Música

Capire i testi di Coez

Uno dei libri che meglio raccontano quello che passa in testa agli innamorati lo ha scritto il semiologo francese Roland Barthes nel 1977, e si intitola Frammenti di un discorso amoroso. Si chiama così, spiega, perché “Dis-cursus’ indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i ‘passi’, gli ‘intrighi’“, e “l’innamorato non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi e d’intrigare contro se stesso“. Quando ci batte forte il cuore e tutto sembra tentennare, cerchiamo certezza nei pochi punti fermi all’interno del flusso sentimentale. Questi sono ciò che Barthes chiama figure, paragonando l’innamorato a un atleta che si dimena eseguendo quelle di uno sport un po’ pazzo. Il suo spunto geniale sta nella spiegazione della natura di queste figure, che è anche il motivo per cui le canzoni d’amore sono il migliore modo che un musicista ha per fare successo.

Una figura è fondata se almeno una persona può dire: “Com’è vero, tutto ciò! Riconosco questa scena di linguaggio”. […] Ciascuno può riempire questo codice con la sua propria storia; smilza o no, bisogna dunque che la figura sia là, che il posto (la casella) sia tenuto libero.

Videos by VICE

Quando siamo innamorati, quindi, la nostra mente spiega al corpo che cacchio gli sta succedendo per riconoscimento. Esiste uno schema dell’amore, creato dall’esperienza comune dell’umanità e reso eterno tramite arte, cinema, libri e musica, in cui tutti ci ritroviamo. Senza questo senso di comunanza sentimentale, la cui esistenza è suggerita da un patrimonio culturale condiviso di—nel nostro caso—canzoni a tema sentimentale, l’amore sarebbe un’esperienza terrificante e solitaria. Da cui il postulato della musica leggera per cui cantare dalla prospettiva di un innamorato significa garantirsi in potenza l’attenzione di una larga fetta del proprio pubblico. Se ne volete una prova tangibile, guardate un’edizione qualsiasi di Sanremo, ascoltate Radio Italia per un’oretta o fatevi un giro per la playlist Indie Italia di Spotify.

Uno degli album che hanno definito il 2017 della musica italiana è Faccio un casino di Coez. Il suo successo esplosivo—ma tipo che tutto il suo tour nei palazzetti e club è andato sold out—non era però imprevedibile. La sua grande fortuna e merito è stata quella di essersi trovato all’intersezione tra mondi musicali nell’esatto momento in cui questi sono diventati dominanti sia a livello commerciale che di sensibilità degli ascoltatori. In Coez c’è l’hip-hop, studiato e praticato per anni con i Brokenspeakers; c’è il grande pop, attraversato grazie al contratto con Carosello e alla collaborazione con Riccardo Sinigallia; e c’è l’abbandono di quella struttura e l’entrata nell’indie italiano, grazie anche ai contributi di Niccolò Contessa a Faccio un casino.

Morale: Coez oggi può piacere al pischello che si ascolta solo rap, a chi non si perde un’edizione del Mi Ami e a vostra mamma che lo sente da Fazio. A rendere coerente il suo background c’è la sua voce autoriale, visceralmente sentimentale da molto prima che il Mainstream di Calcutta spaccasse la nazione. I suoi testi, infatti, aderiscono benissimo al modo in cui funziona l’amore, e quindi la mente della gente innamorata—a dare una spinta in più al suo appeal popolare. Se non fosse stato capace di scrivere in cui è così facile e naturale rivedersi, forse oggi Coez si sarebbe dovuto accontentare di palchi e riscontri ben più modesti. Andiamo quindi a capire perché quelle parole ci fanno impazzire così tanto, con l’aiuto del caro vecchio Roland.

COME FUNZIONANO I TESTI DI “LA MUSICA NON C’È” E “FACCIO UN CASINO”?

Nella sua scrittura matura, quella del grande successo di Faccio un casino, Coez procede spesso per figure dell’innamoramento riconoscibili. Vorrei cominciare a spiegare perché analizzando le sue due canzoni di maggior successo, a partire da “La musica non c’è”. Seguendo il saggio di Barthes, il suo testo può essere ricondotto alla figura dell’atopos:

Il soggetto amoroso riconosce l’essere amato come “atopos” (qualifica attribuita a Socrate dai suoi interlocutori), cioè inclassificabile, dotato di una originalità sempre imprevedibile.”

“La musica non c’è” è una canzone d’amore intontito, narrata da una mente così innamorata da non sapere bene da che parte girarsi per esprimere il modo in cui si sente. Come uno stilnovista contemporaneo, folgorato dai capelli corvini e dal piercing al naso di una donna-angelo, Coez usa parole per dire che non sa quali usare: “Volevo dirti tante cose ma non so da dove iniziare“, e soprattutto “Mi metti in crisi e in questo testo non ti riesco a disegnare“. L’innamorato si sente soverchiato da un essere perfetto che lo tiene in scacco e quindi afferma la propria incapacità di parola per venerarlo. Proprio come nel viaggio raccontato dal video, in cui l’occhio dell’innamorato segue la sua ragazza mentre fa cose che lo inteneriscono, lo affascinano, lo fanno ridere—cose che si terrà dentro per continuare a convincersi di quanto lei rifugga qualsiasi categorizzazione, e sia così meritevole della sua adorazione.

La destinataria di “Faccio un casino” ha invece una qualità diversa. Fa dannare l’innamorato che, esasperato, si sente in diritto di dover mettere un ultimatum: “Amami o faccio un casino“, appunto. La figura con cui questo si spiega è quella della scenata:

La figura prende in esame la “scenata” (nel senso casalingo del termine) intesa come scambio di contestazioni reciproche.

Particolarità della scenata è il suo manifestarsi solo in relazioni in cui esiste una forte complicità: “Quando due soggetti litigano seguendo uno scambio ordinato di repliche in vista di avere “l’ultima parola”, significa che sono già sposati: la scenata è per loro l’esercizio di un diritto, la pratica di un linguaggio di cui sono comproprietari“. Essere capaci di darsi addosso è quindi simbolo di un’unione avvenuta e delle sue possibili, opposte conseguenze. Una sorta di battaglia a palle di neve, che può essere un gioco innocuo ma anche la scusa per lanciarsi sul muso dei pezzi di ghiaccio.

La coppia di “Faccio un casino” sta insieme, ma forse no. Si ama, e quindi può farsi una scenata reciproca (di cui vediamo, in questo caso, solo il lato della voce narrante), ma c’è qualcosa che non va. Lei chiama solo “se sta male“, e viene accusata dal narratore di giocare con i suoi sentimenti. Quindi lui—così come il giovane Werther opponeva il proprio suicidio al rifiuto della povera Lotte—mette un ultimatum, a metà tra ammiccamento e rancore. Un “casino” meno estremo e più generico, così che tutti possano renderlo ciò che vogliono, sentirlo proprio.

“È COLPA TUA” E “ALI SPORCHE”: DARSI ADDOSSO PER STARE MEGLIO

Le radici del discorso amoroso di Coez stanno nel suo primo album Figlio di nessuno, uscito nel 2009, quando faceva ancora il rapper nei Brokenspeakers. I testi di quel disco erano sono riconducibili alla tradizione dell’hip-hop italiano: c’erano acrobazie liriche, disagio sociale, represent vari e un sacco di punchline-barra-strizzatine d’occhio (tra cui devo citare, per onor di bellezza, questa a Mondo Marcio). E poi c’era “È colpa tua”, un pezzo scritto dalla prospettiva di un ragazzo innamorato di una donna che lo fa stare male ma con cui si trova sempre a tornare, accecato dal desiderio: “È colpa tua se ora non mangio più / Se non guardo più la TV e prendo antidepressivi / Tu non cercarmi più io non ti cerco più / Che se ti trovo poi ti strappo i vestiti“. Scorrendo il saggio di Barthes, ritroviamo questo concetto nella figura dell’ascesi:

“Sia che si senta colpevole nei confronti dell’essere amato, sia che voglia impressionarlo mostrandogli la sua infelicità, il soggetto amoroso abbozza una condotta ascetica di autopunizione”.

Coez non sa se sta bene o male, e vuole che lei lo sappia. Si butta giù con l’ironia, definendo il suo “rispetto” un “difetto“, e finge sicurezza: “Non preoccuparti, non mi taglio le vene / Ma mi viene da vomitare“. Secondo Barthes, gesti simili sono sempre rivolti all’altro: li definisce un “ricatto morale“. È la versione musicale, per esempio, delle pratiche social che molti utilizzano nei momenti bui di una storia d’amore—cambiare immagine del profilo mettendone una completamente nera, postare canzoni prese malissimo sperando che l’algoritmo le mostri a chi di dovere.

Per Coez questa ascesi, in forma hip-hop, è un modo per buttare fuori rabbia. L’arrivo di Riccardo Sinigallia, che cura assieme a Coez il suo esordio su Carosello Non erano fiori, la rende più inclusiva. Un tempo per Coez il dolore separava le persone, mentre oggi le fa avvicinare. In “Ali sporche” lei è “bella come il sole, stronza come il mondo“, mentre lui soffre: “Ho i tagli sotto i talloni / E ho perso sangue a galloni“, dice. Ma è ottimista, è “ancora in piedi“: “Sto qui che insisto, resisto, chiamami roccia“. Le ali insaguinate del titolo non lo fanno crollare a terra, lo portano dalla donna che ama. Chi si rivede in questa ascesi si sente rinfrancato. Anche se la persona che ama non lo considera o lo fa stare male, la sua sofferenza ha un senso. La voce di Coez è quindi come una pacca sulla spalla, la condivisione di un dolore.

“LE LUCI DELLA CITTÀ”: DARE UN SENSO ALLA REALTÀ GRAZIE ALL’ALTRO

In molti dei suoi pezzi, Coez si sente smarrito. Ne “Le luci della città” è su un tetto, guarda uno skyline e non capisce dove sia casa sua. Deve fare “un salto nel vuoto“, ma non vuole farlo da solo. “Vorrei portarti via”, dice a una donna che vuole andarsene da un “vuoto che uccide, una realtà dove nessuno sorride“, ma non lo può fare perché “non sa dove sta andando“. In “Dramma nero” gira depresso per strade che conosce, non riesce a dormire nemmeno nel suo letto. È la figura della de-realtà:

“Sensazione di assenza, di riduzione di realtà, provata dal soggetto amoroso nei confronti del mondo.”

Nei testi di Coez, l’innamorato si scontra con la perdita di senso di ciò che gli è familiare, e si rende conto di poter ritrovare la pace solo tramite l’oggetto dei suoi sentimenti. E quando questo non succede, è spesso l’amarezza a regnare: in “La strada è mia”, cupo pezzo di chiusura di Non erano fiori, il narratore si sente padrone dell’asfalto umido su cui guida, riconosce la sua città in tutti i suoi aspetti. La sua solitudine, frutto di una storia fallita, gli stende però sopra un velo nero, che va a colpire anche la natura stessa del suo fare musica: “Perdere te, prendere fischi / E vendere me a chi vende dischi“.

“NIENTE DI CHE”: IL VALORE DELLA RIPETIZIONE

Non siamo più niente di che, di che, di che…” canta Coez in “Niente di che”, come a mettere un punto fermo al fiume dei suoi pensieri. Lo stesso processo accade in molte altre sue canzoni: una determinata frase, spesso che coincide con il titolo della canzone, è ripetuta enfaticamente così da darle valore. Qualche esempio? E non hai niente che non va. Ci siamo solo io e te. E ancora, “Amami o faccio un casino”. Quando un innamorato trova una determinata frase che sente particolarmente adatta a descrivere il modo in cui si sente, sta usando la figura della loquela:

Questo termine, desunto da Ignazio di Loyola, designa il flusso di parole attraverso cui il soggetto argomenta instancabilmente nella sua testa gli effetti di una ferita d’amore o le conseguenze di un comportamento.

Questa “forma enfatica“, come la descrive Barthes, è riscontrabile in tutte le canzoni d’amore. Quando l’innamorato trova un modo per mettere in parola il modo in cui si sente, giustifica il ruolo che si è scelto nel dramma del suo amore. Quindi, ci torna sopra in continuazione per tenere viva la fiamma del sentimento che lo definisce: “Nell’istante in cui, casualmente, prende corpo in me una frase “riuscita” […], questa frase diventa una formula che io ripeto in proporzione del grado di acquietamento che essa mi dà (trovare la parola giusta rende euforici); io la rimastico, me ne nutro; come i bambini o i dementi affetti da mericismo, io inghiottisco e rigurgito continuamente la mia ferita d’amore.”

CONCLUSIONE: AMARE È AFFERMARE

Com’è naturale che sia, nei testi di Coez non ci sono solo relazioni. Si parla per esempio di amicizia (“Un sorso d’IPA”), famiglia (“E yo mamma”), violenza e ingiustizia (“Costole rotte”), fisime sociali (“Il dramma dei secondi”). Come dicevamo all’inizio, a tenere unita la sua poetic e a renderla così leggibile a un pubblico ampio è però il sentimentalismo che permea ogni sua parola. Coez può essere triste o felice, speranzoso o pessimista, ma continua ad affastellare immagini ed espressioni nel suo personale discorso amoroso. La voce narrante delle sue canzoni è sempre convinta del valore dei suoi sentimenti, sia che questi trovino riscontro in una relazione reale che crollino in un amore fallito. Non c’è spazio per le minimizzazioni, in ciò che fa (semmai allo scherzo, come in “Non erano fiori”, o all’ironia, come in “Forever Alone”). E quindi aderisce alla figura dell’affermazione.

Nonostante tutto, il soggetto amoroso afferma l’amore come valore.

Questa è la chiave di lettura non solo dell’opera di Coez, ma di tutto il sentimentalismo che caratterizza l’indie italiano degli ultimi anni. Staccandosi dall’amore generico sanremese, questa nuova emotività afferma il discorso amoroso come preponderante nella costruzione testuale. “Malgrado le difficoltà della mia vicenda, malgrado i disagi, i dubbi, le angosce, malgrado il desiderio di uscirne fuori, dentro di me non smetto di affermare l’amore come un valore“, scrive Barthes quasi a descrivere questo fenomeno testuale. Coez è uno dei suoi interpreti principali, lui che ai tempi di From the Rooftop coverizzò “Cosa mi manchi a fare”, quasi come a passare la staffetta del discorso amoroso a un ragazzo che si chiamava Edoardo. Ma così non sarebbe stato. Oggi, la musica degli innamorati italiani assomiglia più a una maratona coreografata i cui partecipanti si dimenano, un po’ pazzi, e ripetono figure sognando baci e avvolgendosi nelle coperte, e ascoltano voci da cui si sentono descritti, e le ricantano entrandoci in armonia.

Elia è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.

Leggi anche: