Tyler, The Creator è sempre stato un personaggio atipico all’interno della scena rap statunitense, lo abbiamo capito tutti da subito, dalla prima volta che abbiamo guardato il video di “Yonkers” in cui divora un insetto gigante e poi si impicca davanti alla telecamera, ed è proprio per questo motivo che è anche un personaggio fondamentale per la sopravvivenza di un rap anticonvenzionale e estraneo ai canoni del momento. La genialità di questo artista ha però attraversato diverse fasi molto eterogenee e vale la pena ricordarsele per capire il punto in cui si trova adesso con l’uscita del suo sesto album IGOR (che per la cronaca si pronuncia igor all’italiana e non aigor come in Frankenstein Junior).
Tutto è iniziato nel biennio 2008-2009, anni in cui usciva il primo mixtape del collettivo Odd Future e il primo lavoro solista di Tyler, Bastard; per la prima volta ci si è trovati davanti a questa accozzaglia di rapper, produttori e skater, che apparentemente avevano poco in comune ma che presi tutti insieme scatenavano una forza sovversiva che ha pochi precedenti nella storia di questo genere. Tutti sembravano essere dei veri nerd della musica, con dei riferimenti chiari, delle amicizie giuste all’interno della scena underground di Los Angeles e con un talento genuino; ma la cosa che più li accomunava era l’essere costantemente sopra le righe in una maniera così aggressiva da rischiare di attirare “una comumità di incel”, come ha sostenuto uno dei suoi ex-membri più importanti, Earl Sweatshirt, in una recente intervista.
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Così in poco tempo è diventata la prassi che tantissimi teenager bianchi canticchiassero frasi tipo “kill people, burn shit, fuck school” o “the thought to rape you really turns me on”. Per fortuna però questo aspetto della musica di Odd Future si è rivelata presto essere una scelta di facciata, volta soprattutto a far parlare di sé il più velocemente possibile. Nonostante la rabbia fosse la benzina che alimentava la crew (tra stage-diving kamikaze e pogo spezza-ossa i concerti del collettivo avevano poco da invidiare ai live di molte band hardcore) è sempre stato presente anche un enorme layer di ironia, che si rispecchiava nella scelta di far rappare anche membri come Jasper e Taco che avevano ben poco a che fare con la musica. In generale la qualità delle produzioni e il talento dei singoli componenti sono sopravvissuti alle conseguenze di quella fase punk: oltre a Tyler, godono ancora di ampio successo i membri di The Internet, Frank Ocean ed Earl Sweatshirt, mentre Left Brain, Domo Genesis, Hodgy Beats e Mike G sono rimasti più legati alla scena locale californiana.
Con il passare degli anni quasi tutti i componenti di Odd Future hanno preso le distanze dal progetto corale imboccando spesso strade più tradizionali, e lo stesso è stato per il suo leader. Di Odd Future Wolf Gang Kill Them All è rimasto solo “Golf” e Tyler è stato furbo a riconvertirlo in un brand di streetwear che non ha più nessun collegamento col passato. Per un periodo è sembrato addirittura che si fosse stancato di ciò che stava facendo, in diverse occasioni ha dichiarato di voler smettere di rappare per dedicarsi solo ai beat o alla regia di video e in moltissimi casi è sembrato che le sue iniziative imprenditoriali stessero lentamente prendendo il sopravvento (oltre a Golf, Tyler ha provato a creare una sua piattaforma mediatica, una radio, qualche programma televisivo e persino un cartone animato); ma alla fine questa rottura con la musica non è mai arrivata.
A livello stilistico i primi cambiamenti si avvertono già dopo i primi due album Bastard e Goblin: già in Wolf i torni si erano in parte placati e Tyler sembrava intenzionato a fare dell’introspezione più ragionata e meno violenta. Cherry Bomb, forse il disco in cui Tyler ha messo meno energie (si tratta di un album stilisticamente confuso e mixato oggettivamente molto male) è il momento di transizione che porta alla sua vera rivoluzione artistica: Flower Boy. Innanzitutto è il primo disco in cui Tyler riesce a portare finalmente a compimento un’idea che aveva da tempo, ovvero quella di allontanarsi parzialmente dal rap nonostante i suoi limiti vocali, e ci è riuscito circondandosi di artisti di spessore come Toro Y Moi e Steve Lacy e di belle voci come quella di Kali Uchis e Anna Of The North, che intervengono per rendere credibile un disco neo-soul fatto da uno che fino a pochi anni prima urlava frasi misogine a petto nudo.
La scelta di rendere più melodica e ricercata la sua musica va inoltre di pari passo con quella di parlare più approfonditamente dei suoi sentimenti. Flower Boy non a caso coincide con l’implicito/esplicito coming out di Tyler, che scioccando tutti in “I Ain’t Got Time” dichiara che “è dal 2004 che bacia ragazzi bianchi”. Nonostante la morbosità con cui molti media si sono concentrati su questo argomento ignorando totalmente il resto del disco non ha impedito all’artista di costruirsi una nuova immagine, quella di un musicista-imprenditore-fashion designer non più arrabbiato con il mondo, ma che in modo quasi infantile vuole costruire un mondo esteticamente perfetto insieme ai migliori artisti che incontra sulla sua strada.
Restando in tema collaborazioni, gli ospiti di IGOR (anche questa volta più o meno relegati al ruolo di coristi) ci aiutano a capire che fase artistica ha attraversato Tyler mentre realizzava questo disco annunciato a sorpresa solo un paio di settimane fa. Nei vari brani, con l’aiuto di Genius, possiamo incontrare in ordine sparso: King Krule, Solange, Slowthai, Kanye West, Santigold, il cantante dei Mild High Club, Jack White, Pharrell Williams, Kali Uchis, Lil Uzi Vert, Playboi Carti, Al Green, CeeLo Green, Frank Ocean e A$AP Rocky. Nonostante questo invidiabile roster è lo stesso Tyler ad aver scritto, prodotto e arrangiato tutte le tracce del disco, dimostrando che la sua crescita come produttore si è tutt’altro che interrotta.
Dopo i primi due brani svanisce anche la preoccupazione che, nonostante il suo talento, l’artista sia schiavo dell’immaginario (sonoro e concettuale) che si è recentemente costruito, limitandosi ad un mondo fittizio e bidimensionale un po’ come in un film di Wes Anderson (per citare una delle sue dichiarate ispirazioni). IGOR è in realtà pieno di colpi di scena, cambi di beat improvvisi e scelte stilistiche che finora non facevano parte del suo repertorio, e il pensiero è che la definizione di “rapper” comincii a stare stretta al nostro Tyler. I brani in cui si avverte di più questa svolta sono la danzereccia “I THINK”, “RUNNING OUT OF TIME” con i suoi synth spaziali, la distortissima ma in qualche modo orecchiabile “NEW MAGIC WAND”, il bellissimo singolo soul “A BOY IS A GUN” e “GONE GONE”, che inizia con una chitarra acustica e ha un ritornello che sembra cantato dai Jackson 5.
I testi dei brani sono coerenti sia con le rispettive atmosfere musicali che con le storie che Tyler ha raccontato nei suoi ultimi lavori, anche se questa volta molto spesso vengono snaturati dal pitch alto della voce (altro elemento di rottura con la voce bassa e distorta degli esordi). Il tema più ricorrente del disco è l’amore non corrisposto—di un ragazzo eterosessuale che Tyler sostiene stia mentendo a sé stesso, pare. La cosa non è esplicitata ma suggerita: un riferimento a Call Me By Your Name qua, un “togliti la maschera, lei deve andarsene” là, e l’esistenza di Flower Boy fa il resto.
Disseminate in alcuni brani ci sono diverse reazioni dell’artista a questo rifiuto. “Togliti la maschera / voglio lei fuori dal quadro / togliti la maschera / smetti di mentire per questi n***i / smetti di mentire a te stesso / conosco il vero te”, recita ossessivamente la seconda strofa di “RUNNING OUT OF TIME”. In “NEW MAGIC WAND” arriva addirittura a minacciare di fare fuori entrambi se lui non prende una decisione: “La tua metà evapora, festeggiamo / sei sotto giuramento, ora scegli da che parte stare e se non scegli vi prenderò entrambi”. “PUPPET” è invece un inno alla sottomissione, in cui Tyler continua a ripete di essere il suo pupazzo e di essere sotto il suo controllo. Dopo aver affrontato l’argomento anche in senso metaforico durante “GONE GONE” (“Hai iniziato a costruire un ponte e lo hai trasformato in un recinto / poi il mio edificio è stato demolito per colpa della tua nuova inquilina”) nel brano di chiusura l’artista continua a domandare rassegnato se i due potranno almeno rimanere amici.
Non è chiaro che tipo di percorso abbia attraversato Tyler, The Creator per passare dall’essere accusato continuamente di omofobia per i suoi primi testi all’essere un esempio di come parlare di amore omosessuale su un disco che parte dal rap e sembra lasciarselo dietro, ma ovviamente la cosa non ci riguarda. Merita attenzione però la maniera senza filtri con cui racconta fatti presumibilmente estratti dalla sua vita privata senza preoccuparsi dei tabù e del giudizio di una scena che ancora sembra avere molti problemi con il machismo e l’intolleranza. Probabilmente il segreto risiede proprio nell’infantilità di un artista che banalmente ha iniziato a chiamare le cose con il loro nome e ha iniziato a lavorare su sé stesso partendo dal proprio concetto di amore. Questo rischia di allontanare alcuni fan puristi del “vecchio” Tyler? Probabilmente sì, ma finché la sua musica suona come quella di IGOR sono decisamente loro a rimetterci.
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