Da adolescenti, il rapporto con il proprio corpo può essere problematico e stressante persino se non si sta mettendo in discussione la propria identità di genere. Per gli adolescenti che iniziano la transizione mentre vivono con i genitori, la situazione può decisamente complicarsi—in special modo, se i genitori stessi o la scuola non sono di particolare supporto.
VICE Belgio ha parlato con tre adolescenti transgender del loro processo di coming out e di quello che hanno imparato.
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Accanto a ogni nome sono stati inseriti (in inglese, come è più comune) i pronomi scelti per identificarsi.
Sam, 14 anni. She/her
So di essere una persona transgender da quando avevo 11 anni. All’inizio mi identificavo come genderfluid, ma nell’estate del 2020 mi sono accorta che il mio corpo aveva cominciato a cambiare. Mi ha fatto capire che volevo andare nella direzione opposta: io ero una ragazza. L’ho raccontato al mio psicologo, e a nessun altro, perché non sapevo come dirlo. Per quanto fossi certa che avrebbero tutti reagito al meglio, non ero convinta dell’idea di svelarlo.
Alla fine, l’ho detto ai miei genitori. Erano contenti che mi fossi aperta con loro. È stato un bel momento, soprattutto se penso a quanti invece non vengono accettati in famiglia. Avevo paura mio nonno non la prendesse bene, ma quando gliel’ho detto mi ha abbracciato e ci ha scherzato sopra, dicendo che non sarebbe più riuscito a distinguere me e mia sorella.
A dicembre del 2020 l’ho scritto anche sui social media. Prima di allora, lo sapevano circa 30 persone. Subito dopo, migliaia. Si è trattato di un’esperienza molto intensa, soprattutto se consideriamo quanto i social siano uno spazio pubblico e le persone tendano ad essere più cattive lì.
Ho cambiato il nome sulla carta di identità durante le vacanze natalizie, ma devo aspettare altri due anni per cambiare ufficialmente il marcatore di genere, benché abbia già il permesso dei miei genitori. È molto frustrante non poter fare quest’ultimo passo. Quando devo mostrare il mio passaporto o un altro documento ufficiale, capita di beccarmi qualche strana occhiata che mi provoca disforia di genere.
Successivamente ho fatto coming out anche a scuola, mandando una mail a tutti gli insegnanti e al corpo studentesco. La scuola ha risposto bene e approntato immediatamente tutti i cambiamenti necessari.
La mia scuola vuole apparire come progressista, ma ogni tanto le cose vanno a finire male lo stesso. All’inizio dell’anno scolastico, quando mi identificavo come non-binary, utilizzavo lo spogliatoio femminile perché non mi sentivo a mio agio a cambiarmi con i ragazzi. Non era un problema per nessuno. Ma dopo qualche lezione, il professore di educazione fisica mi ha detto che era contro il protocollo della scuola, e che quindi dovevo cambiarmi in un bagno singolo o nella sala professori. Però, volendo, mi era ancora permesso di cambiarmi nello spogliatoio maschile, perché “biologicamente, ero un maschio.”
Quando ho fatto coming out come ragazza, all’improvviso la scuola ha dimostrato di essere del tutto d’accordo sul farmi usare lo spogliatoio e il bagno femminili.
Credo che le scuole dovrebbero condividere informazioni approfondite ed esaustive riguardo le questioni di genere, sin dalle fasi iniziali, in maniera tale che le persone capiscano e conoscano la situazione. Il mio consiglio alle alle giovani persone transgender è di parlare agli altri di ciò che stanno attraversando: non tenetevelo per voi.
Robin, 16 anni. He/him
Sapevo che mi stava ‘succedendo’ qualcosa, ma mi ci è voluto un po’ per capire che aveva a che fare con la mia identità di genere. Nel 2020 ho scoperto l’esistenza della disforia di genere da alcuni amici online e ho capito che era così che mi sentivo. Scegliere di identificarsi è la parte più difficile, ma mi ritrovo nell’identità di “maschio”.
L’ho detto ai miei genitori a settembre e la loro reazione non è stata granché. Poi ho fatto coming out tramite una story con gli ‘amici più stretti’ su Instagram, perché ero troppo spaventato all’idea di farlo di persona. A scuola lo sanno pochi insegnanti: non mi sento a mio agio a dirlo a tutti, perché sono l’unica persona apertamente queer del mio anno.
Trascorrere tutto questo tempo a casa è piuttosto difficile. Posso farcela quando i miei pronomi e il nome non vengono usati costantemente, ma mi accorgo che mia mamma ogni tanto fa fatica a gestire la mia identità di genere. È diventato un problema, a casa, il che rende l’intero processo faticoso.
Sono nella lista d’attesa dell’UZ Ghent—uno dei due ospedali che in Belgio offrono assistenza medica specializzata ai minori transgender—ma i tempi d’attesa sono così lunghi che sarebbe comunque più facile aspettare fino ai 18 anni e andare in un altro ospedale. Mia madre però per ora si rifiuta di considerare altre opzioni.
I miei non capiscono che, per me, le cose stanno andando a rilento. Penso facciano così perché sperano che col tempo si sgonfierà tutto. Ho accennato a mia mamma il fatto che vorrei prendere un chest binder—un indumento contenitivo per il seno—ma ha continuato a cambiare argomento e voleva che aspettassi. Alla fine mio fratello, anche lui transgender, mi ha dato due binder da indossare fino a quando non potrò usufruire della chirurgia.
Mi ha aiutato molto guardare serie dedicate alle persone transgender e con persone transgender come protagoniste. Sono prodotti facilmente accessibili, tanto che posso guardarmeli da casa sul computer.
Coe, 16 anni. They/them
Qualche anno fa, mi capitava di voler essere alle volte un maschio, altre una femmina, oppure non-binary. Ora so di essere genderfluid.
Ho fatto coming out per la prima volta con un amico transgender. In più, ne ho parlato con un sacco di gente online.
L’ho detto a mia mamma dopo aver deciso di tagliarmi i capelli. È stata molto comprensiva e ha utilizzato fin da subito la terminologia corretta. È una fortuna che ci siano altre persone queer nella sua famiglia, incluse due persone transgender: una zia e un cugino. Per il mio patrigno invece è più difficile da capire. Qualche tempo fa ho fatto coming out anche con la mia matrigna, come non-binary, ma ora voglio chiarire che mi identifico come genderfluid. Non ho un buon rapporto con mio padre, e quindi non voglio fare coming out con lui.
Un po’ di persone a scuola lo sanno. Alcuni amici mi stanno aiutando a trovare un nome che mi si addica.
La rappresentazione delle persone transgender nei media sta migliorando, ma può ancora perfezionarsi. Il fatto di essere transgender dovrebbe essere normalizzato.
Per esempio, su TikTok ho visto un aumento del numero di contenuti di persone transgender, ed è bello vedere che se la sentono di raccontarsi. In generale, l’educazione sessuale dovrebbe essere più inclusiva rispetto alle identità queer e trans. Se lo fosse, avrei capito prima di essere transgender.
Essere transgender è una cosa normale e ok.