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‘The Last Guardian’ è un gioco sull’unica cosa pura della vita: i cani

Avete mai visto un cane che sta per tuffarsi in piscina per la prima volta? È uno dei grandi piaceri della vita. L’eccitazione e la paura che prova. Tasta l’acqua in modo esitante con le zampe, preparandosi a saltare, poi indietreggia all’ultimo minuto: chissà che inferno troverà lì dentro. A quel punto torna indietro perché per lui l’acqua è troppo esaltante. Questa scena andrà avanti fino a quando il cane non troverà finalmente il coraggio di saltare e scoprire che la piscina è estasi allo stato puro. Niente mi ha entusiasmato così tanto nella vita come un cane di fronte a una piscina.

The Last Guardian, che dopo un decennio di progettazione è uno dei giochi più attesi di sempre, riproduce abilmente questo spettacolo meraviglioso, solo che al posto del cane c’è una creatura ibrida gigantesca chiamata Trico, a metà tra un uccello, un cane e un dragone.

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Come gli altri due capolavori ideati dal direttore creativo Fumito Ueda, Ico e Shadow of the Colossus, The Last Guardian vi porta nel suo mondo senza contestualizzarlo troppo. Nel gioco sei un bambino adorabile e tatuato, che si sveglia in una camera misteriosa a fianco di questa bestia spaventata, Tico, che ha bisogno di aiuto per via di una freccia conficcata nel suo fianco. La collaborazione di questa coppia improbabile è l’unico modo per uscire dalla stanza e dal grande tempio esterno.

Questo ragazzino può usare le sue manine su oggetti come la freccia e infilarsi nei piccoli passaggi. Trico, da parte sua, può distruggere ostacoli, calpestare nemici, e oltrepassare enormi fossati mentre il ragazzo si aggrappa alle sue piume per salvarsi la vita. Potete gestire il bambino come volete, ma far sì che Trico faccia qualcosa non è esattamente semplice. Siete obbligati a chiederglielo ripetutamente e sperare che capisca i vostri suggerimenti. Qualche volta, proprio come accade con un cane reale, non gliene importa niente.

Ci sono pochi suggerimenti sullo schermo che vi spiegano come funzionano i comandi, ma The Last Guardian, sia nella sua storia sia nei suoi rompicapi, è qualcosa che i due devono capire insieme. È un mondo desolato di rovine coperte di muschio e ponti fatiscenti—qualcuno antico e magico—e sarebbe probabilmente terrificante se non lo affrontaste con il vostro gigantesco amico piumato. Dico “amico” per mancanza di una parola più appropriata. Diciamo che il cane è il migliore amico dell’uomo, ma se avete mai avuto un cane sapete che la parola “amicizia” non è sufficiente per definire questa relazione.

Il mio piccolo Trico di nome Gordo. Immagine: Emanuel Maiberg/Motherboard

Oltre che tentare di convincerti a comprare un cane, sto dicendo tutto questo per spiegarti come il legame che stringi con un cane sia profondo, complesso, e significativo in un modo che è difficile descrivere in parole. Questo è ciò che rende The Last Guardian molto più impressionante. Riesce a rappresentare le principali caratteristiche di quest’antica relazione in un modo che è unico per i videogame.

Sarebbe stato facile per The Last Guardian creare un cucciolo terribilmente tenero, per poi sbatterlo in un mondo ostile così da amplificare l’effetto emotivo dato dal contrasto. Eppure Trico non è carino in modo prevedibile; piuttosto, la creatura riesce a smuovere delle corde emotive grazie al suo linguaggio corporeo riprodotto in maniera magistrale: prendiamo, ad esempio, i movimenti delle orecchie che si ripiegano quando è impaurito, girano in direzione di un rumore nelle vicinanze e si drizzano quando va in allerta.

Piccoli momenti assolutamente credibili—come quando Trico salta dentro un lago, si scrolla di dosso l’acqua e si gratta dietro le orecchie—si accompagnano ad altri maggiormente plateali, come aggrapparsi alla collottola di Trico mentre corre e salta un ponte fatiscente sospeso sul vuoto. Nella maggior parte dei giochi, gli snodi chiave più importanti funzionano perché sono realizzati in maniera fluida o perché il giocatore riesce a compiere azioni che non ha mai compiuto prima. In The Last Guardian, invece i set piece funzionano perché riesce davvero a farmi preoccupare del destino di questi personaggi.

Immagine: Sony

E il gioco realizza questo suo intento grazie ad alcune delle migliori animazioni che abbia mai visto in un videogame. In altri ambiti, invece, The Last Guardian non si rivela altrettanto raffinato. Nato come un progetto per PlayStation 3 nel 2007, sembra non essersi spostato molto da lì, con le sue texture fangose, i framerate bassi e i problemi di camera collision. Nel 2016, un gioco deve essere eccezionale per ovviare a questi inconvenienti ed è proprio questa la tattica adottata da The Last Guardian.

Negli ultimi due mesi, ho penato per trovare qualcosa di diverso nei videogiochi, specialmente perché molti sono incentrati esclusivamente sulla violenza e l’esercizio del potere. Cercare di convincere Trico a seguirmi, nello stesso modo in cui io a volte devo cercare di impedire a Gordo di non leccarsi troppo il di dietro, non è esattamente una fantasia di potere, quanto un piacevole cambio di registro. Piuttosto che farmi sentire potente, The Last Guardian è incentrato di più sul farmi prendere cura di qualcuno che non sia io.

Questo modalità più tenera e vulnerabile sta alla base anche di altri giochi precedenti prodotti da Ueda, ma solo quando ho iniziato a giocare a The Last Guardian che ho capito che questa caratteristica è mancata dolorosamente nei videogiochi dell’ultimo decennio.