Ci sono due facce del cambiamento climatico in Champagne. Da una parte c'è la verità un po' spiazzante che quasi tutti i champenois non nascondono: adesso, con le estati più calde e le notti ancora fresche, è più facile fare dell'ottimo champagne. Dall'altra parte c’è la consapevolezza di tutte le maison - grandi e piccole - che la situazione presto potrebbe precipitare. E stanno correndo ai ripari, ma lo fanno da almeno 20 anni.Nel 2019 la vendemmia è stata i primi di settembre, molto tardiva. La mia prima vendemmia, però, è stata nel 1998 e allora era normale farla a ottobre.
Foto dell'autrice.
Chiunque sia venuto in Champagne almeno una volta lo sa: qui il tempo è tutto fuorché invitante, e il cibo, spesso e volentieri, neanche, tranne alcune eccezioni. Ma, nonostante tutto, avere a disposizione tutto quel nettare di bollicine, tutte le maison da visitare, giustifica appieno il viaggio. Certo bisogna organizzarsi bene: le grandi maison - Pommery, Veuve Cliquot, Poll Roger - sono abbastanza strutturate da essere quasi sempre aperte al pubblico; quelle più piccole non sempre accettano gli amatori, ma se si prenota una degustazione in cantina volta all’acquisto, e in anticipo, è più facile.I risultati dal 2000 sono un -20% di gas serra per bottiglia, 90% dei rifiuti industriali riciclati, -50% dei fertilizzanti azotati.
Tipico cielo a inizio autunno in Champagne. Foto dell'autrice.
Fra tutti i gruppi di vignaioli, francesi e italiani, non troverete mai nessuno più unito che nello Champagne. Un po' per tutto l'operato del Comité che mette sul piatto le esigenze dei diversi produttori. Produttori che passano da maison iper conosciute come Pommery, Paul Roger, Veuve Cliquot, a nomi un po’ più piccoli o indipendenti come AR Lenoble, Lermandier-Bernier, Tattinger o Taillet.Il nostro marchio nasce grazie a un’unione di produttori, nato nel 1976 da un’eccedenza di uve raccolte durante la vendemmia, eccedenza causata dal riscaldamento climatico.
Foto dell'autrice
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Naviaux continua: “A noi non interessa se 200 viticoltori sono biologici mentre il resto non lo è. Eravamo e siamo esposti al cambiamento climatico; avevamo e abbiamo una responsabilità su questo cambiamento.”Sì perché, come ho scoperto grazie a una chiacchierata su Zoom con Anne-Laure Domenichini, responsabile della stampa della maison Nicolas Feuillatte, un primo grande segnale sul surriscaldamento globale in Champagne arriva addirittura nel 1976. “Dietro la nostra etichetta si nasconde un modello diverso: il marchio nasce grazie a un’unione di produttori, nato nel 1976 da un’eccedenza di uve raccolte durante la vendemmia, eccedenza causata dal riscaldamento climatico.” Nicolas Feuillatte è una maison molto cara ai francesi: è stato uno dei primi marchi a puntare sulla grande distribuzione, in un’epoca dove lo champagne era considerato ancora più pregiato di adesso.In un futuro, non troppo remoto, per la raccolta ci saranno dei robot, che sono meno invadenti dei trattori.
Vendemmia in Champagne. Foto per gentile concessione del Comité Champagne
Perché non è greenwashing
L’impegno a preservare la Champagne non è venuto meno durante la pandemia: mentre molti brand o realtà agroalimentari hanno perso di vista per un momento i fattori ambientali, per superare una crisi sanitaria/economica, la regione francese non ha invece mollato il colpo. “La Champagne è stato colpito dalla pandemia, la filiera fortunatamente ha continuato a lavorare nonostante le difficoltà legata alla mancanza di manodopera,” spiega Pierre Naviaux.Vincent Perrin aggiunge: “La Champagne è leader della viticoltura sostenibile. La dinamica di un modello che preserva terroir e ambiente è un approccio che dal 2015 è una parte sempre più integrante delle dinamiche produttive. La crisi non ha indebolito questo approccio, anzi abbiamo capito di dover accelerare e arrivare all’utilizzo zero di pesticidi.” In merito allo sforzo collettivo Perrin dice: “Abbiamo deciso collettivamente e abbiamo contenuto insieme le perdite. L’equilibrio di questa regione ci consente di non lascare indietro nessuno.”La pandemia non ha indebolito questo approccio, anzi abbiamo capito di dover accelerare e arrivare all’utilizzo zero di pesticidi
Cosa dicono i giovani Champenois
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Diversissimo il caso invece di Lermanier-Bernier. I genitori di Arthur, Pierre e Sophie Lermandier, sono stati fra i primi a rinunciare ai pesticidi, lo decidono negli anni ’90. Pierre parla sempre di come il vino debba rispecchiare e parlare del suo terroir. In diverse interviste e sul suo sito si legge una frase che molto ha a che fare la rivoluzione naturale non solo in Champagne, ma anche in Italia: “L’uva porta naturalmente con sé tutte le qualità e l’autenticità che nessuno essere umano sarebbe capace di inventare”. E Arthur parla molto degli insegnamenti del padre in materia: “Una cosa che mi dice sempre: una volta che decidi di essere biologico devi sempre saper prevenire, e riusciamo a farlo anche grazie ai mezzi che ci vengono dati dal sistema champagne - le previsioni del tempo in largo anticipo, l‘individuazione di una malattia dell’uva.” Il motivo per cui i vignaioli dello Champagne sono così solerti a prendersi cura della propria terra è banalmente perché la amano e perché tutte le maison, con rarissime eccezioni, si tramandano in famiglia da generazioni. E poi perché una terra in Champagne ovviamente vale una fortuna (il prezzo stimato per un ettaro 1 milione di euro).Una volta che decidi di essere biologico devi sempre saper prevenire
Foto per gentile concessione del Comitè Champagne
Epernay. Foto per gentile concessione del Comité Champagne
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