Música

Guida ai migliori skit del rap italiano

Gli skit non sono certamente, oggi come oggi, la parte a cui si dà più attenzione quando si ascolta rap. Non che sia una questione problematica: si è semplicemente evoluto il modo in cui ne fruiamo. Alle nuove leve del rap mondiale non è richiesto di farsi notare immediatamente con una serie di brani azzeccati ma di pubblicare il brano giusto al momento giusto. Questo basta a raggiungere un onesto livello di fama, che può volendo essere “stabilizzato” con un mixtape. Ma non che ce ne sia bisogno: lo dimostra nell’Italia di oggi il nuovo corso di Ghali, i cui brani sono ascoltabili solo su YouTube. Insomma, se un tempo tendevamo ad ascoltarci album interi aveva senso dargli quasi sempre almeno l’apparenza di una struttura, qualcosa che li rendesse di più che una serie di singoli messi assieme. Un numero alto di tracce poteva inoltre convincere un eventuale acquirente all’acquisto—”Ce n’è di più!”

Era questo, probabilmente, l’intento dei De La Soul—che inserirono per la prima volta diversi intermezzi narrativo/umoristici sul loro classicone 3 Feet High and Rising, uscito nel 1989. Da allora molti hanno giocato a fare i divertenti e/o a raccontare una storia tra un pezzo e l’altro, con risultati più o meno azzeccati: poi sono arrivati gli iPod shuffle, il file sharing, iTunes, lo streaming, i longform sulla morte del formato fisico e dell’album, ed eccoci qua. Gli skit sopravvivono tuttora, nonostante spesso non gli venga data la stessa attenzione che potevano ricevere un tempo. Semplicemente tendiamo a saltarli se troppo lunghi, noiosi e/o inutili.

Videos by VICE

Sebbene l’era dello skit possa ritenersi compiuta, è fondamentale ricordare che cosa quegli intermezzi significavano per gli ascoltatori di allora, e quindi anche per noi oggi. Da una prospettiva di madrelingua, innanzitutto, lo skit poteva essere una spiegazione delle tematiche del disco, necessaria in un’epoca in cui l’hip-hop non era ancora penetrato nel mainstream; oppure qualcosa da memorizzare per farsi due risate—come racconta qua the A.V. Club; o, nel peggiore dei casi, una scenetta da Bagaglino che rischiava di rovinare l’atmosfera del disco. Un esempio particolarmente adatto di quest’ultima casistica si trova in The Score dei Fugees, appena prima del loro classicone “Fu-Gee-La”: Wyclef Jean va dal ristorante cinese, chiama il titolare “Chang Wang”—l’equivalente americano di “Cin Ciun Li”—e finisce a farci a botte per un’incomprensione (“beef” vuol dire sia “manzo”, cioè il piatto che Wyclef ordina, e “litigare”, cioè quello che il proprietario del ristorante crede Wyclef voglia fare). Una battutaccia che non aggiunge nulla né alla canzone né al disco di cui fa parte.

Esempi positivi dell’abitudine allo skit esistono ancora nella contemporaneità. Qualche esempio recente: Kendrick Lamar ha saputo usare molto bene gli intermezzi per dipanare le narrazioni di good kid, m.A.A.d. city e To Pimp a Butterfly. YG che fa finta di andare a rubare in casa alla gente nell’outro di “Bicken Back Being Bool” fa pisciare. Kanye che si fa autorizzare l’uso del termine “Waves” da parte di Max B sotto forma di telefonata con French Montana in The Life of Pablo è un gesto da sborone e, al contempo, geniale. Probabilmente, però, quando eravate pischelli e vi ascoltavate Eminem, il Wu-Tang Clan e gli OutKast non stavate lì a pensare troppo alla cosa: gli skit erano solo un ostacolo tra le vostre giovani orecchie e “The Real Slim Shady”, o “C.R.E.A.M.”, o “Hey Ya!”.

Il fatto che Eminem mettesse su disco 71283217 skit intitolati “Paul” in onore del suo produttore non aiutava.

Questo non vale, invece, per gli skit italiani, a tutti immediatamente comprensibili e quindi decisamente meno “anonimi” alle nostre orecchie. Il rap è stato molto spesso debitore delle tradizioni primordiali del genere e, così come accade oltreoceano e oltremanica, anche i nostri MC hanno da sempre inserito intermezzi di vario genere nei loro LP—a volte per farci spaccare e altre per farci pensare. Abbiamo quindi pensato di stilare una breve e soggettiva lista di alcuni skit più o meno famosi che hanno dato un valore aggiunto ai pezzi dei loro autori: dagli In the Panchine che ci provano con le americane in crociera ai VIP in supporto di Marra e della Dogo Gang, dai Sangue Misto che campionano un servizio sulla weeda a Dargen D’Amico che si fa i viaggioni sui peli e l’analità universale.

SANGUE MISTO – LA PORRA

Si può giocare a flipper, si ascolta musica, si possono acquistare accessori vari per confezionare spinelli e fumare. Un giorno sarà necessario rendersi conto di come SxM sia un prodotto—fate attenzione a quello che dico perché scelgo le parole con cura e non mi ripeto mai—piuttosto infantile, ma nel frattempo possiamo continuare a prenderci bene con questo pezzo (e con “Fumo Tanta Erba” e le canzoni del Brusco, se sono il vostro genere).

Insomma, questo è la categoria di skit fattone, in cui ti immagini un mondo bellissimo in cui invece di H&M giù in centro c’è questo negozio dove tutti giocano coi flipper e gli unici a lavorare sono i fattorini di Foodora (che tra l’altro guadagnano effettivamente più di chi scrive, quindi fruite di questa ironia nella maniera più corretta).

SACRE SCUOLE – NELL’ARIA

3 Mc’s al cubo delle Sacre Scuole è uscito diciassette anni fa, che è piuttosto un sacco di tempo. Dargen, da allora, è diventato un esteta peloso capace di fare i freestyle da venti minuti come i singoloni a cassa dritta, mentre Guè e Jake si sono messi a fare prima il rap soprano, poi il droga rap, e ora il rap di quelli che ci erano arrivati prima di tutti gli altri e possono fare quello che gli pare. Ma è bello rendersi conto come all’inizio erano solo, come tutti, tre pischelli presi bene con il rap americano. “Nell’aria” è un tributo alla struttura-processo che sostiene “Fuck tha Police” degli N.W.A. e, semplicemente, gasa un casino.

La voce di Irene Lamedica di Radio Deejay, che ai tempi era nel pieno della nascente scena hip-hop italiana, interrompe il disco annunciando una breaking news: “Il circolo” (cioè i nostri tre assieme a Chief e Zippo, i due produttori dell’album) è stato arrestato per aver buttato fuori, due anni prima, “Fuori dalla mischia”. Segue “Chiamati in causa tribunale”, in cui è già chiao come sarebbero andate le carriere dei nostri: Guè e Jake devono rispondere della morte di “Luca Azzuduru” e tale “Lameni Laminchia”; Dargen è accusato di aver divulgato notizie di stampa clandestina.

STOKKA & MADBUDDY – RADIOFRECCIA OUTRO

Qua siamo probabilmente di fronte al maggior esempio italiano di skit come dichiarazione di intenti. Era il 2001, nessuno poteva comunicare al mondo quello che voleva fare con la sua musica scrivendo uno stato su Facebook e allora si cercava di essere il più chiari possibile in forma lirica. Se però ti andava di sottolineare metaforicamente quello che volevi dire, ti conveniva dichiararlo piuttosto che rapparlo: ed è esattamente quello che MadBuddy fa sull’ultimo pezzo di Palermo centrale, il suo esordio assieme a Stokka.

Le sue parole sanno di pura convinzione post-adolescenziale—un po’ come quando ascolti metal e sei convinto che gli Iron Maiden saranno per sempre la band della tua vita. Poi cresci e cambi idea, ma senza necessariamente rinnegare il tuo passato. Anzi, magari evolvendolo grazie alle tue esperienze e alle cose a cui vieni esposto. Ma avere le idee chiare e dimostrare con qualsiasi mezzo di crederci è tuttora una qualità intrinseca del rap come espressione musicale e artistica. Quindi sono sicuro che pure oggi Mad creda nei beat di DJ Premier e che provi orgoglio nel portafoglio vuoto. Credo anche che Method Man avrebbe effettivamente lavorato bene come presidente degli Stati Uniti o del consiglio. Magari invece ci finirà zio Kanye, nell’ufficio ovale, ma non possiamo lamentarci.

IN THE PANCHINE – MR. G (SKIT)

La cosa più bella di In the Panchine era il grezzume applicato all’inglese. Già si percepiva dal nome del collettivo che l’obiettivo da raggiungere non era la correttezza formale ma il passaggio di sentimenti forti, primordiali, aggressivi e sconclusionati. E cosa c’è di più vitalmente casuale di un’accozzaglia di inglese e italiano per fuggire far away from problemi? Un cazzo, ecco cosa. Nei trenta secondi che chiudono “Mr. G” sta tutto il grezzume che avrebbe avvolto e reso grandi le carriere di Chicoria e Cole (un po’ meno quelle di Gemello e Benassa, ma insomma).

Si parte in medias res, durante una crociera: “Praticamente conosciamo ‘ste americane, no? Tutto il giorno a parlà americano, nun sapevamo proprio che dirgli”. Dopo averci assicurato che si è portato comunque un pacco di weeda sul traghetto il buon Meloni, voce dello skit, lamenta l’incapacità delle zie nel costruire un bong: . Come reazione alla noia, gli nasce dalle viscere una richiesta dannatamente umana: “A ‘na certa je faccio, AAA CURTNI, A SIMPLE JOINT WITH SEX IS POSSIBLE?” E la traccia finisce così, senza risposta, con un finale che neanche i migliori fratelli Coen.

FABRI FIBRA – MR. SIMPATIA

Questo skit, subito dopo “Mr. Simpatia” è qualcosa di incredibile, un po’ perché si lega a un pezzo che è nerissimo. Lo skit è interpretato tutto da Fibra nel periodo in cui si divertiva a fare le voci (che, se siete silenziosi lurker di YouTube Italia come me, avrete notato assomigliano da paura a quelle di Wilwoosh). Sostanzialmente c’è un tipo, da iscrivere all’odiatissimo fenotipo dei “rimasti sotto per ogni tipa che passa” che brama per capire come affascinare una ragazza, come entrare nel numero dei suoi interessi e di per sé non è nemmeno così entusiasmante la scoperta che lei sia una grande appassionata di Fabri Fibra, se non che poi il tipo (aka Fabri Fibra) si reca effettivamente in un negozio a chiedere una copia del disco. Nel mondo normale finirebbe bene, con la ragazza conquistata in modo dozzinale e una storia tra le tante a dare un senso alla vita del personaggio immaginario, ma per fortuna siamo su Mr. Simpatia e anche questo espediente si trasforma in un’ottima occasione per mettere nero su bianco un po’ di sanissima frustrazione.

ROCCIA MUSIC VOL 1 – VIP SUPPORT SKIT 1, 2 & 3

Scegliere come migliore uno solo tra questi skit sarebbe assolutamente impossibile dato che ognuno dei tre rappresenta al meglio l’esempio perfetto di un intermezzo ironico. Ancora più a monte Roccia Music Volume 1 è il disco che, nella storia del rap italiano, è riuscito più di tutti gli altri a rappresentare la vera essenza di un mixtape. L’atteggiamento ludico con cui viene affrontata ogni traccia è qualcosa che, in linea di massima, non è facile ottenere e gli skit che ne sono derivati sono semplicemente perfetti. Ciao, sono Paolo Calissano e anch’io ascolto Roccia Music, siete forti ragazzi! è già di per sé una bomba a mano (e ricordatevi che era correva l’Anno del Signore 2005), ma se subito dopo parte una specie di cover cantata da spaccini e impizzati di “Sere Nere” del Tiziano Nazionale, allora il tutto assume dei connotati geniali.

Il secondo skit è un’imitazione di Lapo Elkann fatta davvero male (mi dispiace, dobbiamo dire la verità), ma si piazza lì, prima di “Nuovo Papa” che è forte uno degli esercizi di tecnica più riusciti nell’intera carriera di Marracash. Un po’ come quando nel film americani lo sfigato entra in modalità berserker e nel giro di due scene si porta a casa il capo delle cheerleader, mena il bullo e un contratto discografico con una major (che è tipo la carriera di Marracash, dal 2005 in poi, dai). Il terzo skit è un’imitazione di Kate Moss, fatta da un’amica di Marracash che va fuori di testa per il sexy Vincenzo da Via Anfossi e l’unica cosa che differenzia questo skit dalla realtà è che, purtroppo, Kate Moss e Vincenzo non si sono mai conosciuti. Subito dopo parte “Grezzo Poema”, di Vincenzo appunto, ma quella è una storia che (se avete l’età giusta) dovete approfondire da soli.

DARGEN D’AMICO – THE SLEEPY MOLOTOV (ANALITÀ UNIVERSALE)

Ecco, quando ho sentito questo skit è stata una delle prime volte in cui mi sono convinto che la musica che stavo ascoltando mi poteva rendere più intelligente delle persone che mi circondavano, tipo. Potremmo chiamare questo tipo di skit “riflessivo”, visto che Dargen racconta un’intera storia di accettazione di se stessi e del proprio corpo.

Lo skit fa parte di Musica Senza Musicisti, un disco che se ne scrivi più di quindici parole l’Universo inizia a piegarsi su se stesso al contrario ed entro quattro secoli torniamo alla singolarità e ricomincia tutto da capo, quindi concentriamoci sullo skit. Probabilmente se avete l’età media del fan di Dargen D’Amico questo skit vi ha insegnato più cose sul rispetto della sessualità altrui che l’intero percorso scolastico. Quindi sbottonatele, quelle camicie.

METAL CARTER – SKIT ELENA GRIMALDI

La partecipazione del TruceKlan e della Dogo Gang a Mucchio Selvaggio (che, come ci terremmo particolarmente a ricordare, contiene la prima scena di sesso anale di sempre di Elena Grimaldi) è stata un punto di svolta della scena hip-hop italiana. Era il 2007, l’anno di Verano Zombie e Vile Denaro, e tutti i nostri media, alternativi o meno che fossero, stavano iniziando ad accorgersi che magari il rap poteva anche meritarsi qualche attenzione. La cosa bella è che il genere non era ancora stato soggiogato alle logiche discografiche che, oggi, rischiano di portare a una sua standardizzazione: le parolacce, il sudore e l’apprezzamento esplicito per i porno erano ancora tutti lì, e “P.E.S.” un’eventualità che nessuno avrebbe potuto ragionevolmente prevedere.

Nel 2007 uscì anche un tape, “Cosa avete fatto a Metal Carter?”, che forse ricordiamo un po’ meno dei classici di cui sopra. Ma risentire oggi proprio la Grimaldi chiedersi dove fosse finito il nostro adorato Marco de Pascale per poi aggiungere, “Riportatemelo, che ho voglia di sentirlo tra le mie gambe, quel bel maschione!” riporta in un attimo in mente la purezza dell’impurità che animava il rap di quegli anni. Basta autotune, aridatece ‘aa sporcizia.

GHEMON – QUALCOSA PER TE

Con il passare degli anni anche in Italia lo skit diventa sempre più una bestia rara. Nel 2012, quando Ghemon esce con Qualcosa è cambiato, l’era del singolo-su-YouTube che stiamo vivendo ora era ai suoi albori, e i nostri MC iniziano a impegnarsi di più a scrivere gli one-liner che le scene d’atmosfera. È anche il caso di Ghemon, che quando si chiamava Scienz usava le sue intro per metterci dentro i vocalizzi stupidi e i “cazzo ridi” al fonico; essendo da allora qualcosa effettivamente cambiato, all’inizio di Qualcosa per te Ghemon intavola un brevissimo, tagliente skit-telefonata con quella che, nell’immaginario del testo, è la sua ragazza.

Hey, mi senti?” “No, non ti sento.” “Come non mi senti? Se mi rispondi, rispondi alla domanda…” Tre battute, niente di più, e un altro brevissimo scambio misto a risate, a metà tra resa e orgoglio. Dentro c’è tutto il senso di incertezza speranzosa che animava quel Ghemon, e contestualmente molte delle cose che hanno messo Blue Nox e Unlimited Struggle sulla mappa del rap nazionale.

LUCHE – SKIT

A un primo ascolto, lo “Skit” che Luche ha messo in L2—il suo primo album per Roccia Music—è un’innocuo scambio di battute come tanti se ne sono sentiti negli anni. In retrospettiva, però, “Skit” dimostra invece come Luche avesse lucidamente predetto che un singolo come “Sporco napoletano” avrebbe causato ‘nu burdell’. Ma la risposta alle accuse di tradimento della napoletanità, di fuga milanese, di non-uso del dialetto, era già pronta alla quarta traccia del disco.

Con un sottofondo che più stereotipato non si può, Luchè fa parlare un napoletano-accusatore che gli da’ del pieno di soldi, dell’innovatore che non apprezza il piatto da cui ha sempre mangiato. La questione si chiude in un secondo: “Cumpà c eccis, ma k’ buó a’ me?” Cioè: “Amico, ci hai rotto i coglioni, ma che vuoi da me?” Ché l’obiettivo di Roccia era ed è quello di partire dal locale inettandoci una bella dose di internazionalità. Ma non è sempre facile farlo capire alla provincia.

MARUEGO – VIA DA QUI

E arriviamo a oggi: il citazionismo c’è ancora, ma i modelli sono diversi. La telefonata della tipa come strumento per commentare una relazione, introdotta da Kanye prima in “Blame Game” e cristallizzata poi da Drake in “Marvin’s Room”, compare in “Via da qui”—il pezzo relativamente più pop di Maruego e il primo in cui fa un po’ lo sborone arrivato. Le tastierine leggere sotto la voce di lei gridano Take Care da tutti i pori. Poi in realtà la canzone è una tamarrata alla DJ Mustard, eh. Ma resta che un intermezzo-skit del genere dimostra come il nostro rap continui ad evolversi seguendo quello che succede al di là dell’Atlantico.

Segui Elia e Mattia su Twitter.