Música

Ho telefonato ad Anna Calvi e per un attimo ho creduto fosse Björk

Sguardo fiero, fisso di fronte a sé, voce vibrante ed eleganza da copertina di Vogue. Così Anna Calvi si presenta sul palco, e certo non stupirà sapere che è stata a più riprese paragonata alle eroine splendide e pericolose di David Lynch. Allo stesso modo la sua musica, tra passaggi di archi di una grazia inaudita, percussioni vertiginose e una matrice rock di fondo che le fa guadagnare potenza, è un’ottima simbiosi tra bello e drammatico.

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Con questa idea di lei ben impressa nella mente ho composto il numero che mi avevano dato per l’intervista. E ho dovuto ricontrollarlo un paio di volte, quando, dopo una serie di squilli a vuoto, ho trovato a rispondermi una vocina flebile e apatica. Che so, magari per sbaglio avevo telefonato a Björk.

Cresciuta a pane, Callas e Stones da un padre italiano amante della musica di qualità, la Calvi viene scoperta nel 2008 da un artista di Domino Records, Bill Ryder Jones, che ne rimane folgorato e convince la label a scritturarla. Le voci sul suo talento circolano in fretta—poco tempo dopo un certo personaggio di nome Brian Eno si fa avanti per iniziarla ai misteri dell’industria musicale, collaborando al suo disco di debutto, pubblicato nel 2011. Nemmeno Nick Cave se la lascia scappare e, nel 2010, la vuole per aprire il tour dei Grinderman. Il suo secondo album, One Breath, è uscito lo scorso 7 ottobre e abbiamo colto l’occasione del passaggio in italia di Anna per fare due chiacchiere con lei.

Mi ero messa in mente di farle mille domande su Eno e Cave. Lei, invece, non era affatto dell’idea e me l’ha fatto capire molto chiaramente con una serie di risposte monosillabiche e appena percettibili. Per fortuna ritrova il carattere e la decisione quando si tratta di affrontare il suo modo di far musica. Abbiamo quindi parlato di come sia finalmente riuscita ad affrontare la fobia della propria voce all’alba dei vent’anni, di quello che definisce “l’elemento impressionistico della musica”, del suo amore per la Telecaster e della drammaticità della sua presenza scenica.

Noisey: Tuo padre è italiano, e fin da piccola hai passato molto tempo da noi. In che modo senti di aver fatto tua la sua nazionalità e la sua cultura?

Anna Calvi: Voi italiani siete molto espressivi, molto musicali in tutto quello che fate. Mi piace soprattutto questo di voi, la vostra passione innata e spontanea, l’estremismo delle vostre emozioni. Sento di aver preso questo da mio padre, ed è poi questo l’elemento cruciale che sta alla base della mia musica. Il nuovo disco è fatto di contrasti, un continuo dialogo tra il bello e il terribile. Una caratteristica già del primo disco, ma che ora si applica su un raggio molto più ampio di emozioni. Penso che questa vitalità del sentire arrivi proprio dalle mie radici italiane.

A proposito di espressività, la tua musica è sempre stata incredibilmente teatrale, drammatica, che è poi la caratteristica che le conferisce così tanta eleganza. Nel tuo nuovo album, One Breath, sembra che questo elemento sia stato amplificato, ulteriormente esplorato, rispetto al tuo album di debutto. Sei d’accordo?

Sì, anche se “teatrale” può connotare qualcosa di pensato, mentre è importante che la mia musica sia sempre una forma di libera espressione. Drammatica, certo, ma non per un disegno prestabilito. Il nuovo album è più vicino alla vera essenza della mia personalità, al mio modo di sentire, anche perché sono stata editata molto meno rispetto al primo album.

Anche l’elemento orchestrale mi sembra accentuato in questo disco. Hai curato sempre tu questa parte?

Sì, io con l’aiuto di un altro arrangiatore che ha collaborato al disco. L’orchestra mi ha sempre affascinato, crescendo ho ascoltato molte composizioni per orchestra, con One Breath ho avuto l’opportunità di esplorare questo lato della musica. Penso che continuerò a farlo anche in futuro.

Hai iniziato a suonare il violino all’età di sei anni, poi è arrivata la chitarra, a nove anni suonavi i pezzi di Hendrix. Mentre per la voce la storia è stata molto più problematica, vero?

Sì, ho avuto la fobia del canto fin da quando ero piccola. Solo l’idea di sentire la mia voce mi bloccava e finché non sono riuscita a superare questa paura la chitarra è stata la mia voce. C’è stato un periodo in cui mi chiudevo in camera e cantavo i pezzi di Edith Piaf e Nina Simone. Grazie a loro ho imparato a non trattenere nulla quando canto.

Guarda caso il tuo primo singolo, “Jezebel”, era un pezzo di Edith Piaf. Mi sembra comunque che tu non abbia più alcun problema in questo senso. Certo, la persona che si vede sul palco e quella che sta rispondendo alle mie domande sembrano due individui completamente opposti.

Sì, quando sono sul palco mi sento un’altra persona, potente, senza paure. Posso essere tutto quello che vorrei essere nella vita reale. Credo che questo sia sempre legato all’idea di non risparmiarsi nel canto. Oggi la gente ha paura della propria emotività, e riuscire a esprimere tutte le proprie emozioni dà un’incredibile senso di forza.

Brian Eno ti ha definito “l’artista più importante dai tempi di Patti Smith” e ti ha preso sotto la propria ala. Com’è stato lavorare con lui?

Bellissimo. Voglio dire, lui è sensazionale.

Capito. E aprire il tour dei Grinderman di Nick Cave, invece? Mi puoi dire qualcosa?

È stato bellissimo, sì.

Hai detto in passato che ti sei avvicinata alla musica per “l’elemento impressionistico” che si trova talvolta in essa. Potresti elaborare un po’ questo concetto?

Mi piace l’idea di raccontare una storia non solo con i testi, anche con la musica, creando un tutt’uno. Fare musica che sia in grado di veicolare un’immagine. Come ha detto Debussy su La Mer, non è solo il titolo che indica il mare, la musica in sé deve evocare i suoni del mare. Ho ascoltato molto sia Debussy che Ravel fin da piccola, le loro composizioni sono state molto importanti per me.

So che hai una grande collezione di strumenti a casa. Ce n’è uno che è particolarmente importante per te?

Non ho molte chitarre in realtà. Quella che uso di più, in studio e in tour, è una Fender Telecaster. Ce l’ho da quando ho 14-15 anni, l’avevo presa perché l’aveva anche Jeff Buckley ed ero innamorata di lui all’epoca. [Ride, primo segno di emozione da quando abbiamo iniziato a parlare.] Ho anche una Fender Baritone. La Telecaster ha un bel suono metallico, vibrante, mentre con la Baritone puoi avere un sound profondo, avvolgente. Sono molto diverse.

Ci sono voluti più di un paio di anni per il tuo disco di debutto, mentre hai finito “One Breath” in sei settimane. Quali sono state le principali differenze durante la registrazione?

One Breath in realtà è stato scritto nel giro di un anno, solo la registrazione ha richiesto sei settimane di lavoro. Il mio primo album invece è stato scritto in un paio di anni, ma semplicemente perché stavo lavorando per conto mio, quindi potevo prendere i miei tempi. Questa volta John [Congleton, produttore che ha lavorato, tra i tanti, anche con gli Swans, St Vincent e Bill Callahan, NdR.] ha suggerito di fare tutto nel giro di un mese, ma ho chiesto del tempo in più. Mi sembrava fin troppo breve come tempistica. Lui comunque non capiva che ce ne saremmo fatti di due settimane in più, è velocissimo nel fare dischi.

Vi sono servite alla fine quelle due settimane in più?

Sì, perché mi sono presa i giusti tempi, anche se ho cercato di non essere così perfezionista. A volte anche provare a lasciarsi andare e non deliberare su tutto può essere affascinante.

Cosa ci sarà di nuovo nei tuoi live rispetto al tuo primo tour?

Sarà un repertorio misto, sia pezzi del primo album sia di quello nuovo.

E il lineup? Sempre Daniel Maiden-Wood alla batteria e Molly Harpaz all’armonium e alle percussioni?

Sì, ma abbiamo aggiunto anche un tastierista per il tour di quest’album.

Un album che non vedi l’ora di sentire quest’anno?

Uhm…Il nuovo di St. Vincent. Sì.

Benissimo, grazie mille Anna!

Grazie a voi, ciao.

Anna Calvi è ora in Italia per il tour di One Breath. La prossime tappe saranno a Roma il 24 febbraio, all’Auditorium Parco Della Musica, e a Brescia il 25 febbraio, al Teatro Grande.