persone cieche miti
Illustrazione: KRUMP.
Salute

Una persona cieca sfata i luoghi comuni sulla sua vita

“Da persona cieca so cosa posso e cosa non posso fare, e so chiedere aiuto. Non ho bisogno di qualcuno che mi allacci le scarpe o mi apra le porte.”
Matéo Vigné
Brussels, BE
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

La prima volta che ho incontrato Juliette Fito, che ha 26 anni e fa la fisioterapista, ero a una festa a casa di amici. Avevo già bevuto qualche birra e fumato qualche canna quando mi sono seduto accanto a lei. Abbiamo parlato per un po’ e poi ho deciso di farle vedere un video divertente sul mio cellulare. Mi stavo chiedendo come mai non rideva quando, verso metà del video, un mio amico mi ha urlato: “Oh scemo, è cieca!” La mia prima reazione è stata delusa, e mi sono limitato a dire: “Oh, cacchio. Beh, peccato. Allora niente video.”

Pubblicità

Ricordando il nostro primo incontro, alcuni anni dopo, Juliette mi ha detto che è stata una delle reazioni migliori alla sua disabilità che le siano capitate: spontanea e normalizzante. Juliette si è offerta di rispondere a un po’ di domande per sfatare alcuni preconcetti sulla vita delle persone cieche o ipovedenti.

VICE: Prima di tutto, che differenza c’è tra cecità e ipovisione?
Juliette: La cecità è semplice da spiegare: significa che non puoi vedere alcuna luce od ombra, o le vedi molto debolmente. Ma l’ipovisione ha tantissime varianti. C’è chi non vede al centro, chi non ha visione periferica [la capacità di vedere anche nei punti che non stai guardando direttamente], c’è chi ha una visione sfocata ma non ha perso nessuna parte del campo visivo e chi non percepisce i colori o la profondità.

A te è successo gradualmente?
Quando avevo 7 anni, mia madre ha notato che reagivo in maniera diversa se mi passava uno snack dal lato sinistro. A quel punto mi sono sottoposta a un po’ di esami in vari ospedali. Si va per eliminazione: prima tentano la diagnosi più diffusa, poi si restringe il campo fino alla più rara. Alla fine mi è stata diagnosticata la retinite pigmentosa, una malattia che riduce la visione periferica. La maggior parte la contrae più avanti, intorno ai 30 o 40 anni. È come guardare in un tubo che piano piano, gradualmente, si restringe. Finché non diventa tutto buio.

Pubblicità

Ti ricordi il momento in cui è diventato tutto buio?
Sì, avevo 18 anni. Non è una cosa improvvisa, comunque; ti rendi conto gradualmente che non vedi più certe cose che vedevi un mese prima, o cominci ad andare a sbattere quando non te l’aspetti.

Riesci a immaginare l’aspetto delle persone che incontri?
Mi piaceva tantissimo la fotografia, quindi quando ho capito che avrei perso la vista mi sono imposta di guardare più cose possibili. Sentivo il bisogno di riempire la mia biblioteca visiva per poter ricreare le facce nella mia mente.

Quando diventi cieca, ti concentri sugli altri sensi. Ricavi molte informazioni da come le persone parlano e si muovono. Mandiamo segnali che noi stessi non siamo in grado di percepire. Per esempio, è facile capire se una persona è sicura di sé. 

Non riesco a spiegare precisamente come mi immagino le persone, ma mi faccio sempre un’idea dei volti e ho un’immagine in testa. La cosa divertente è che, molto spesso, ci azzecco. Quando ero ancora studentessa giocavo a indovinare come fossero fatte le facce e facevo quasi sempre la descrizione giusta. Sono così brava che l’altro giorno un’amica ha fatto una battuta sull’idea che mi fingessi cieca per prendere la pensione.

Apprezzi l’arte?
Ci sono cresciuta in mezzo grazie ai miei genitori, però ormai è diventato un po’ difficile. Per esempio, i film non sono sempre accessibili per le persone non vedenti. Ci sono tantissimi film che non ho visto perché non era disponibile l’audiodescrizione. Nei musei ci sono molte audioguide, il che è ottimo. Penso che sarebbe addirittura meglio se spiegassero le opere senza per forza descriverle.

Pubblicità

Sono stata a una mostra di Francis Bacon con mia madre. Le opere che lei mi ha descritto mi hanno comunicato una potenza così forte e viscerale che mi è servito un po’ di tempo per digerirle. Inoltre amo leggere: uno degli ultimi libri che mi ha davvero colpita è stato Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Márquez. Anche l’album Black Focus di Yussef Kamaal mi ha toccata particolarmente.

Come ti trovi a viaggiare?
Dipende da con chi sono. Mi piace viaggiare con alcune persone, ma se si limitano a descrivermi i monumenti e le attrazioni turistiche, beh, non è quello che mi interessa. Voglio che mi raccontino delle persone che stendono i panni lungo la strada, le scritte sui muri, le architetture insolite… ciò che rende il paesaggio speciale, insomma.

Usi i social media?
Instagram non ha senso per me. All’inizio ne soffrivo, nel suo primo periodo di boom mi sono persa un sacco di cose e di notizie. Sono su Facebook solo perché è utile per organizzare gruppi per i compleanni e altri tipi di eventi.

Il mio iPhone è in modalità VoiceOver, il che significa che legge tutti quei maledetti “http://” ogni volta che c’è un link in un post. È super fastidioso quando voglio andare a un concerto e c’è il link per i biglietti. Mi serve solo sapere la data!

Pubblicità

Ho visto che hai varie foto profilo su Facebook, le hai scelte tu stessa?
Sono vecchie. Le ho perché un mio caro amico è un fotografo. A un certo punto si è offerto di farmi qualche foto, perché secondo lui quelle che avevo postato non erano un granché. Dato che mi fido del giudizio dei miei amici, di solito lascio decidere a loro le foto da usare, ma penso che la mia immagine sui social non comunichi davvero ciò che sono.

Sei una fisioterapista. Come ti trovi sul lavoro?
Quando arriva un paziente, chiedo subito se è a conoscenza della mia disabilità. Per qualche motivo, a volte credono che questo mi renda automaticamente più brava. Ricevo commenti come: “Oh wow, devi avere un senso del tatto straordinario!” Ma non credo che in realtà cambi qualcosa. Se una persona vedente si concentra adeguatamente sul lavoro, sarà altrettanto brava. La cosa strana è che, quando tocco una persona, chiudo automaticamente gli occhi. È come se sentissi il bisogno di chiudere una finestra là sopra per concentrarmi al meglio sulle mani. Una collega mi ha detto che ha iniziato a fare lo stesso.

A livello amministrativo, la clinica ha un software dove si appuntano i servizi che abbiamo offerto a ogni cliente per calcolare il prezzo della prestazione. Il problema è che questo software non ha una modalità di audiodescrizione. Ci sono fisioterapisti non vedenti o ipovedenti, eppure il software non è stato adattato alle nostre esigenze. Io odio dovermi affidare alle altre persone, ma sfortunatamente non ho scelta. Mi fa sentire dimenticata.

Pubblicità

Come fai a scegliere i vestiti da acquistare e da indossare?
Non posso andare a fare shopping di vestiti da sola; ho bisogno che amici o parenti mi accompagnino e mi diano dei consigli. Invece per vestirmi a casa ho i miei trucchetti. Ho tolto tutte le etichette ai vestiti neri—in questo modo so sempre se ho in mano jeans neri o blu, per esempio. T-shirt e camicie, invece, le riconosco dal tessuto, dalla forma o dai bottoni. Di solito scorro la pila di vestita con le dita e in questo modo scopro cos’ho di disponibile. Quando non sono sicura che l’abbinamento sia giusto, chiedo a qualcuno.

Sei truccata benissimo. Come fai?
Mi sono abituata a truccarmi quando ancora ci vedevo, quindi non ho particolari problemi a mettermi l’eyeliner. Quando non sono del tutto certa di averlo messo bene perché ero di fretta o altro, chiedo alla prima persona che incontro. Mi è capitato anche di chiedere ai pazienti.

Come ti prendi cura di te durante il ciclo mestruale?
Fino a qualche tempo fa prendevo la pillola, quindi sapevo sempre con precisione quando avrei iniziato ad avere il ciclo ed era semplice. Ma quando ho smesso è diventato un problema. Adesso ho imparato a prestare maggiore attenzione ai segnali che mi lancia il mio corpo. Se ho una voglia matta di zucchero per una settimana, vuol dire che la settimana dopo avrò le mestruazioni. Ho anche dei picchi di libido in momenti molto specifici, quindi li uso come indicatori—e ho la fortuna di avere un ciclo piuttosto regolare. Ho anche comprato delle mutande mestruali e quelle ti cambiano la vita, perché se ti viene il sospetto che stia per iniziare il ciclo te le metti e non ti devi preoccupare.

Pubblicità

Sei stufa di ricevere domande sulla tua condizione?
Alcune domande mi infastidiscono perché mi vengono poste in continuazione. Ma quando succede cerco di contare fino a dieci e ricordarmi che se le persone non mi avessero chiesto queste cose in passato, oggi non le saprebbero.

E quali comportamenti ti infastidiscono di più?
Non è immediatamente evidente che non ci vedo. La cosa più irritante è che certe persone si spaventano a morte quando glielo dico. Capita che il modo in cui si comportano o mi parlano cambi in modo radicale. Crea una sorta di distanza improvvisa. Anche se non posso vederli, percepisco il peso dei loro sguardi.

Alcune persone poi ti trattano come una bambina. Anche se so che lo fanno per essere gentili, mi fa sentire come se dovessi in continuazione dimostrare di essere adulta. Conosco i miei limiti; so cosa posso e cosa non posso fare, e so come parlarne agli altri. Non ho bisogno di qualcuno che mi allacci le scarpe o mi apra le porte. Una volta ero fuori a bere con amici e si era fatto abbastanza tardi. Visto che avevamo bevuto, una persona del mio gruppo ha chiesto se io fossi in grado di tornare a casa, ma non l’ha chiesto direttamente a me, anche se mi trovavo proprio lì accanto a loro, ma a un’altra persona presente. Questa cosa mi ha infastidito, non solo perché venivano messe in dubbio le mie capacità, ma anche perché mi ha fatto sentire invisibile.

Il problema è che le persone vogliono renderti le cose più facili, ma io devo imparare a vivere con la mia disabilità—e se non mi viene lasciata la possibilità di fare degli errori in questa o quella situazione non sarò mai capace di arrangiarmi.