Adrian di Celentano è un mix di Matrix, Don Matteo e The Lady

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Fra lunedì sera e ieri sono andate in onda su Canale Cinque le prime due puntate di Adrian, la serie animata ideata da Adriano Celentano, prodotta da Adriano Celentano, con la regia di Adriano Celentano e il montaggio di Adriano Celentano. Un progetto costato pare 20 milioni di euro, in lavorazione da anni, che ha collezionato un infinito name dropping di partecipanti e autori: ci hanno lavorato Milo Manara, Vincenzo Cerami, Alessandro Baricco e Nicola Piovani. Se per volontà o sventura nelle scorse settimane avete acceso la TV su una rete Mediaset vi sarete accorti che l’attesa era piuttosto pungente, visto che i promo della serie passavano ogni 30 secondi.

Dopo la prima puntata, però, la quasi totalità dei commentatori—professionali o meno—si è sperticata per riuscire a incasellare verbalmente quanto avesse fatto schifo Adrian. Mentre la restante percentuale ha tentato di schernire chi criticava Celentano, nel classico giochino di internet secondo cui chi percula il perculatore è sempre il più furbo. Ebbene, dopo aver visto entrambe le puntate, posso personalmente decretare la sconfitta di questa antica tecnica di faida nata su Facebook: in Adrian non ci sono commenti di rimbalzo o sotto-analisi da sviscerare per i bastiancontrari. Si salvano quasi esclusivamente i disegni di Milo Manara, e neanche sempre.

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Prima di ogni puntata, in diretta dal teatro Camploy di Verona, si tiene uno show preliminare, Aspettando Adrian. Con la partecipazione di comici italiani abusati—Nino Frassica, Natalino Balasso e Giovanni di Aldo Giovanni e Giacomo—e qualche sporadica apparizione silenziosa e minimalista di Celentano. Non è che sia proprio granché come show di apertura, ma iniziamo subito col dire che le battute di Nino Frassica e Balasso rappresentano il meglio di questo progetto da 20 milioni di euro. Poi, parte la serie.

La trama, la sceneggiatura, i dialoghi e la retorica di Adrian costituiscono uno strano mix che sembra inglobare elementi presi in porzioni eque da Matrix, Don Matteo, un giornalino osé anni Ottanta e The Lady.

Ambientata a Milano nel 2068, la trama di Adrian ruota attorno al suo alter-ego del futuro. Un orologiaio altezzoso e misterioso (nel 2068 esistono ancora gli orologiai) che si muove in una società dominata da lobby mafiose che limitano la libertà del popolo con l’inganno e la incanalano in una spirale di cementificazione e consumismo. Milano, in questo scenario apocalittico, è composta al 99,9 percento da grattacieli torreggianti e malefici. Si salva solo il quartiere in cui vive l’Orologiaio: via Gluck.

Una specie di Naviglio Grande dei tempi di Alda Merini in cui si respira ancora l’aria onesta e autentica di un popolo milanese che non si arrende alla speculazione edilizia. Ci sono le botteghe, le casette in pietra con l’equo canone, i barcaioli che remano nei canaletti, e la gente che se ne va in giro vestita come nell’Italia del dopoguerra nonostante ormai sia pratica diffusa comunicare con gli ologrammi. Adrian l’orologiaio dietro casa sua ha addirittura un giardinetto con lo steccato—una specie di Palestra dell’Ardimento di Alan Ford—in cui sdraiarsi per terra a pensare e coltivare le carote biologiche. La prima cosa che capiamo del futuro distopico di Celentano, insomma, è che a Milano nel 2068 non esiste più la gentrificazione.

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Ma l’Orologiaio non è soltanto il dandy della Milano autentica, è una specie di eroe con un potenziale inespresso, in grado di vedere in faccia i mali della società, e ispirare i giovani a ribellarsi contro le malversazioni del potere. Un Neo di Matrix a Milano, con la maglietta della salute e la voce di un 81enne (Celentano ha voluto autodoppiarsi nonostante nella serie sia giovane).

Tutto questo impianto di base, però, è distrutto dal come. È qui che la serie mostra il suo lato The Lady. Innanzitutto nelle prime due puntate veniamo edotti del fatto che l’Orologiaio è stato addestrato da due vecchiette della via Gluck con il berretto di calza in testa, Anidride e Carbonica. Sono loro le sue Morpheus. Due sciure di Milano—che vivono nei tombini insieme ad una torma di rinnegati, fra cui un “islamico” che si chiama Baba, come in Demolition Man— gli hanno insegnato le arti marziali per combattere, e hanno forgiato il suo potere nel canto per ispirare le nuove generazioni a combattere il sistema.

Perché è questa, fattivamente, l’azione principale che compie Adrian per combattere il sistema: canta. Canta le canzoni di Celentano ai concerti dei Negramaro, nel 2068. E i giovani, ispirati, si ribellano e formano circoletti clandestini per idolatrare il loro eroe misterioso. Bene. Ogni tanto, per ravvivare un po’ l’azione, pesta qualche teppista che sta per compiere uno stupro (su questo, torniamo poi).

I dialoghi sembrano sempre a metà strada fra il cringe e lo stucchevole. Mentre picchia i teppisti e salva la società, l’Orologiaio allieta il pubblico con battute profonde tipo “la violenza non risolve niente” o “la libertà non è qualcosa che si vede.”

Anche i nemici sono ridicoli. La figura del cattivo è rappresentata da un tizio che si fa chiamare Il Dissanguatore, e che opera dalla sua organizzazione criminale chiamata Mafia International, con sede legale a Napoli.

Tutto questo avviene mentre Adrian si concede un sacco di copule e amoreggiamenti con la sua compagna, Gilda. Che ha sempre il culo di fuori—bravissimo Manara a disegnare i culi—e che combatte il sistema al suo fianco (come nella scena in cui contamina le mele di serra del supermercato con quelle marce e biologiche coltivate nel giardino dietro casa).

Quello che disturba maggiormente della serie, però, non sono le sue scene ridicole—c’è un certo piacere nel guardarle, in realtà—ma la sua retorica alla Don Matteo. Questa idea costante secondo cui per salvarci dalla degenerazione della società moderna dobbiamo tornare ai valori degli anziani e a una dimensione sociale da Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro. Una rottura di coglioni che viene propinata attraverso scene in cui Adrian ammonisce due ragazze che ha salvato da uno stupro (“se aveste bevuto qualche bicchierino in meno avreste evitato l’increscioso affare”), e in cui si lamenta della tristezza dei centri commerciali. La retorica da anziano che non capisce la modernità è persistente: i vestiti moderni non gli piacciono, i giornalisti che vogliono gli scoop non gli piacciono, la musica moderna non gli piace. Il bene del mondo sta tutto nel tornare all’antico, e lui infatti è l’Orologiaio che mantiene nel tempo questi valori incredibili per darli ai giovani.

Volendo tirare una somma, quindi, potremmo dare un consiglio a Celentano, che si è impegnato moltissimo per cercare di creare una storia che salvi i giovani. Adriano, salva i giovani: la prossima volta le storie animate falle scrivere a loro.

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