Música

Perché ce la prendiamo con i cantanti che non scrivono le proprie canzoni?

Per produrre un album non basta scrivere e registrare qualche canzone, impacchettarle in modo accattivante e sbatterle su Spotify. Devi fare riunioni con la casa discografica per ogni cosa dalla strategia di lancio al budget per il marketing, campagne sui social media da “attivare” e singoli che devono raggiungere un certo livello di successo perché il vostro manager non passi le notti a camminare avanti e indietro per l’ufficio chiedendosi se non è il caso di mollarvi. E per quanto l’elemento fondamentale dovrebbe essere che la musica sia effettivamente bella, c’è il rischio di perderselo per strada. 

Date un’occhiata alle note di copertina per praticamente qualunque album degli ultimi vent’anni e vedrete liste di nomi per ogni canzone—dagli autori ai produttori—perché è così che viene fatta di solito la musica: in maniera cooperativa. Stranamente, però, non c’è nulla che faccia arrabbiare di più i sedicenti “veri amanti della musica” di questo. Sono sicuro che ricorderete un meme su Facebook (i peggiori) che metteva a confronto il numero di autori dell’album omonimo di Beyoncé con quelli di Morning Phase di Beck in risposta a chi chiedeva perché quest’ultimo avesse vinto il Grammy nel 2015 come album dell’anno. Fare i sapientoni o mettere in dubbio le abilità delle popstar perché non scrivono da sole le loro canzoni non è nulla di nuovo. Ma il processo di creazione dell’album va ben oltre la mera capacità di scrivere una canzone. 

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“Perché ce la prendiamo così tanto con i cantanti che non scrivono le proprie canzoni?!” ha chiesto l’autore Justin Tranter, che ha scritto per praticamente tutti da Ariana Grande ai Fall Out Boy, durante un podcast presentato dal suo collega Ross Golan. “Nessuno se la prende con Meryl Streep perché non ha scritto la sceneggiatura del film con cui ha vinto l’Oscar. Alcuni cantanti non sono fatti per scrivere canzoni, sono soltanto incredibilmente bravi a raccontare storie; sono interpreti. È una qualità meravigliosa. Abbiamo bisogno di loro. Non avremmo nulla senza di loro”. Tranter e Golan poi hanno citato Selena Gomez, indicandola entrambi come “la miglior curatrice del settore”. Come mi ha spiegato via email Jamila Scott, A&R di Method Music: “curare significa mettere insieme vari elementi diversi (autori, artisti, sample, quello che vuoi) per raggiungere un determinato obiettivo artistico”. 

È in questo che Selena Gomez, secondo i suoi collaboratori, eccelle. Senza esagerare con il pathos e i vocalizzi, è in grado di comunicare un’emozione meglio di molti altri artisti, e che le parole siano scritte da lei o meno non importa. Revival, il suo disco del 2015, è un esempio perfetto di pop che guarda al futuro senza tralasciare l’appeal immediato, andando controcorrente rispetto alla predominanza dell’EDM. Canzoni come “Good For You”—scritta da Tranter e dalla ventitreenne Julia Michaels—e “Hands To Myself” fanno tutto quello che dovrebbe fare la buona musica pop, prendendo in prestito da una varietà di generi ed epoche e spiccando sul rumore di fondo della roba tutta uguale che passa in radio. Hanno spianato la strada dell’abbandono dei drop per la fluidità per gente come Zayn Malik e la nuova Britney Spears.

Anche dal punto di vista tematico, la narrazione di Revival affronta la sofferenza in amore, l’esplorazione sessuale e l’angoscia in modo che colpisce dritto al cuore. “È una delle migliori narratrici che siano mai esistite”, dice Tranter, evidenziando che gran parte della forza della Gomez viene dal fatto di sapere esattamente cosa vuole a livello di suono, che cosa è fico e che cosa è innovativo. “Che stia cantando qualcosa di sexy o qualcosa di triste, è più credibile di chiunque altro al momento”. 

Selena non starà seduta su uno sgabello con una chitarra e una loop station a riversare tutti i suoi sentimenti più profondi, ma credo che questo non renda la sua musica meno emotiva o sincera, e sicuramente non significa che ha meno talento di qualcun altro. Anzi, è una specie di biochimica della musica, che lega insieme varie idee e suoni prodotti da autori e producer per dare forma alla storia che vuole raccontare. 

“Se diventi un buon curatore, diventi un artista più importante culturalmente”, dice un altro A&R che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “La tua musica va oltre un paio di album e vieni visto come leader di una scena e tutti gli altri sono la seconda generazione che deriva da te. Se vogliamo guardare la questione in modo venale, significa che continuerai a essere fico se continui a circondarti di ‘next big thing’ anche se la tua musica comincia a suonare vecchia”. 

Da questo punto di vista, Selena è la Britney Spears di questa generazione. Non c’è bisogno di soffermarsi su quello che stava facendo Britney nel 2007, ma durante quel periodo ha pubblicato il suo album migliore, Blackout. Vari produttori hanno parlato di come all’inizio fossero stati lasciati soli a creare il materiale per l’album, ma con il progredire dei lavori, Britney ha cominciato a indirizzare le sessioni verso qualcosa di propulsivo e innovativo (è produttrice esecutiva del disco, per la prima e ultima volta nella sua carriera). La sua A&R di allora, Teresa LaBarbera Whites, ha raccontato che Spears è stata “molto coinvolta nelle canzoni e nel risultato finale”. E anche: “Le canzoni sono quello che sono grazie alla sua magia”.

Per quanto Spears sia stata un tempo la curatrice numero uno dell’industria discografica, questo titolo ora sembra appartenere a Beyoncé. Eppure, a differenza di Spears e Gomez che cercano di esprimere la fotografia di un momento o di raccontare la propria storia, l’approccio di Beyoncé è, in qualche modo, più matematico e determinato. Lemonade, senza dubbio il suo disco più narrativo, l’ha vista saltare di genere in genere per creare un pasticcio post-moderno di suoni e temi, invece di brani pop per il gusto del pop. 

“Beyoncé lavora così, mette insieme varie cose”, ha detto ad i-D l’autore e producer inglese MNEK parlando del suo ruolo di co-autore di “Hold Up”. “Non è molto diverso da come lavora Brian Higgins [degli sforna-hit di Girls Aloud Xenomania]: senti una melodia che ti piace e la metti insieme a qualcosa che ti rappresenta appieno. “Hold Up” infatti contiene pezzi di “Maps” degli Yeah Yeah Yeah’s “Maps”, “Turn My Swag On” di Soulja Boy e addirittura “Can’t Get Used to Losing You” di Andy Williams, oltre ad accreditare Ezra Koenig, Father John Misty e Diplo. In questo senso, Beyoncé afferma il proprio potere di artista in modo chiaro: trascendendo completamente il genere.

“Beyoncé è una scienziata della canzone. Non ho mai visto nessuno lavorare così”, ha detto la songwriter Diana Gordon, che ha scritto con lei “Sorry” e “Daddy Lessons”. “Riesce a prendere due canzoni, dire ‘mi piacciono due versi e questa melodia, fatemele usare per una strofa e il bridge e la parte in mezzo la riscrivo’. È una vera collaborazione. Non sai mai che cosa le piacerà. Sono andata da lei con una manciata di brani e lei ha preso un po’ da questo e un po’ da quello. Ma non prende nulla di preconfezionato, perlomeno non da me”. 

Per Tom Aspaul, artista e autore che ha scritto per Kylie Minogue, Snakehips e AlunaGeorge, soltanto una persona del calibro di Beyoncé si può permettere questi cut-up alla William S. Burroughs. “È una tecnica che non piace alla gente, non la capiscono, anche se gente come Beyoncé e Drake la stanno facendo emergere”, dice. “Mettono l’orecchio a terra e ascoltano e prendono quello che piace a loro”. More Life e la sua estensione su tutta la diaspora africana ne è la prova, ma Aspaul precisa che esiste un certo snobismo su questi metodi. Non è la stessa cosa che scrivere del materiale, concede, ma è ugualmente importante. “I risultati della scrittura standard arrivano fino a un certo punto”, dice, “e la musica ha bisogno di reinventarsi continuamente”. 

Per come la vedo io, la reinvenzione deriva dal guardare allo stesso tempo al passato e al futuro. L’utilizzo dell’intertestualità in Beyoncé, sonora e lirica, riporta alla mente il lavoro di Dev Hynes dei Blood Orange. Le sue opere, come autore, producer e musicista, sono immediatamente riconoscibili. Come l’interpretazione di Selena Gomez, c’è un tratto distintivo che solo lui è in grado di comunicare; la sua figura si vede in ogni suo lavoro. Ascoltate “Everything Is Embarrassing” di Sky Ferreira o “Augustine” dei Blood Orange e vi renderete subito conto che solo Hynes potrebbe averle create. La sua collaborazione con Carly Rae Jepsen, “All That”, è piena dei suoi colori e delle sue tipiche influenze del Prince più elettronico, sempre lasciando la malinconia sottintesa alle sue produzioni al centro della composizione. 

“Molto spesso curare significa esprimere una vasta, ricca e varia conoscenza della musica oltre che essere in grado di promuovere il lavoro delle persone che ammiri”, dice Jamila Scott. “Viviamo in una cultura di condivisione, dalle foto della colazione ai concerti in streaming. Siamo incoraggiati a rendere tutto esplicito, quindi perché i gusti musicali di un artista dovrebbero funzionare diversamente?”

Se dovessi mettere i tre—Dev, Beyoncé e Selena Gomez—in ordine di chi ha maggior “integrità” o è più “sincero”, Gomez sarebbe piazzata dai più sul gradino più basso. Come dice Scott, questo è probabilmente dovuto al fatto che è quella che fa pop nel senso più puro del termine. “Penso che derivi dalle fabbriche pop che sono state parte della nostra storia da anni e che sono specializzate in quella che uno potrebbe chiamare cura della canzone”, spiega. “Molti di questi artisti venivano visti come pupazzi in mano alle major e galline dalle uova d’oro”. Oltre a questo, Ross Golan pone l’accento sulla misoginia che deriva dal fatto di essere una femmina che fa pop, anche se molte sono in realtà “le migliori autrici nel mondo della musica”. È interessante se ripensiamo a Elvis, che di base cantava soltanto canzoni scritte per lui da altri, eppure è considerato il Re del Rock’n’Roll.

Scrivendo di Britney Spears sul Telegraph, Charlotte Runcie suggerisce che “c’è molto talento dietro la storia del dominio pop di Britney, ma la maggior parte di questo non appartiene a lei”. Questo fatto, continua, porta a “diventare una star”, cosa che secondo lei non ha nulla a che fare con il talento. In questo modo riesce a fare di tutta l’erba un fascio con artiste come Selena Gomez e, in un certo senso, Beyoncé, ignorando il fatto che la scrittura delle canzoni non è l’unico elemento importante.

Ci vuole molto di più per creare album innovativi. Soltanto Beyoncé sarebbe stata in grado di pubblicare Lemonade, nonostante—o forse a causa di—tutti i collaboratori che ha messo insieme. Allo stesso modo, Revival è inequivocabilmente un disco di Selena Gomez, grondante emozioni, vulnerabilità e la sua identità particolare. Certo, magari non ha scritto i ritornelli, ma non è mai stato quello l’obiettivo unico della musica pop moderna. Anzi, mentre la società di oggi diventa sempre più isolata vogliamo sentirci coinvolti e comunicare con la nostra musica; deve sembrarci reale. E se essere un curatore ti fa raggiungere questo traguardo, penso che sia un talento speciale. L’arte si manifesta in mille modi diversi.

(Foto in cima di Amanda Nobles via Flickr)

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