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Salvini ha fallito a questo giro, ma se state esultando forse è meglio andarci piano

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Quando domenica sera sono uscite le prime proiezioni affidabili, che davano Stefano Bonaccini in netto vantaggio su Lucia Borgonzoni, molte persone hanno tirato un grosso sospiro di sollievo.

La maggior parte in Emilia-Romagna, ovviamente. Diverse a Roma, soprattutto dalle parti di Palazzo Chigi e di largo del Nazareno (la sede del Partito Democratico). E moltissime sui social, dove da ieri è un profluvio di meme ed esultanze per lo scampato pericolo.

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Anche la stampa estera ha generalmente parlato di una pesante “battuta d’arresto” di Salvini, che sembrava proiettato verso l’invincibilità o comunque a dare una spallata clamorosa al governo giallorosso—innescando così un processo di disgregamento della coalizione.

Tuttavia, le domande sollevate dal voto in Emilia-Romagna vanno al di là della contingenza e tirano in ballo dinamiche più grosse. Del tipo: Salvini è stato veramente disinnescato? Il suo modo aggressivo di condurre le campagne elettorali inizia a mostrare la corda? La tanto celebrata “Bestia” si è finalmente inceppata?

Partiamo da un’evidenza: la sconfitta del centrodestra in Emilia-Romagna è, prima di ogni cosa, una sconfitta personale di Matteo Salvini.

È stato lui a impostare la campagna elettorale come una specie di guerra di liberazione, dipingendo una delle regioni più floride d’Italia come una zona devastata e sotto il giogo di una spietata dittatura comunista. Nel fare ciò, il più grosso effetto collaterale è stato quello di oscurare completamente la candidata Lucia Borgonzoni—già di per sé una figura politicamente debole—che si è sostanzialmente limitata a postare tazzine di caffè e foto di cani e gatti.

Anche la scelta dei temi si è rilevata non del tutto giusta, alla fine. La Lega ha puntato moltissimo sulle solite cose come sicurezza e immigrazione, senza perdere occasione di enfatizzare le criticità del modello emiliano-romagnolo e di attaccare forsennatamente le “Sardine.”

Come ha rilevato un sondaggio precedente al voto, riportato in questo dettagliato studio dell’Istituto Cattaneo, le preoccupazioni dell’elettorato erano molto più variegate: riguardavano soprattutto il lavoro, il timore del declassamento e una diffusa paura che il futuro potesse non assomigliare al passato recente—e quindi si discostasse da un modello di società giudicato positivamente. Gli elettori, insomma, chiedevano un rinnovamento che rimanesse all’interno della continuità amministrativa.

In questo senso, l’aver puntato su “Bibbiano” (intenso nella sua accezione di tormentone di destra) e aver chiuso la campagna con una chiara strumentalizzazione sul tema degli affidi e dei minori non ha pagato un granché. Tant’è che, alla fine, gli stessi cittadini di Bibbiano si sono “rotti i coglioni”—come ha sintetizzato efficacemente un abitante a La Stampa—di questa ossessiva esposizione politico-mediatica. Lì, il PD ha vinto con un ampio margine (con Bonaccini al 56 percento).

Anche a livello comunicativo la campagna è stata costellata di errori e orrori; e non sto parlando dei maglioncini di cashmere, dei baci appassionati ai salumi o dell’indegno sciacallaggio sulla morte di Kobe Bryant. Parlo piuttosto della spedizione nel quartiere Pilastro di Bologna, o davanti a un negozio di Modena, in cui Salvini è tornato alla sua antica passione: fare il cosplayer di un poliziotto.

Il primo episodio—l’ormai famigerata citofonata-con-diffamazione alla famiglia di origine tunisina—ha sicuramente incassato un’ampia copertura mediatica, ma ha pure provocato un’energica reazione. Sia su strada, sotto forma di un partecipato presidio di solidarietà; che sui social network, dove il video originario è stato rimosso da Facebook per “incitamento all’odio”; e per finire, nelle urne: anche al Pilastro la maggior parte dei cittadini ha votato contro la Lega, facendo arrivare Bonaccini al 65 e il PD al 41.

Alla luce di tutto ciò, non sorprende più di tanto che dalle parti del centrodestra si stiano registrando un po’ di malumori, anche all’interno della Lega.

A quest’ultimo proposito, è significativo un aneddoto raccolto dal Corriere della Sera. Fino al tardo pomeriggio di domenica Matteo Salvini era davvero convinto di vincere e di sfondare in Emilia-Romagna. Il motivo: i leghisti avevano sondaggi che davano Borgonzoni avanti di 2,8 punti.

Giorgia Meloni, in un’intervista a La Stampa, ha invece auspicato per il futuro “un maggiore gioco di squadra,” visto che “la polarizzazione sul singolo [ Salvini] offre molti alibi agli avversari.” La leader di FdI ha addirittura criticato la citofonata del Pilastro, dicendo che “non l’avrei fatta quella cosa [ infatti una cosa simile l’hanno fatta due esponenti del suo partito], perché devi sempre porti il problema del rischio di emulazione.”

Di sicuro, il voto in Emilia-Romagna allontana la caduta del governo giallorosso. E anzi: il timore principale dei leghisti è che si “blindi la legislatura” per i prossimi tre anni. Ossia quello che Salvini, spendendosi così tanto in prima persona, cercava di scongiurare a tutti i costi.

Eppure, eppure: il risultato alle regionali non è affatto una batosta. Osservando i voti, ed escludendo Forza Italia, le liste di centrodestra hanno ottenuto un incremento. In appena sei anni, Fratelli d’Italia è passato dall’1,9 percento del 2014 all’8,6 del 2020. E la Lega, pur perdendo 70mila voti rispetto alle Europee del 2019, è comunque il secondo partito con il 31,9 percento.

Quanto alla distribuzione del voto, secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo, emerge che la Lega “ottiene i suoi maggiori successi, sfiorando il 50 percento dei consensi, nei comuni sotto i 2mila abitanti.” Esistono quindi “due Emilie molte diverse tra loro per profilo geografico, peso demografico e comportamento elettorale.”

In altre parole, c’è una profonda frattura tra area centrale e aree periferiche, che rendono la regione politicamente contendibile. E dopotutto, questo discorso può applicarsi su scala maggiore a tutta l’Italia. Non a caso la stessa strategia salviniana di personalizzazione estrema ha funzionato altrove (per esempio in Umbria), e potrebbe essere efficace in altre tornate elettorali.

Se è innegabile che in Emilia—per circostanze prettamente locali—Salvini è stato in qualche modo bloccato, non è certo finita qui. Il centrosinistra, come scrive la politologa Nadia Urbinati, dovrà decidere se “riempire il vuoto civico” e di rappresentanza (che ha generato un fenomeno come le “Sardine”) “o lasciare che tutto proceda come è stato finora: con una terra esposta alle scorribande di leader populisti che non hanno il senso del limite e che sanno far braccia in larghe zone.” E questo, peraltro, è un discorso che si può tranquillamente applicare anche a livello nazionale.

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