste cellule in alcune specie, quindi sappiamo che possiamo raggiungere l’obiettivo. Ora resta da fare tutta la parte sperimentale.”
“Non vedo l’ora di vedere l’avanzamento tecnologico che porteremo,” ha detto Lamm. “La nostra intenzione è finanziare e regalare alla società ogni tecnologia che svilupperemo e che si possa applicare alla conservazione.”
Come per molti altri campi emergenti, la scienza della de-estinzione deve fare i conti con molte sfumature etiche, oltre alle sfide tecniche. Tom Gilbert, direttore del Centro di Ologenomica Evolutiva dell’Università di Copenaghen, ci ha detto che dei surrogati di specie estinte sono tecnicamente realizzabili, ma questo è soltanto l’inizio del dibattito.
“La vera domanda è: quanto il sostituto sarà simile alla specie estinta?” ha scritto in una email Gilbert, che recentemente è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Colossal. “La risposta non è facile, visto che comporta altre domande: come lo misuriamo? Con la somiglianza genomica? La somiglianza fisica? La somiglianza nella nicchia che occupa/in ciò che fa, anche se non ha lo stesso aspetto (ad esempio, se puoi creare un elefante capace di vivere nei climi freddi e farlo comportare come un mammut… è abbastanza?)”
“Per motivi che ho spiegato in diversi articoli credo che il massimo a cui possiamo puntare sia un equivalente dal punto di vista della nicchia che occupa,” ha proseguito. “Ciò solleva la domanda: ne vale la pena? Anche in questo caso non è tutto bianco o nero. Forse in certi casi sì, ma in altri magari l’ambiente è cambiato così tanto che la speranza di ricreare una popolazione che viva in libertà è irraggiungibile. Bisogna tenere a mente, per esempio, l’estensione dell’ambiente naturale incontaminato dagli umani rimasto.”
Ciò detto, Gilbert ha ammesso che sarebbe senza dubbio disposto a viaggiare fino all’altro capo del mondo per vedere un mammut ricreato e ha evidenziato che queste specie surrogate potrebbero rappresentare un modo efficace di smuovere le coscienze rispetto alla piaga delle specie tuttora a rischio d’estinzione. Lamm e Shapiro a loro volta hanno parlato di come le specie surrogate possano dare una spinta alla preservazione e alla restaurazione di ecosistemi che sono a rischio di, be’, fare la fine del dodo.
“Il mio approccio al dodo è sempre stato motivato dall’attenzione per le specie che sono in pericolo di estinzione oggi,” ha detto Shapiro. “Dato che tutti pensano all’estinzione e al dodo come due cose inseparabili, quello che stiamo facendo ci dà l’opportunità di far riflettere le persone un po’ meglio su ciò che sta accadendo. È uno dei tanti motivi per cui il progetto mi riempie di gioia.”